Forza, pecchiamo: i 7 peccati capitali non sono poi male

Un articolo di Judy Dutton pubblicato il 17 agosto 2012 su mental_floss (come a dire, «il filo interdentale per la mente») torna sul tema dei 7 peccati capitali e – come aveva peraltro fatto Simon Laham con The Joy of Sin, che ho recensito qui – argomenta che sono tratti non deleteri, ma anzi potenzialmente utili, tant’è che sono stati “selezionati” dagli algoritmi dell’evoluzione.

Scientists have found that the seven deadly sins aren’t all bad. Consider this your official permission to give in to temptation. [Permission to Sin: Why The 7 Deadlies Aren’t So Terrible After All – Mental Floss]

Peccati capitali

mentalfloss.com

Ecco la lista:

  1. Accidia. Nel 2004, Timothy Lightfoot ha selezionato 2 stirpi di topi, atletici e pigri: i primi correvano sulla ruota per 8-13 km al giorno, i secondi per meno di 500 metri (ma c’erano anche quelli che nella ruota ci si facevano la cuccia!). Secondo le analisi di Lightfoot, la componente genetica spiegava più del 50% delle differenze di comportamento. Ma l’iperattività fa male: secondo uno studio del 2011 dell’University College di Londra, chi lavora più di 11 ore al giorno ha un rischio di attacco cardiaco del 67% maggiore degli sfaticati. La durata della giornata lavorativa è anche correlata positivamente con stress, affaticamento, depressione, affezioni muscolo-scheletriche, infezioni croniche, diabete e morte precoce.
  2. Lussuria. In uno studio che ha seguito 252 residenti della North Carolina per oltre 25 anni, il professor Erdman Palmore ha scoperto che gli uomini che facevano sesso almeno una volta alla settimana sono vissuti in media 2 anni più degli altri. Per le donne conta più la qualità: quelle che avevano dichiarato di amare l’attività sessuale sono vissute 7-8 anni di più.
  3. Invidia. Un’intensa gelosia ha un effetto di stimolo sulla performance in qualunque ambito d’attività  (lo affermano Sarah Hill e David Buss nel loro libro Envy: Theory and Research). È l’invidia che spinge la specie umana a ribellarsi al potere ingiusto e alle gerarchie troppo rigide: secondo il professor Nader Habibi, economista della Brandeis University, è stata l’invidia del successo della ribellione tunisina a stimolare l’ondata di rivoluzioni sulla sponda nord del Mediterraneo.
  4. Avarizia. Accumulare risorse è un evidente vantaggio evolutivo in situazioni di scarsità, come quelle che hanno accompagnato gran parte dell’esistenza della specie umana. Per questo, il circuito cerebrale del piacere opera con più intensità nell’aspettativa di un guadagno che nella sua realizzazione. Inoltre, secondo un modello di simulazione del 2010 del Politecnico di Zurigo, una certa dose di avarizia è necessaria alla creazione spontanea di nuclei di coesione sociale.
  5. Gola. In uno studio del 2005, il professor Leif Nelson della New York University ha sottoposto un questionario sul peso ideale del partner all’ingresso e all’uscita dalla mensa. Prima di pranzo, i maschi hanno dichiarato in media di preferire in una ragazza un peso di 56,9 kg, 1,2 kg in più di quelli intervistati all’uscita. Anche la disponibilità di danaro ha un effetto: quelli più squattrinati preferiscono ragazze più cicciottelle, sui 57,7 kg. Per le ragazze, invece, l’aver mangiato o meno non sembra influire sul peso preferito nel partner. Inoltre, secondo uno studio del 2010 dell’Università del Missouri, ispirano più fiducia i candidati a cariche politiche leggermente sovrappeso.
  6. Ira. In uno studio sperimentale del 2007, Wesley Moons dell’Università di California a Santa Barbara ha rilevato che, a fronte di un gruppo di controllo, i volontari artificialmente fatti adirare hanno fatto registrare una performance migliore in alcuni compiti cognitivi: probabilmente perché l’ira aiuta a sceverare gli aspetti importanti di un problema da quelli secondari.
  7. Superbia. In un esperimento del 2007, Julian Keenan della Montclair State University (New Jersey) ha trovato una forte correlazione negativa tra superbia e depressione clinica.

Le regole auree del previsore ideale secondo Julian Bigelow

Julian Bigelow (1913-2003), pioniere della cibernetica, fu uno stretto collaboratore di Norbert Wiener. Quando John von Neumann nel 1946 si accinse alla realizzazione del computer dell’Institute for Advanced Studies di Princeton e chiese a Wiener di segnalargli il nome di un candidato alla posizione di chief engineer, Wiener fece il nome di Bigelow, che divenne così un membro fondamentale del gruppo.

Il gruppo dello IAS

wikipedia.org / Julian Bigelow at The Princeton Institute for Advanced Study (Left to right: Julian Bigelow, Herman Goldstein, J. Robert Oppenheimer, and John von Neumann).

Nel 1940, Bigelow e Wiener furono incaricati da Warren Weaver (responsabile dei sistemi antiaerei statunitensi) di studiare un sistema di previsione e guida delle batterie: l’aviazione tedesca stava bombardando massicciamente la Gran Bretagna senza incontrare un’opposizione efficace, dal momento che all’epoca soltanto un proiettile antiaereo su 2.500 andava a bersaglio. Come racconta George Dyson nel suo Turing’s Cathedral, Bigelow e Wiener studiarono il problema in termini probabilistici. Nel dicembre del 1941, pochi giorni prima dell’attacco nipponico di Pearl Harbor, Bigelow scrisse a Warren Weaver una lunga (59 pagine!) lettera riservata, in cui erano tra l’altro contenute 14 «massime del previsore ideale».

Bigelow anzitutto raccomandava prudenza a proposito del concetto stesso di previsione:

We should clear any fog surrounding the notion of ‘prediction. […] Strictly and absolutely, no network operator – or human operator – can predict the future of a function of time. […] So-called ‘leads’ evaluated by networks or any other means are actually ‘lags’ (functions of the known past) artificially reversed and added to the present value of the function. [p. 112]

Le massime 7 8 e 9 recitano così:

  • Never estimate what may be accurately computed.
  • Never guess what may be estimated.
  • [If a guess is absolutely necessary] Never guess blindly. [p. 112]