Martin Eden

Martin Eden, 2019, di Pietro Marcello, con Luca Marinelli, Jessica Cressy e Carlo Cecchi

Martin Eden (2019)
imdb.com

Meritatissima la Coppa Volpi per Luca Marinelli, deludente il film.

Brutta cosa, avere letto il libro. Soprattutto quando l’hai letto molti anni prima.

Certamente per mia ingenuità (ingenuità del mio sé di quegli anni), Jack London è sempre stato per me uno scrittore realista: sia per il carattere della sua scrittura aderente alla descrizione delle cose e degli eventi, sia per l’attenzione alla realtà e alle vicende rappresentate. Capisco (ora) che è una visione ingenua, perché non c’è scrittura senza centralità dell’autore, ma anche dopo tutte le precauzioni e le distinzioni, in Jack London l’attenzione all’ambientazione e al contesto storico mi sembra essenziale. Anche Martin Eden, romanzo certamente più complesso e “ideologico” del Richiamo della foresta e di Zanna bianca, ha una ben precisa collocazione nello spazio e nel tempo (Oakland e San Francisco all’inizio del Novecento) e, anche se in misura minore e più confusa (anche Jack London, come Martin Eden, era un autodidatta), nel dibattito ideologico: il darwinismo sociale e il superomismo di Spencer e Nietzsche vs. le teorie socialiste.

Per questo, la trasposizione della vicenda in una Napoli fuori del tempo e decontestualizzata (e gli spezzoni di documentario rimontati e ricolorati mi sembra peggiorino la situazione) a me pare del tutto ingiustificata. Peggio: mi sembra un profondo tradimento della lettera e dello spirito del romanzo di London.

Poco male, direte voi. E sono d’accordo. Il regista Pietro Marcello e lo sceneggiatore Maurizio Braucci hanno tutto il diritto di fare quello che vogliono e di chiederci di giudicare il film per quello che è e non per il romanzo che lo ha ispirato.

E io ci provo, a fare questo, dimenticando il libro. Allora: mi sembra un film riuscito? Direi di no. Un film sontuoso, certo, e probabilmente anche costoso. Una bella fotografia, intrigante, visionaria, a tratti sperimentale. Un’accurata scelta delle musiche. Ma della storia, una volta tagliato il cordone ombelicale del romanzo, che cosa resta?

Questa Napoli, in cui ci sono le macerie dei bombardamenti, la TV e le automobili, gli stabilimenti e le gru, lo sfruttamento bestiale e le prime lotte (si suppone, dato lo stato del dibattito e le fogge degli abiti), ma non ci sono apparentemente la camorra e la malavita organizzata, a che cosa rinvia? a una condizione astorica e archetipica, tipo “ci saranno sempre sfruttati e sfruttatori”?

E il mondo dei signori, con quelle case tutte specchi, carte da parati a fiori, sedie Chippendale e tappeti? in cui si è italiani e si parla con accento francese (forse per via della co-produzione)? L’incomunicabilità tra Martin ed Elena sfocia nel comico, temo involontario, quando lei – a proposito delle ambizioni letterarie di lui – parla di “impresa” intendendo business e Martin pensa più o meno agli eroici cimenti dei paladini o dei cavalieri della Tavola rotonda…

Socialisti e liberali sono entrambi da operetta.

Restano due aspetti: il dibattito ideologico tra individualismo e socialismo, la difficoltà a diventare scrittore (litterae non dant panem e con la cultura non si mangia).

Il primo aspetto è ormai del tutto irrilevante. Forse Spencer e il darwinismo sociale erano un issue nell’epoca (primi del Novecento) in cui London scriveva ed erano rilevanti per l’autore (ci torno tra un minuto). Ma oggi Spencer è morto e sepolto (personalmente spero non se ne parli nemmeno più nelle lezioni di storia della filosofia delle superiori), di Nietzsche si è capito che gli aspetti interessanti sono altri (e io penso che sia comunque un autore sopravvalutato), e non c’è un passo in Darwin (che continua a giganteggiare) che possa far ricondurre a lui il “darwinismo sociale” (che sopravvive soltanto in qualche fogna neonazista ed è conservato per documentazione in un laboratorio di massima sicurezza, come accade per il virus del vaiolo). E forse il dibattito non era rilevante neppure ai tempi di London, che se ne rammarica (in una lettera a Upton Sinclair):

One of my motifs, in this book, was an attack on individualism (in the person of the hero). I must have bungled, for not a single reviewer has discovered it.

Ultimo tema: la gavetta dello scrittore. Ovviamente un tema centrale, autobiografico, per Jack London. Ma qui il film – nella sua (voluta) infedeltà al romanzo – manca (penso volutamente) un passaggio fondamentale: l’improvvisa popolarità di Martin Eden autore dopo la pubblicazione del suo primo libro, che lo porta a essere un autore famoso e controverso e a pubblicare tutti i suoi precedenti lavori, che in precedenza erano stati rigettati dagli editori.

“The Shame of the Sun” was published in October.  As Martin cut the cords of the express package and the half-dozen complimentary copies from the publishers spilled out on the table, a heavy sadness fell upon him.  He thought of the wild delight that would have been his had this happened a few short months before, and he contrasted that delight that should have been with his present uncaring coldness.  His book, his first book, and his pulse had not gone up a fraction of a beat, and he was only sad.  It meant little to him now.  The most it meant was that it might bring some money, and little enough did he care for money.
[…]
Singletree, Darnley & Co. had cautiously brought out an edition of fifteen hundred copies, but the first reviews had started a second edition of twice the size through the presses; and ere this was delivered a third edition of five thousand had been ordered.  A London firm made arrangements by cable for an English edition, and hot-footed upon this came the news of French, German, and Scandinavian translations in progress. 
[…]
In the meantime the world had begun to ask: “Who is this Martin Eden?”  He had declined to give any biographical data to his publishers, but the newspapers were not to be denied.  Oakland was his own town, and the reporters nosed out scores of individuals who could supply information.  All that he was and was not, all that he had done and most of what he had not done, was spread out for the delectation of the public, accompanied by snapshots and photographs […].

[…]
“Overdue” was rushed upon the market by the Meredith-Lowell Company in the height of his popularity, and being fiction, in point of sales it made even a bigger strike than “The Shame of the Sun.”  Week after week his was the credit of the unprecedented performance of having two books at the head of the list of best-sellers. 
[…]
Money poured in on him, fame poured in on him; he flashed, comet-like, through the world of literature, and he was more amused than interested by the stir he was making.  

Questa assenza rende difficile comprendere l’evoluzione di Martin nell’ultima parte del film e la sua stessa fine, che non vi racconto per non privarvi della sorpresa, nell’ipotesi che lo vogliate vedere nonostante la mia recensione negativa…

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