La Stampa: giornalisti cialtroni e notizie decotte

La Stampa del 21 gennaio 2012 ha pubblicato questa notiziola con allegato video:

Siamo a Presov, Slovacchia. Nell’atmosfera austera e suggestiva di una sinagoga il violinista Lukas Kmit sta tenendo un concerto quando all’improvviso irrompe in sala l’inconfondibile suoneria di un celllulare [il refuso è nell’articolo de La Stampa]. L’artista si stizzisce, ma subito reagisce rispondendo a tono.

Qui sotto il link, dove potete anche vedere il clip:

Squilla il telefono il violinista risponde “a tono”-VIDEO- LASTAMPA.it

Perché Giornalisti cialtroni e notizie decotte? Presto spiegato:

  1. Giornalisti cialtroni: è una viola, non un violino. E non è necessario essere esperti di strumenti musicali per non fare questo errore. Basta copiare con intelligenza e stare appena appena attenti alle traduzioni a orecchio.
  2. Notizie decotte: il video è stato caricato su YouTube il 30 luglio 2011, dunque circa 6 mesi fa. Controllate se non ci credete.
    E allora, vi chiederete (come peraltro mi chiedo io) perché La Stampa se ne accorge soltanto ora? Non lo so, naturalmente, ma ho un elemento in più: dell’episodio ha parlato Cory Doctorow sul suo blog boingboing il 24 gennaio – dunque Doctorow non può essere stato la fonte de La Stampa, ma forse c’è una fonte comune. Se qualcuno lo scopre, ce lo faccia sapere.

Naturalmente, non è la prima volta che un musicista reagisce in modo spiritoso alle onnipresenti suonerie dei telefonini (anche se sono molti di più quelli che fanno finta di niente o interrompono comprensibilmente sdegnati l’esecuzione). Ecco un altro esempio:

Le teenager incinte poco informate sui metodi contraccettivi

Ce ne informa uno studio, pubblicato la settimana scorsa dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti e condotto su 5.000 ragazze.

A prima vista, la classica non-notizia: la metà di loro (il 50,1%, per l’esattezza), pur desiderando evitare la gravidanza, ha dichiarato che non stava usando alcun metodo contraccettivo quando è rimasta incinta. Interrogate il perché, il 13% ha lamentato di non aver avuto accesso a nessun contraccettivo, mentro oltre il 31% ha dichiarato: “Non pensavo di poter restare incinta in quel momento/in quel modo”. Un segnale inquietante di ignoranza.

Ancora più inquietante, però, l’altra metà, le ragazze rimaste incinte pur praticando una qualche forma di contraccezione: il 21% ha dichiarato di aver usato uno dei metodi considerati altamente efficaci (pillola,spirale, …); il 24% metodi di media efficacia (tra cui il preservativo) e il 5% metodi di scarsa efficacia (Ogino-Knaus, diaframma, coitus interruptus …).

Not-So-Shocking Study: Pregnant Teenagers Misinformed About Birth Control (Thanks, Abstinence-Only!) | AlterNet

Carrozzina

wikipedia.org

Lo base di dati su cui è stato effettuato lo studio si chiama Pregnancy Risk Assessment Monitoring System, in sigla PRAMS, che in inglese significa “carrozzine”.

Il report completo lo trovate qui: Prepregnancy Contraceptive Use Among Teens with Unintended Pregnancies Resulting in Live Births.

Mafe De Baggis » Mettiamocela via

Segnalato da il segnapagine del 24.I.2012 dello Scorfano e del Disagiato e trovato così bello da riproporvelo subito.

L’originale è qui:

Mafe De Baggis » Mettiamocela via

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(12 cose che ho imparato e che non ho più voglia di ripetere)

  1. Internet non esiste: è un luogo perfettamente coincidente con la realtà fisica, ci andiamo come andiamo in ufficio, al bar o in camera da letto. L’unica vera differenza rispetto agli ambienti fisici è che ci permette di essere ubiqui e/o invisibili.
  2. In Rete non ci sono conversazioni diverse, è che ascolti le conversazioni di persone molto diverse da te.
  3. Le relazioni online sono come le relazioni offline: poche sono profonde, moltissime sono superficiali, altrettante sono opportunistiche, di maniera o false.
  4. La tecnologia abilita il cambiamento, non lo genera: una persona che non ha niente da dire o da dare non diventa attiva e generosa solo perché può farlo. Spiegarglielo un’altra volta e un’altra volta è come spiegare una barzelletta se uno non ha riso la prima volta che l’hai raccontata.
  5. La tecnologia abilita il talento dove c’è, non lo crea.
  6. I nativi digitali sono abituati alla tecnologia, non consapevoli delle sue potenzialità e in quanto tali nati miracolati sulla via di Damasco: meravigliarsi o dispiacersi che usino Facebook per commentare X-Factor e non per fare la rivoluzione è come darmi un’asta e meravigliarsi se non salto da un palazzo all’altro.
  7. La consapevolezza dei significati di un medium (di qualunque medium) appartiene a una minoranza di professionisti. Colmare il digital divide non vuol dire far diventare tutti professionisti.
  8. In quanto abilitatore e non causa del cambiamento, i media digitali in quanto tali non sono belli o brutti, giusti o sbagliati, utili o pericolosi. Il tecnodeterminismo (di qualunque segno) è solo un escamotage per guadagnare il palcoscenico.
  9. Se qualcuno – anche competente – ti spiega con dovizia di particolari i problemi di Internet, ti sta raccontando i suoi problemi con Internet.
  10. Internet è un medium in cui prevale la scrittura parlata o, ancora meglio, il pensiero trascritto. Serve una nuova sintassi.
  11. Gran parte degli scambi che avvengono online hanno natura fàtica, non di trasmissione di informazioni.
  12. È la storia, non il libro.

 

Verso una rivoluzione delle peer review?

Nell’ambito della ricerca scientifica [sto riprendendo quasi letteralmente da wikipedia] la valutazione tra pari (comunque meglio nota con il termine inglese di peer review) indica la valutazione esperta eseguita da specialisti del settore intesa ad attestare l’idoneità alla pubblicazione scientifica su riviste specializzate.

La ragione principale della peer review sta nel fatto che è spesso molto difficile per un singolo autore, o per un gruppo di ricerca, riuscire a individuare tutti gli errori o i difetti di un proprio studio. Questo perché l’autore può essere vittima di bias o perché in un prodotto intellettuale innovativo un possibile miglioramento può essere proposto da persone con conoscenze molto specifiche. Di conseguenza mostrare il proprio lavoro ad altri ricercatori dello stesso campo di studi aumenta la probabilità che eventuali debolezze vengano identificate e, grazie anche a consigli e incoraggiamenti da parte del revisore stesso, corrette. Così la revisione raggiunge lo scopo ultimo di filtro delle informazioni e delle ricerche realmente affidabili ovvero verificabili e degne quindi di pubblicazione, scartando spesso quelle non originali, dubbie ovvero non convincenti, false o addirittura fraudolente. L’anonimato (quasi sempre garantito) e l’indipendenza dei revisori hanno poi lo scopo di incoraggiare critiche aperte e scoraggiare eventuali parzialità nelle decisioni sulla accettazione della pubblicazione o suo rifiuto o rigetto.

Il problema è che il processo di peer reviewing è oneroso (soprattutto per i referee, che in genere non sono retribuiti) e spesso estremamente lento.

Peer review

wikipedia.org

Ora – segnala The Scientist (A Peer Review Revolution? | The Scientist) – un gruppo di ricercatori finlandesi propone un servizio online, Peerage of Science. Non è più il comitato di redazione di una rivista scientifica che individua i referee e chiede loro di valutare l’articolo. Sono gli stessi ricercatori che fanno un upload del loro manoscritto, che viene automaticamente reso anonimo e reso disponibile per la valutazione soltanto ai membri registrati. Sulla base delle keyword dell’articolo, gli esperti della materia sono avvertiti e possono assegnare un punteggio da 1 a 5. Soltanto gli articoli che superano una soglia predefinita sono avviati alle riviste scientifiche del settore, che possono invitare l’autore a pubblicare l’articolo presso di loro (l’autore, ovviamente, può declinare l’invito).

A me pare un’idea promettente (anche se attualmente opera prevalentemente in ambito biologico e ambientale). Voi che ne dite?

Gibson, il profeta riluttante. Una seconda intervista sul suo nuovo libro

William Gibson

William Gibson (Credit: Michael O'Shea) – salon.com

On the Toronto stop of his book tour this month, William Gibson was asked by an earnest 20-something reader for advice: “Give my generation whatever you think is helpful for it to survive.” Where an author with an inflated sense of self-worth might have dispensed a few pearls of wisdom, Gibson replied that one should distrust people on stages offering programs for how to build the future.

As much as people look to Gibson as a prophet, the science-fiction writer who invented the term “cyberspace” (in the 1982 short story “Burning Chrome”) helped conceptualize the ways we interact with the Web (in 1984’s “Neuromancer” and later works) and foretold the explosion of reality TV (in 1993’s “Virtual Light”) is notoriously reluctant to predict the future. The title of his new collection of journalism and essays, “Distrust That Particular Flavor,” is taken from a piece on H.G. Wells where Gibson explains his suspicion of “the perpetually impatient and somehow perpetually unworldly futurist, seeing his model going terminally wrong in the hands of the less clever.” Though he’s often able to extrapolate from the present with great prescience, Gibson prefers to probe, not prescribe.

Continuate a leggere l’intervista a Gibson su Salon:

William Gibson: I really can’t predict the future – Science Fiction and Fantasy – Salon.com

La musica dei pianeti (da Pitagora a Bach)

Continuando l’esplorazione di musiche “strane” e contaminate, abbiamo qui Mandala di Daniel Starr-Tambor. A ogni pianeta del sistema solare è assegnata una nota della scala armonica naturale, dal Si di Mercurio al Do# di Plutone tre ottave sopra. È una composizione palindroma, il più lungo palindromo mai scritto.

Mandala

brainpickings.org

C’è anche un omaggio a Bach.

L’ho scoperto su Brain Pickings, un blog interessantissimo: l’ho già detto?

The Solar System Set to Music: A Near-Perpetual Homage to Bach | Brain Pickings

Nel video l’autore spiega come ha fatto e varie altre cose con dei cartelli. Buona visione e buon ascolto.

La musica degli anelli degli alberi

Immagino sappiate che il numero degli anelli che si vedono in un tronco d’albero tagliato permette di stabilire quanti anni aveva l’albero e che con questo modo si possono calcolare date di eventi lontani nel tempo.

Ma una “fetta” di tronco d’albero assomiglia anche a un vecchio 33 giri di vinile. Era soltanto questione di tempo che a qualcuno venisse voglia di suonarlo. L’ha fatto Bartholomäus Traubeck con un pezzo che si chiama, prevedibilmente, Years.

La storia completa la trovate qui: Hacked Record Player Turns Tree Rings Into Music.

Qui invece il video. Buon ascolto.

William Gibson parla del suo iPad

William Gibson

Michael O' Shea

Considerato uno scrittore di fantascienza, citato come il padre del cyberpunk e come colui che ha coniato il termine “ciberspazio”, William Gibson dimostra (ma non ce n’è bisogno per chi lo conosce e lo ama) di possedere un ingegno multiforme e quasi rinascimentale nella raccolta di saggi appena pubblicata, Distrust That Particular Flavor.

Distrust That Particular Flavor

boingboing.net

Barbara Chai del Wall Street Journal l’ha intervistato.

Sci-Fi Writer William Gibson on His iPad – Speakeasy – WSJ

William Gibson Calls SOPA ‘Draconian’ – Speakeasy – WSJ

Perché gli scarabei “danzano” sulla loro pallina di cacca?

Chi mi segue sa da tempo che il letame “allieta” i campi e non dovrebbe stupirsi che gli scarabei mostrino al suo cospetto tanta contentezza da ballarci sopra.

E anche chi conosce un minimo di mitologia egizia (o ha letto Perdido Street Station di China Miéville) sa che Khepri, lo scarabeo sacro, dio del sol levante, ha l’importante ma defatigante compito di far rotolare la pallina (merdosa) del sole tramontato per tutti gli inferi, fino a spingerlo di nuovo sopra l’orizzonte all’alba.

Scarabaeus nigroaeneus

newscientist.com

Ora un gruppo di ricercatori dell’Università di Lund in Svezia, guidato da Emily Baird, conferma che gli egizi non erano del tutto fuori strada.

Why scarab beetles dance on a ball of dung – life – 18 January 2012 – New Scientist

Fare una pallina di sterco è attività che consuma tempo ed energie. Gli altri scarabei potrebbero essere tentati di rubare una pallina già fatta invece di farne una loro. La competizione è forte.Allora conviene allontanarsi il più rapidamente possibile dalla “miniera” di cacca e nascondersi in un posto tranquillo per consumare in pace la propria pallina. Per questo è essenziale seguire una linea retta e non perdere la rotta: la “danza” dello scarabeo servirebbe dunque a orientarsi con il sole, ogni volta che perde la bussola.

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NAturalmente, il riferimento alla “pallina che s’indovina” è irresistibile. Io l’avevo sentita raccontata da Walter Chiari, ma scopro che ha una più antica (e ben più nobile) origine milanese, direttamente dai magnanimi lombi di Carlo Porta

Appenna l’è dessora, la ghe dis,
Coss’hin mò sti balett d’induvinà?
Lù el respond: Hin balette de Paris,
che s’induvina tutt domà a fregà
con dò, o trè de quist i man, o el mostacc;
se ne comanda, hin a bon prezzi affacc.

Anzi, a chi voeur provà specci dopò
a fam pagà, che l’abbia induvinaa.
Comè l’è inscì, la dis, là demen dò.
Ma usmand i man dopo avei ben fregaa,
questa l’è m…, la repia, o catto;
lù scapand el respund: L’ha indivinato.

[Appena sono di sopra, le gli chiede: Che cosa sono mai queste palline che s’indovina? Lui risponde: Sono palline di Parigi, che s’indiìovina tutto solo a sfregare due o tre di queste tra le mani, o sui baffi; se ne ordina, sono a buon prezzo.
Anzi, per chi vuol provere, aspetto a farmi pagare che abbia indovinato. Quand’è così, dice lei, me ne dia due. Ma fiutandosi le mani dopo averle ben ben sfregate, esclama: ma questa è merda, ohibò. E lui scappando: Vede, ha indovinato!]

[Carlo Porta, Febrar. In Claudio Beretta. Letteratura dialettale milanese. Milano:Hoepli. 1993]

Clamorose previsioni tecnologiche sbagliate

Ci si aspetterebbe che, nel comunque difficile e rischioso esercizio delle previsioni, almeno quelle tecnologiche fossero meno soggette a clamorosi errori. In fin dei conti, la tecnologia si evolve e si sviluppa, in genere incrementalmente.

Eppure, anche in questo campo, mettere insieme un florilegio di previsioni sbagliate è facile, ma nondimeno esilarante.

Almeno, David Pogue su Scientific American lo fa con eleganza, mettendo cioè nell’articolo una previsione sbagliata formulata proprio da lui.

  1. “Prevedo che Internet esploderà come una supernova e nel 1996 imploderà catastroficamente.” Robert Metcalfe, fondatore della 3Com e inventore di Ethernet, nel 1995 su InfoWorld.
    Metcalfe si è letteralmente rimangiato la previsione: nella sesta conferenza internazionale WWW, nel 1999, Metcalfe ha messo una copia del famigerato articolo in un frullatore e se l’è bevuto.
  2. “Le probabilità che un satellite per le telecomunicazioni possa essere sfruttato per produrre migliori servizi telefonici, telegrafici, radiofonici o televisivi negli USA sono praticamente nulle.” T.A.M. Craven, commissario della Federal Communications Commission (FCC) nel 1961. Trattandosi degli USA, e non dell’Italia, è stato licenziato.
  3. “Sì, c’è un mercato mondiale per i computer. Diciamo 5.” Thomas Watson, presidente dell’IBM, 1943. Parlava di quegli aggeggi grossi come una stanza e pieni di valvole. E tuttavia, bella cazzata lo stesso.

    IAS

    windoweb.it

  4. “Forse gli americani hanno bisogno del telefono, noi no. Noi abbiamo un sacco di fattorini.” Sir William Preece, responsabile tecnico del British Post Office, 1876. Dove sono i fattorini quando ne cerchi uno, adesso?
  5. “Il cosiddetto ‘telefono’ ha troppi inconvenienti per essere seriamente considerato uno strumento di telecomunicazione.” Memo interno della Western Union, 1876. L’ultimo telegramma della Western Union è stato trasmesso nel 2006.
  6. “Dopo 6 mesi dalla sua introduzione, la tv non sarà in grado di mentenere nemmeno la sua quota di mercato iniziale. La gente si stancherà presto di guardare tutte le sere una scatola di compensato.” Darryl Zanuck, 20th Century Fox, 1946. Infatti siamo passati dal compensato al metallo e alla plastiica.
  7. “Tutti si chiedono quando la Apple entrerà sul mercato con un suo telefono. Probabilmente mai.” David Pogue, The New York Times, 2006.
  8. “640K dovrebbero essere abbastanza per chiunque.” Bill Gates, 1981. Ma lui nega di averlo mai detto.
  9. “Entro 2 anni non avremo più spam.” Bill Gates, World Economic Forum, 2004. Al momento, è il 90% di tutto il traffico di e-mail.

Use It Better: The Worst Tech Predictions of All Time: Scientific American

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