Mura, Gianni (2012). Ischia. Milano: Feltrinelli. 2012. ISBN 9788807019180. Pagine 175. 9,99 €

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In realtà, avevo già detto tutto quello che avevo da dire su Gianni Mura in occasione del suo precedente avventurarsi nei territori del giallo, con Giallo su giallo: che adoro Gianni Mura (anche se non lo leggo più molto spesso) e che i consigli gastronomici sono interessanti. Identico il giudizio sintetico: «Leggibilissimo, ma ai limiti della truffa.»
Insomma, ci sono ricascato.
Il fatto è che, oltre a piacermi Gianni Mura, sono anche molto legato a Ischia – anche se sono alcuni anni che non ci metto piede – e la combinazione ha reso la tentazione irresistibile, anche se sapevo che cosa mi attendeva. Ne approfitterò per divagare.
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Intanto mi dà l’occasione di fare i conti con il caso Armstrong e togliermi di dosso un peso. Penso che chiunque abbia letto il libro in cui Lance Armstrong (insieme a Sally Jenkins) raccontava la sua vita (It’s Not About the Bike) non possa non aver provato simpatia per lui e non essersi sentito dalla sua parte: non solo e non tanto la battaglia contro il cancro, ma anche l’infanzia infelice con il padre biologico che non lo riconosce neppure e il patrigno che maltratta lui e la madre; questa madre così ingombrante e americana (anzi texana); le prime gare e le prime cadute; la Cofidis, la sua squadra, che lo scarica, con una scusa, alla prima notizia della diagnosi di cancro (Armstrong era tecnicamente un collaboratore a tempo determinato e il suo contratto era scaduto da 2 giorni!); la cruda scena della crioconservazione dello sperma; la battaglia disperata contro le metastasi. Armstrong in quel libro dava l’impressione di non averci nascosto nulla, di averci messo a parte di tutto. Umano, dopo aver avuto l’impressione di essergli stati vicini nella tragedia, condividerne anche i trionfi, le passerelle sugli Champs-Élysées con la flute di champagne in mano e i bimbi sul palco, l’impresa che non era mai riuscita a nessuno, 7 Tour di fila. Una bella favola a lieto fine. Troppo bella per essere vero. Armstrong era il diavolo in persona, «il peggiore di tutti si è scoperto chi è».
Gianni Mura, che è stato un tifoso di Armstrong, compendia bene la nostra delusione (su La Repubblica del 23 ottobre scorso):
Armstrong è saltato sul cavallo bianco e ha affascinato molta gente (me compreso, almeno i primi anni). Tutto sbagliato, tutto da rifare, Bartali ha sempre ragione. Così, Armstrong non è il primo malato di cancro che guarisce e vince in modo pulito sette Tour. Armstrong è il primo malato di cancro che guarisce e vince sette Tour in modo sporco. Su quest’ultima e definitiva verità ognuno può fare le sue considerazioni.
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Cambiamo registro. In Giallo su giallo Mura parla molto di gastronomia e, soprattutto, magnifica il cassoulet. Se non sapete di che si tratta (io non lo sapevo quando ho letto il romanzo di Mura): è una casseruola del Sud della Francia, in particolare del Languedoc. La versione originale sarebbe quella di Castelnaudary, anche se ne esistono altre versioni, da quelle “regionali” di Carcassonne e Toulouse, a quelle “locali” (Villefranche-de-Lauragais, Narbonne, Montauban, Pau e Pamiers). Chi ne vuol sapere di più può consultare la voce di Wikipedia.
Morivo dalla voglia di assaggiarla e mio figlio – che all’epoca studiava a Parigi – aveva scovato un ottimo ristorante, dove preparavano la versione (penso) di Tolosa: fagioli bianchi stufati fino a sciogliersi in bocca, confit de canard (“anatra candita”), salsiccia di Tolosa, lardo, cotenna, spalla di maiale disossata, cipolla, carota, crostini e lardoncelli.

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Un piatto non leggerissimo, la sera. Durante la notte, ho avuto qualche difficoltà di digestione, lo ammetto. Avete presente lo spot in cui il protagonista si sveglia con un irsuto cinghialone sullo stomaco? Forse, quando dopo il primo piatto, mi hanno riportato la casseruola ancora mezza piena chiedendomi se la volevo finire, avrei dovuto declinare l’invito. Ma era troppo buona per pensare alle conseguenze: il fenomeno è noto in letteratura come hyperbolic discounting e ne parla un famoso libro di George Ainslie del 2001, Breakdown of Will (su questo blog ne ho fatto un cenno qui). Il mattino dopo avevo un importante colloquio di lavoro, il motivo primario per cui ero a Parigi. Nonostante il cassoulet, o forse proprio per merito del cassoulet, me la sono cavata alla grande. Peccato che a volte persino in Francia gli esiti dei colloqui di lavoro siano predeterminati: ma questa è tutta un’altra (brutta) storia…
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Ho accennato prima del mio amore per Ischia e delle mie ultra-trentennali frequentazioni ischitane. E dovrebbe essere più che chiaro, dall’aneddoto precedente, che sono goloso e appassionato del mangiare (e bere) bene. Uno dei motivi, dicevo, per cui Gianni Mura mi piace e mi intrappola con i suoi gialli di pura bufala.
Sono rimasto perciò sorpreso dall’assenza, nelle sua pagine, del Focolare del Cretaio (in comune di Casamicciola, ma in realtà a un passo da Barano). Il Focolare è una trattoria, animata da Riccardo d’Ambra e dalla sua numerosa famiglia. Me l’aveva consigliata un amico, anni fa (autunno 2000 o 2001, direi), dandomi indicazioni passabilmente corrette sulla strada da seguire (all’epoca la trattoria era in un posto diverso da dove si trova ora). Il problema che Ischia è un labirinto di stradine e stradicciuole, soprattutto nell’entroterra, in genere strettissime, un incubo per chi guida. Sbagliando strada, finiamo in una piazza e interpelliamo un signore elegante per chiedere indicazioni su come raggiungere la trattoria Focolare. «Ma come,» fa lui, «non sapete che è stata devastata da un’invasione di conigli di fossa?»
Insomma, era Riccardo d’Ambra in persona, che stava uscendo da un posto dove si era appena concluso un convegno sul locale coniglio di fossa e si accingeva ad accompagnare i suoi ospiti alla trattoria, dove si sarebbe passati dalle parole ai fatti, cioè alla degustazione del coniglio all’ischitana. Fummo prontamente invitati ad aggregarci agli illustri convegnisti (ricordo in particolare l’illustre professor Corrado Barberis) e da allora sono stato al Focolare tutte le volte che sono stato a Ischia.
Al Focolare si mangia la cucina di terra di Ischia. I d’Ambra sono una famiglia numerosa e tutti i figli collaborano, ognuno secondo i suoi talenti e le sue specializzazioni, all’impresa paterna. Il segreto, mi sembra, sono la rilettura attenta delle tradizioni e l’utilizzo degli ortaggi e delle erbe locali.
Ma la storia che merita di essere raccontata è quella del coniglio di fossa. Poiché Giovanna Esposito l’ha fatto meglio di quanto potrei fare io, vi rinvio al suo post L’isola di terra: la vite, il coniglio. Buona lettura.

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Pochissime le citazioni meritevoli di essere riportate (riferimento come sempre alle posizioni sul Kindle).
[…] esteta estivo ed estatico. [969]
Il mare, pensa Magrite, lo contiene nel cognome. Mare, mer. Cosa resta? Git, gita. Gita-mer è cosa bilingue, da turisti. M’agiter è il suo anagramma. Sbagliato, perché si agita pochissimo. E anche ma tigre. Si chiamasse Magrice il suo anagramma sarebbe Grimace, smorfia. E sarebbe Magister se si chiamasse Magrites. [1123]
[…] la solitudine delle persone di buona volontà. [1275]
Per cena, il Melograno. Il giornalista gliene ha parlato bene. Lei, Libera, in cucina, lui, Giovanni, cantina e sala. [1824: ottimo, d’accordo, anche se un po’ fighetto; ma meglio il Focolare, mi dia retta Gianni Mura]