Io la conoscevo bene, 1965, di Antonio Pietrangeli, con Stefania Sandrelli, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Robert Hoffmann, Jean-Claude Brialy, Mario Adorf, Franco Fabrizi, Enrico Maria Salerno, Turi Ferro e Franco Nero.
Il film è un capolavoro, e non sono certo il primo a dirlo. Stefania Sandrelli un miracolo di freschezza e di bravura (ed è anche bellissima): nemmeno questo lo scopro io per primo. In più, per me che ci abito e lo amo (anche se di un amore molto contrastato), il fascino dell’Eur di quegli anni.
Quello che fa più impressione, rivedendo il film in questi giorni, è come l’Italia di oggi ci fosse già tutta, almeno in nuce, nella ricerca del successo della bella Adriana. Soltanto che ai tempi di Adriana la strada era una sola, quella del cinema e delle sue starlette, e adesso invece abbiamo 7 televisioni nazionali, moltissime emittenti locali, decine di riviste dedicate al gossip, veline, meteorine, letterine, letteronze e così via. Facile vedere il film e indignarsi, non solo per la sorte di Adriana, ma anche per quella sua capacità di farsi scorrere tutto sulla pelle, perché niente è poi importante, se non difendere un’apparenza di rispettabilità.
Oggi un’esperienza singolare, da segnare a parte. Incontrata Milena, ragazza bella e eccitante. […] Il fatto è che le va tutto bene, è sempre contenta, non desidera mai niente, non invidia nessuno, è senza curiosità, non si sorprende mai, le umiliazioni non le sente; eppure, povera figlia, dico io, gliene capitano tutti i giorni. Le scivola tutto addosso, senza lasciare traccia, come su certe stoffe impermeabilizzate. Ambizioni, zero; morale, nessuna, neppure quella dei soldi, perché non è nemmeno una puttana. […] Per lei, ieri e domani non esistono. Non vive neppure giorno per giorno perché già questo la costringerebbe a programmi troppo complicati, perciò vive minuto per minuto… prendere il sole, sentire i dischi e ballare sono le sue uniche attività… per il resto… è volubile, incostante, ha sempre bisogno di incontri nuovi e brevi, non importa con chi, con se stessa mai. [lo scrittore, interpretato da Joachim Fuchsberger]
Ma Adriana non è una deficiente, è una vittima; ma una vittima coerente con se stessa fino alla fine, a suo modo consapevole, tutt’altro che sprovveduta e incapace di autocoscienza (alla frase precedente, che trova su un foglio inserito nella macchina da scrivere dello scrittore, risponde: “Milena sono io, vero? Sono così… una specie di deficiente?”).
Basta cambiare il finale per avere un’opinione diversa sulla storia di Adriana e su quelle delle protagoniste delle vicende d’oggi? Se Adriana avesse poi raggiunto il successo, come succederebbe nel remake hollywoodiano, ce ne usciremmo dal cinema sorridenti invece che turbati? E se una velina di successo, invece di incontrare un calciatore o un presidente che la copre di gioielli si buttasse dalla finestra con chi ce la piglieremmo? Con lei, vaccinata e maggiorenne (o magari minorenne “legale”)? Con un malfunzionamento del patronage (eh già, perché che altro sono, secondo i criteri di oggi, gli ambigui Cianfanna e Roberto)?
Certo, Pietrangeli (e Scola, e Maccari): moralisti. Si indignano. Ma possono farlo soltanto perché quell’Italia di allora sembrava (a loro e agli spettatori) un’Italia marginale, rispetto a quella degli emigranti e dei lavoratori. La commedia all’italiana ce l’additava moralisticamente come una deviazione minoritaria, della Roma borghese corrotta e dei suoi parassiti e tirapiedi. E invece è quello, mi pare, il modello che ha vinto. Ed è chi cerca di lavorare seriamente che viene additato al disprezzo, e il moralista ci fa la figura del coglione (“Maddài, non sarai un moralista!”).