Rugarli, Bachtin e i metadati (7)

Il libro di Rugarli che ho appena recensito (Le galassie lontane) riporta una curiosa conversazione a tavola a proposito delle teorie di Michail Michajlovič Bachtin, che sono decisamente rilevanti per la frammentaria discussione che andiamo conducendo sul tema dei metadati (per le altre puntate seguite i link: prima, seconda, terza, quarta, quinta e sesta).

Bachtin

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«La scoperta di Bachtin» Stanish tenne cattedra, «sta nell’aver messo il dito sulla inadeguatezza, sulla incompletezza delle parole. Le parole, contrariamente all’opinione più diffusa, non dicono niente di ciò che vorrebbero dire. O quasi niente. Sono fucilate che non colpiscono mai il bersaglio. Se affermo o scrivo “albero”, in realtà ho evocato una entità del tutto generica, perché di alberi, faggi, castagni, ciliegi, peri e così via, ve n’è un numero quasi infinito, e ciascuno perde o non perde le foglie, dà o non dà frutti commestibili, ha dimensioni, forme, colori assolutamente diversi. L’indeterminatezza non si esaurirebbe, se sostituissi al termine “albero” un termine più specifico, che so?, un termine come “acero”, perché gli aceri non sono eguali tra di loro. Il ragionamento dove porta? Non è che le parole siano da buttare via, niente affatto. Però è necessario sapere che esse alludono… che sono paragonabili a brevi accensioni di luce nella nebbia… e che guidano verso uno spazio congetturale, dove quello che manca, quasi tutto, deve essere aggiunto da chi ascolta o da chi legge. Spero di essere stato chiaro.» [p. 133]

Giampaolo Rugarli – Le galassie lontane

Rugarli, Giampaolo (2010). Le galassie lontane. Venezia: Marsilio. 2010. ISBN 978883170685. Pagine 240. 18,00 €

Le galassie lontane

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Un tenue filo lega la memoria di mio padre all’autore di questo romanzo, proprio attraverso la banca di cui si parla (ancorché con l’espediente di una minuscola foglia di fico, consistente nell’inventare qualche cognome un po’ storpiato o suggestivo, per me con un travolgente richiamo alle storie e alle parodie pubblicate su Topolino).

Il romanzo non è un capolavoro e si sgonfia un po’ via via che si procede: scrivere romanzi è evidentemente disciplina agonistica da passisti o da maratoneti. E poi non mi sembra perfettamente riuscito l’amalgama tra la vicenda politico-bancaria (chiaramente ispirata alla realtà storica e al vissuto dell’autore, come Rugarli stesso rivela nella prima appendice) e quella privato-sentimentale (tutta di fantasia, sempre a detta dell’autore).

Però Rugarli scrive molto bene, o quanto meno in uno stile che a me piace molto. E alcune frasi rivelano una vis polemica e sarcastica che mi è molto congeniale.

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Qualche esempio:

«Zanardi!» non potei fare a meno di esclamare. «Ma era un guardaportone e per giunta pigro, svogliato…»
«Lei ha una mentalità classista, reazionaria…» Granozi continuò a rimproverarmi, tra il serio e il faceto. «Oggi non occorre sapere, ma appartenere. E se lei non fosse stato un cane sciolto, avrebbe scansato un mare di guai […]» [p. 143]

Con il bemolle la nota scende di un semitono, mentre si eleva con il diesis. Del bemolle avevo fatto il mio imperativo […]. [p. 178]

«[…] Ho fiducia nel futuro. Il nostro Paese non potrà che peggiorare.» [p. 187]

[…]alcuni degli appellativi coi quali Antòn [Čechov] si rivolge a Olga: «Attriciuzza, gioia mia, bambina cara, amore mio, tesoro, angelo mio, coccodrillo dell’anima mia, colombella, sfruttatrice dell’anima mia, cane, cane mio meraviglioso, cagnolino mio, mio insetto, mio pesce persico, cimicetta mia, mio bel bassotto, cane mio scodato, cavallina, scarafaggetto, piccola tacchina, capodoglietto mio» […]. [p. 237]