Boatti, Giorgio (2014). Un paese ben coltivato: Viaggio nell’Italia che torna alla terra e, forse, a se stessa. Roma-Bari: Laterza. 2014. ISBN: 9788858111987. Pagine 269. 10,99 €

images-amazon.com
Nella personalissima classifica dei miei interessi, l’agricoltura non occupa una posizione particolarmente elevata: forse perché da bambino ho trascorso in campagna periodi abbastanza lunghi (e abbastanza costellati da disavventure più o meno grandi, tra le quali una disastrosa caduta in bicicletta in un fosso pieno di ortiche, che mi fece decidere e affermare a cinque anni che io non ero un “campagnuolo”), forse perché – per quanto io non sia, della razza mia, il primo che ha studiato (per parafrasare il poeta) – le distanze dal mondo contadino non sono abbastanza grandi per tingerlo d’azzurro, color di lontananza (oggi mi ha preso così).
E allora perché ho comprato e letto questo libro? Un po’ per averlo iniziato su Il Post, che ne proponeva il primo capitolo (se volete potete farlo anche voi cliccando qui), un po’ perché devo occuparmi di agricoltura professionalmente (ho faticato a non scrivere: sono costretto a occuparmi) e tanto vale farlo con un libro promettente.
Promesse mantenute? In parte sì. O forse: in gran parte no, ma non è poi importante.
Mi spiego.
Boatti ha qualche anno più di me ma, almeno in parte, una formazione simile: anni Sessanta e Settanta, lotte studentesche, sinistra extraparlamentare. In parte, perché i pochi anni che ci separano fanno o facevano una gran differenza (quella tra aver vissuto la parte ascendente o quella discendente del Sessantotto); e anche la militanza nell’uno o nell’altro gruppetto la faceva e la fa. Ma insomma, un terreno comune c’è.
Non ci siamo mai incontrati (non che io ricordi, almeno) ma avremmo potuto. Però poi, inevitabilmente, le storie personali sono state molto diverse, almeno a leggere la biografia del nostro su Wikipedia.
Boatti parte per un viaggio programmaticamente di ricerca e ricognizione (il citato articolo su Il Post lo presenta così: «Boatti racconta il suo viaggio da sud a nord in ricognizione nel mondo contadino in Italia, viaggio condotto visitando i posti dove le persone più diverse con le storie e le motivazioni più diverse hanno ridato vita a cascine e masserie, rilanciando aziende e conservando un pezzo di storia economica e sociale italiana in nuovi modi.») ma – come dire?– il libro non è il resoconto oggettivo del viaggio, ma il monologo interiore dell’io un filino ipertrofico dell’autore.
Meglio così, nonostante qualche eccesso e una scrittura a volte un po’ barocca (oddìo, avevo scritto baricca! Sarà un lapsus freudiano?), le parti narrative sono migliori (secondo me) di quelle documentarie, dove a volte prevale un tono di letteratura propagandistica. Vi basti un esempio, di queste parti “aziendalistiche”: «Un modo efficace di fronteggiare la sfida è appunto quello di curare la qualità di ciò che si coltiva, fidelizzando la clientela e arrivando a costruire un brand, un marchio che sappia contraddistinguere il prodotto da quello della concorrenza.» [pos. Kindle 3742]
Il libro, comunque, si legge d’un fiato e con piacere.
* * *
Qualche citazione (riferimento alle posizioni Kindle).
“Imparai una difficile lezione. Quando si ha di fronte un compito enorme e difficile, che a volte si teme di non riuscire a portare a termine, questo compito, affrontato poco alla volta, giorno dopo giorno, senza fede e senza speranza, improvvisamente si realizzerà da solo”. [1069: la citazione è da Karen Blixen]
Realtà che, a suo parere, “rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone (mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada)”. [1392: questo, invece, è Italo Calvino, o meglio il barone Cosimo Rondò di Piovasco]
“Che bella giornata! Sembrano due”. [1606: questa è Federica, la mamma di Boatti]
Adesso a chiedere in giro, ai non addetti ai lavori, che cosa sia stata la mezzadria si collezionano espressioni interrogative e occhi stupiti.
Nessuno che sospetti che quella cartolina del Belpaese che è stampata nei nostri occhi, e che fa da biglietto da visita dell’Italia in tutto il mondo, sia l’impronta lasciata da questa secolare presenza: l’abitazione del mezzadro costruita nel posto meglio esposto al sole; le diverse coltivazioni, stagionali e permanenti, piazzate sui versanti più adatti per luce e vento e acque. In questo modo la vigna, il frumento, gli ulivi, i campi di foraggio disegnano il raffinato patchwork di tonalità che è ancora la vera filigrana visiva che percorre questo Paese. E poi il corso dei torrenti disciplinato per rallentare il loro precipitare a valle, lo snodarsi dei sentieri, il rettilineo o il sinuoso curvare dei filari, il sopravvivere dei boschi.
La mezzadria è l’artefice silenziosa, in buona parte, di tutte queste opere che nascono dal combinare assieme e far procedere su un comune obiettivo elementi dissimili, se non contrapposti. [1867]Con la “scomparsa delle lucciole”, peraltro rivelatasi, per quanto riguarda le lucciole stesse, del tutto transitoria, visto che sono tornate nelle nostre campagne, Pasolini fa riferimento in realtà alla trasformazione sociale, anzi antropologica, in atto nel Paese. [1917: su questo blog, ne abbiamo parlato qui]
“Dio e Satana si riconoscono soltanto da una cosa: Dio ti lascia libero di scegliere, non nascondendoti le strade e i destini diversi che ti si pongono davanti. Il diavolo invece ti mostra una strada sola, l’unica per il tuo bene, che è quella che lui ha pensato per te. Usa i mezzi che ha a disposizione per farti fare quello che vuole: la stampa, i mezzi di comunicazione, i libri, il cinema, un salario anche per non fare niente…”. [2167: questa citazione è invece di Gino Girolomoni, mistico e precursore del biologico]
“caparossoli” [2323: il nome chioggiotto delle vongole]
Dalla soddisfazione per il vertice di Voghiera, che ha allineato Francia, Italia e Spagna sulle future politiche per l’aglio (chissà se Dracula ha mandato le sue spie in questa località del Ferrarese, capitale nazionale dell’aglio, per progettare le adeguate contromisure), passo alla preoccupazione. [2764: è proprio Voghiera, in provincia di Ferrara, capitale dell’omonimo aglio DOP]
“Si è quel che si mangia”, dice un vecchio proverbio tedesco. [2860: veramente non è un proverbio, ma una famosa citazione di Ludwig Feuerbach – «Mann ist, was er isst.» – l’autore di L’essenza del cristianesimo, su cui ho scritto una tesina portata all’esame di maturità, gesto in sé abbastanza provocatorio in una scuola dei Gesuiti]
[…] dirsele, o darsele, di santa ragione. [3889]
martedì, 6 Maggio 2014 alle 14:15
Bel post, mi piace! 🙂
venerdì, 9 Maggio 2014 alle 12:12
[…] Giorgio Boatti – Un paese ben coltivato: Viaggio nell’Italia che torna alla terra e, forse, … […]