Le conseguenze delle riunioni [1]

Qualche giorno fa, il 14 febbraio, Rachel Emma Silverman ha pubblicato sul Wall Street Journal un articolo intitolato “Dov’è il capo? In riunione” (Where’s the Boss? Trapped in a Meeting) in cui confermava che la credenza che chi ricopre posizioni dirigenziali passi una parte consistente del suo tempo in riunioni non soltanto è fondata, ma documentata quantitativamente da una serie di ricerche condotte dalla London School of Economics e dall’Harvard Business School nell’ambito di un progetto internazionale sull’uso del tempo dei manager (Executive Time Use Project). Secondo il progetto citato, il tempo trascorso in riunione è più di un terzo del tempo di lavoro settimanale.

Executive Time Use Project

Executive Time Use Project / The Wall Street Journal

Il working paper di cui parla l’articolo del WSJ, Span of Control and Span of Activity, è stato pubblicato l’11 febbraio 2012 dalla Harvard Business School da 4 autori, di cui 3 italiani (Oriana Bandiera, Andrea Prat, Raffaella Sadun e Julie Wulf). Gli autori hanno indagato un campione di 65 CEO (direttori generali) presenti a un corso della Harvard Business School, per 2/3 di imprese americane e per il resto di aziende europee e asiatiche. Con riferimento a una settimana rappresentativa, per intervista diretta e attraverso l’agenda tenuta dall’assistente personale, gli autori sono stati in grado di ricostruire la giornata e la settimana di lavoro di questi manager con una “definizione” temporale di 15 minuti. In media, gli intervistati hanno lavorato per 55 ore la settimana, di cui 18 spese in riunioni, più di 3 in telefonate e 5 in pranzi di lavoro. Al lavoro da soli erano dedicate in media 6 ore su 55. Circa 3/4 del tempo speso in riunioni è dedicato a riunioni interne, e l’impegno temporale cresce al crescere del numero di collaboratori che rispondono direttamente al CEO.

Interessante la discrepanza tra la percezione dei CEO rispetto al loro impiego del tempo e le evidenze emergenti dalle agende tenute dagli assistenti: i CEO pensano di impiegare più razionalmente il loro tempo e di dedicarne meno alle riunioni. Eppure, l’82% delle riunioni risulta essere stato programmato in anticipo, e la maggior parte delle riunioni interne vede coinvolta una pluralità di partecipanti.

Lo studio più recente riprende i temi di una ricerca precedente, condotta all’estero da 4 ricercatori italiani (Oriana Bandiera, Luigi Guiso, Andrea Prat e Raffaella Sadun; 3 sono coautori dello studio riassunto in precedenza) e “generosamente finanziata” (lo dicono gli autori) dalla Fondazione Roberto Debenedetti. La ricerca si era concentrata sui vertici di 94 imprese italiane e circola in rete, per quello che ho potuto vedere io, in almeno due versioni, peraltro pressoché identiche: una, datata 8 ottobre 2010, la trovate qui; l’altra, datata 25 febbraio 2011, si scarica da qui.

Il risultato saliente della ricerca “italiana” è che l’allocazione del tempo dei direttori è fortemente correlata alla produttività e alla profittabilità dell’impresa. A sua volta, la performance aziendale dipende in misura cruciale dalle scelte dei vertici: le riunioni esterne non danno un apporto significativo alla produttività, mentre le riunioni interne si associano a performance migliori.

2 Risposte to “Le conseguenze delle riunioni [1]”

  1. il barbarico re Says:

    Be’ diciamo che almeno questa ricerca distrugge un mito: i dirigenti non lavorano più dei loro sottoposti, se sottraiamo le 20 ore di viaggi, palestra e varie la settimana di lavoro si riduce drasticamente alle famose 35 ore francesi!


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