Oggi (28 dicembre 2012) a Roma è stata un’insperata giornata primaverile. Dopo un’alba nebbiosa si sono fatti strada: un sole smagliante, in primo luogo; una luce limpidissima (in secondo), un cielo terso (in terzo). Il tramonto si è poi riempito di una luce dorata e fosca quasi estiva.
Nel cielo di metà mattina, sopra il teatro dell’opera di Roma (anche se non mi sembra ci fosse Rossini in cartellone) si sono rincorse rumorosamente due gazze, facendo – appunto – una discreta gazzarra:
- Chiasso, baccano, dovuto di solito ad allegria esuberante e scomposta: far gazzarra; la gazzarra dei ragazzi nel cortile; una indecente, vergognosa gazzarra.
- anticamente: Strepito guerriero, d’armi o di grida, come manifestazione di giubilo: giunse l’ammiraglio … menando gran gazzarra e trionfo (G. Villani); l’artiglieria … cominciò a fare una lieta e spaventosa gazzarra (Varchi). Anche, sparo di fuochi artificiali.
Fin qui il solito Vocabolario Treccani. Peccato – e non potete immaginare quanto sia stata cocente la delusione per me, che di false etimologie mi nutro – che le gazze non abbiano nulla a che fare con la gazzarra, nonostante il loro verso sia rumoroso. Sempre secondo il Vocabolario Treccani gazzarra viene
dall’arabo ghazāra «folla, gran quantità», da cui anche lo spagn. algazara.

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Come potete vedere da soli, è un uccello molto bello e caratteristico, e non stupisce che alla gazza siano legate molte leggende. Messaggero di morte e uccello del malaugurio nella mitologia germanica, in una famosa nursery rhyme i presagi si sono differenziati e legati al numero di esemplari avvistati. A me, a Dublino nel 1966, l’avevano insegnata così:
One for sorrow,
Two for joy,
Three for a marriage,
Four for a boy.
La versione completa della nursery rhyme, secondo Wikipedia, è questa:
- One for sorrow,
- Two for joy,
- Three for a girl,
- Four for a boy,
- Five for silver,
- Six for gold,
- Seven for a secret,
- Never to be told.
Ma una più antica (circa 1780, registrata nelle Observations on Popular Antiquitites di John Brand) conserva tutta l’antico legame con la morte:
- One for sorrow,
- Two for mirth,
- Three for a wedding,
- And four for death.
Quella riportata in una raccolta pubblicata a Londra nel 1846 (M. A. Denham. Proverbs and Popular Saying of the Seasons) elabora il tema più ampiamente, ma oscilla ancora – curiosamente, in varianti entrambe attestate – tra morte ed eventi gioiosi:
- One for sorrow,
- Two for luck [or mirth],
- Three for a wedding,
- Four for death [or birth],
- Five for silver,
- Six for gold;
- Seven for a secret,
- Not to be told;
- Eight for heaven,
- Nine for hell,
And ten for the devil’s own sell!
Tra le tante canzoni ispirate alla filastrocca, ho trovata bella (e inquietante) quella del giovane cantautore Patrick Wolf, in duetto con la misteriosa e sempreverde Marianne Faithfull:
PATRICK: Magpie, was it you who stole the wedding ring? Or what other thieving bird would steal such hope away? Magpie, I am lost among the hinterland, caught among the bracken and the fern and the boys who have no name.
MARIANNE: There’s no name for us.
PATRICK: Still we sing.
MARIANNE: And still we sing. little boy, little boy, lost and blue, listen now, let me tell you what to do. You can run on, run along, alone or home between the knees of her; all among her bracken and her ferns and the boy will have a name.
BOTH: We will sing.
MARIANNE: And we will sing.
MARIANNE: One for sorrow.
PATRICK: Two for joy.
MARIANNE: Three for a girl.
PATRICK: Four for a boy.
MARIANNE: Five for silver.
PATRICK: Six for gold.
MARIANNE: Seven for a secret, never to be told.
A questo punto Rossini è meno inquietante …
… o no?
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