Fornero e l’Inps: quale accountability senza libertà d’informazione?

Non sono molto interessato a discutere il merito delle polemiche tra ministro Fornero e vertici dell’Inps sulla questione del numero degli “esodati” (orrendo neologismo) e sulle modalità di divulgazione delle diverse stime. Va da sé che ho una mia personale opinione, ma se la esprimessi distrarrei me e voi da quello che considero il punto di maggiore sostanza della vicenda.

Che secondo me è questo: il documento redatto dall’Inps deve essere pubblico o no?

Elsa Fornero

wikipedia.org

Provo a riassumere la vicenda, per quello che sono riuscito a ricostruirla:

  1. l’11 giugno 2012, alle 17:27, l’ANSA “apprende” che l’INPS stima il numero degli “esodati” in 390.200 e – poiché è una notizia-bomba – la pubblica:
    «I lavoratori esodati che potrebbero avere diritto ad andare in pensione sulla base delle vecchie regole secondo il decreto Salva Italia e il Milleproroghe sono 390.200: è quanto emerge – secondo quanto apprende l’ANSA – dalla Relazione INPS al ministero del Lavoro inviata prima della firma del decreto che fissa a 65.000 la quota dei salvaguardati.»
  2. Nella giornata di ieri (12 giugno) si è registrata la reazione di Elsa Fornero (si va dalla semplice “irritazione” al “forte disappunto”) per la divulgazione del documento dell’Inps, di cui si dice – ma è evidente la contraddizione – che non avrebbe dovuto essere diffuso sia perché “parziale e non spiegato” (Fornero su tutti i quotidiani e su questo lancio ANSA), sia perché qualche regola o procedura lo vietava («Se fossimo in un settore privato questo sarebbe un motivo per riconsiderare i vertici. Siamo in un settore pubblico, ci sono le leggi e c’è il parlamento e tutte queste procedure vanno rispettate». Così secondo un articolo del Corriere della sera di oggi, 13 giugno 2012).

La prima delle motivazioni mi sembra veramente debolissima. Sul numero degli esodati si discute da quando è stato varato il decreto SalvaItalia, cioè da dicembre dell’anno scorso. La relazione incriminata dell’INPS ~ a quanto è dato sapere – è datata 22 maggio 2012 ed è stata trasmessa, oltre che al Ministero del lavoro, anche alla Presidenza del consiglio dei ministri, al Ministero dell’economia e alla Ragioneria generale dello Stato. L’esecutivo avrebbe avuto, secondo me, tutto il tempo di spiegare e di completare le stime del documento INPS, se davvero lo riteneva “parziale e non spiegato”.

Ma a me preoccupa molto di più la seconda. Non so se esistano davvero norme o procedure che facciano divieto all’INPS di divulgare documenti tecnici, anche se su materie delicate. Penso piuttosto che ci sia qualche prassi in questo senso: è noto che nella culla del diritto le norme sono state soffocate dalla prassi, come i passerotti gettati fuori dal nido dal piccolo cuculo).

Se è così, come purtroppo temo, questa è un’occasione da cogliere: per dire al ministro Fornero e a tutto il governo che quello che vogliamo è la trasparenza, non la tutela. Che i cittadini non sono sudditi ignoranti, e non devono essere protetti da nessuna informazione, neppure da un dato giudicato “parziale e non spiegato”. Vogliamo tutte le informazioni e gli strumenti per poterne valutare l’attendibilità da soli: o meglio, con l’aiuto della discussione pubblica e aperta degli esperti e delle parti in causa.

Il movimento degli open data va in questa direzione. Il manifesto degli open data (l’articolo di Robinson,Yu, Zeller e Felten del 2008] affermava che l’obiettivo primario del governo come editore online avrebbe dovuto essere di pubblicare dati facili da (ri)usare per tutti, piuttosto che di aiutare i cittadini a usare i dati in un modo particolare o in un altro. Questo obiettivo, però, negli Stati Uniti è raggiungibile (e in buona parte raggiunto, grazie all’Open Government Initiative dell’amministrazioe Obama e all’Open Government Directive dell’8 dicembre 2009) perché lì vige dal 4 luglio 1966 (!) il Freedom of Information Act (FOIA), che «impone alle amministrazioni pubbliche una serie di regole per permettere a chiunque di sapere come opera il Governo federale, comprendendo l’accesso totale o parziale a documenti classificati. Il Freedom of Information Act ha aperto a giornalisti e studiosi l’accesso agli archivi di Stato statunitensi, a molti documenti riservati e coperti da segreto di Stato, di carattere storico o di attualità. Il provvedimento è un punto importante che garantisce la trasparenza della pubblica amministrazione nei confronti del cittadino (nello spirito di considerarlo quanto tale e non quanto suddito), e il diritto di cronaca e la libertà di stampa dei giornalisti.» [Wikipedia].

Due precisazioni:

  1. Il FOIA è stato emendato per normare l’accesso ai documenti elettronici (Electronic Freedom of Information Act – E-FOIA).
  2. Il principio generale è quello della libertà di informazione, mentre le esclusioni (che sono soltanto 9) sono specificate dettagliatamente.

Molti Paesi, oltre agli Stati Uniti, hanno una legislazione sulla libertà d’informazione. Trovate qui un quadro completo e aggiornato. Per il caso italiano (limitato all’accesso agli atti amministrativi) vi rinvio qui.

Per questo ritengo essenziale, proprio per dare realtà al movimento open data, che anche l’Italia si doti di un suo FOIA e per questo ho aderito a una campagna in tal senso. Chi fosse interessato la trova qui.

Vi segnalo anche l’articolo scritto da Valentino Larcinese e Riccardo Puglisi su LaVoce, Per un “Freedom of Information Act” italiano.

Bipartisan

Lo si sente pronunciare in molti modi, ma il Vocabolario Treccani non ha dubbi: ognuno fa un po’ come diavolo gli pare, in uno spirito sinceramente bipartisan.

bipartisanbaipàrtisän› agg. ingl. [comp. di bi- e partisan partigiano; propr. «partigiano di entrambe le parti in contrasto»] (in ital. pronunciato comunem. ‹bipàrtisan›). – Nel linguaggio politico e giornalistico, di persona, istituzione, movimento, ecc., che è accettato da entrambe le parti politiche in contrasto o che è disposto ad assumere le difese dell’una e dell’altra.

Il sito americano αlphadictionary ci informa su qualche altro punto rilevante:

  1. La pronuncia è questa.
  2. La “s” va pronunciata [z]: per questo un errore di spelling comune è scrivere “bipartizan”.
  3. La parola è stata introdotta nel linguaggio politico americano all’inizio del XX secolo, aggiungendo il prefisso bi- alla parola esistente partisan.
  4. Partisan è arrivata all’inglese a metà del XVI secolo (ci informa l’OED) attraverso il francese dall’italiano partigiano. Questa parola viene prevedibilmente dal latino pars, che a sua volta deriva – un po’ più imprevedibilmente – dal sanscrito purtam “ricompensa” e dalla radice ittita parshiya- “frazione, parte”.

Nell’uso italiano, secondo l’Accademia della crusca, la parola è attestata per la prima volta nel 1994:

Il termine bipartisan rivela la sua origine anglosassone non soltanto nella forma, accolta fedelmente in italiano, ma anche nel significato che rimanda al tradizionale sistema bipartitico di stampo anglosassone. In italiano è comparso quando si è cominciato a delineare un sistema politico bipolare favorito dal passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario.