Marcoaldi, Franco (2009). Viaggio al centro della provincia. Torino: Einaudi. 2009.
Marcoaldi è essenzialmente un poeta, di cui non avevo letto nulla (e di cui non leggerò, penso, più nulla in futuro).
Sono stato ingannato dalla quarta di copertina (caveat emptor, direte voi), e non è certo la prima volta:
Mezzo secolo dopo il Viaggio in Italia di Piovene, un poeta-reporter cerca, nella provincia italiana, i segni, le storie, il profilo piú vero di un Paese «oscuro a se stesso». E racconta il carattere dei nuovi italiani.
Purtroppo, non è così. Il libro è una raccolta – molto discontinua – di articoli scritti per la Repubblica e forse rivisti.
Brutto libro, che vi sconsiglio. Da una parte, Marcoaldi mi sembra attento soprattutto a compiacersi della sua “bella lingua” (che a me, inutile dirlo, non piace: insieme troppo “carica” di aggettivi e troppo ricercata). Dall’altra, mi sembra che i suoi incontri (sindaci, artisti, rettori universitari, imprenditori eccetera) siano orientati alle necessità di un giornalismo più di marketing territoriale che di inchiesta. Io, che pure mi picco di essere un cultore della materia dello sviluppo territoriale italiano, non sono stato arricchito dalla lettura di Marcoaldi. Forse ne sono stato persino un po’ impoverito, forse inquinato dai troppi luoghi comuni (i luoghi comuni sono tali perché sono la ripetizione acritica di un’opinione altrui, diffusa certo, ma non necessariamente nota: l’operazione di Marcoaldi dà risonanza nazionale ai luoghi comuni diffusi finora alla scala provinciale).
Certo fa impressione leggere in questi giorni l’incipit del capitolo dedicato a L’Aquila:
Se una città sceglie un determinato motto ci sarà pure una ragione. E la scritta Immota manet che compare sullo stendardo del capoluogo abruzzese in effetti dà da pensare, offrendo il destro a una duplice lettura: perché se da un lato rimanda alla tenacia di una città in grado di resistere ai ripetuti terremoti che hanno via via distrutto tante sue vestigia … [p. 108]
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