The Origin of Wealth

Beinhocker, Eric D. (2006). The Origin of Wealth: Evolution, Complexity, and the Radical Remaking of Economics. Boston: The Harvard Business School Press. 2007.

L’autore lavora alla McKinsey e il libro è pubblicato dalla Business School della pur prestigiosa università di Harvard: abbastanza da far storcere il naso a un economista “puro e duro” (oddio…) come me. Ma una rapida scorsa all’indice è stata sufficiente a farmi correre il rischio, e non me ne sono pentito.

Beinhocker è fondamentalmente un divulgatore e – direi – un divulgatore bravo ed efficace. Il libro è molto documentato e, soprattutto nelle prime 3 parti, arriva al punto essenziale senza perdersi in prediche e raccomandazioni. Molte cadute, però, nella quarta e ultima parte.

Insomma, andiamo con ordine.

Partiamo dalle ambizioni che, come potete giudicare voi stessi, non sono per nulla modeste:

What is wealth? How is it created? And how can we create more of it for the benefit of individuals, businesses, and societies? In The Origin of Wealth, Eric Beinhocker provides provocative new answers to these fundamental questions.

Beinhocker surveys the cutting-edge ideas of economists and scientists and brings their work alive for a broad audience. These researchers, he explains, are revolutionizing economics by showing how the economy is an evolutionary system, much like a biological system. It is economic evolution that creates wealth and has taken us from the Stone Age to the $36.5 trillion global economy of today.

By better understanding economic evolution, Beinhocker writes, we can better understand how to create more wealth. The author shows how complexity economics is turning conventional wisdom on its head in areas ranging from business strategy and organizational design to investment strategy and public policy. As sweeping in scope as its title, The Origin of Wealth will rewire our thinking about the workings of the global economy and where it is going. [dalla quarta di copertina]

Per tre quarti del libro, per quanto elevate le ambizioni, le promesse sono sostanzialmente mantenute. Beinhocker parte da una constatazione: che la scienza economica, soprattutto all’epoca della formalizzazione neo-classica, è stata fortemente debitrice delle idee e degli strumenti della fisica classica, e soprattutto della termodinamica. Per questo è diventata una scienza dei sistemi in equilibrio, da una parte, e una scienza che osserva i fenomeni “macro”, dall’altra. Mancavano, semplicemente, gli strumenti matematici e il paradigma scientifico per operare diversamente. Secondo Beinhocker (e io sono, per quello che conta, molto d’accordo) l’approccio micro, basato sull’interazione di molti agenti e sull’affiorare di pattern emergenti, consente di esplorare più fruttuosamente le situazioni lontane dall’equilibrio, di raccordare in modo fondato il livello micro con quello macro e di consentire l’analisi di situazioni lontane dall’equilibrio (come peraltro sono quelle che si osservano nella realtà). E, sopprattutto, a spiegare con fondamento la crescita economica. Inevitabilmente, queste riflessioni portano a cercare le spiegazioni fondamentali dei fenomeni economici nel paradigma evoluzionistico.

La terza parte del volume, quella dedicata a corroborare la tesi “How Evolution Creates Wealth”, è la migliore del libro. La cosa importante, e assolutamente condivisibile (o, almeno, assolutamente condivisa da me) è questa: il rapporto tra teoria darwiniana dell’evoluzione biologica ed economia non è semplicemente metaforico, ma reale:

As mentioned earlier in the book, evolution and economics have a mutually intertwined history stretching back to Darwin’s time some 160 years ago. Although many of the great minds of economics, from Alfred Marshall to Friedrich Hayek, wrestled with incorporating evolution into economics, they were ultimately limited by two things. First, they struggled with trying to map an understanding of biological evolution onto economic evolution, raising questions as, What is the economic equivalent of a gene? Is a group of companies a population? What constitutes a parent and an offspring in economic systems? Often, these early efforts were just as guilty of metaphorical reasoning as Walras, Jevons, and the other Marginalists. Instead of biology, our starting point in part 3 will be the generic, algorithmic view of evolution that we just discussed. The claim of the modern algorithmic view of evolution is that evolutionary systems are a universal class with universal laws. We can then ask whether the economy is a part of that class and subject to those laws. If the answer is yes, then the economic and biological worlds are both members of that universal class. They may be very different in their implementations of the algorithm, and thus asking what a parent and an offspring are in economics may make no sense. Nionetheless, the two worlds are still subject to the same general laws of evolutionary systems, thus explaining the strong (pardon the metaphor) family resemblance. [pp. 216-217 – il corsivo è mio]

I capitoli in cui si articola la terza parte argomentano la tesi che l’economia si evolva applicando l’algoritmo darwiniano (variazione, selezione, replicazione) in modo piano e convincente, tanto da far venire voglia di utilizzarlo in un corso introduttivo di economia. Personalmente, ho trovato particolarmente interessante l’idea che il processo evolutivo in economia ricerchi “soluzioni” all’interno di 3 spazi (quello strettamente economico dei business plan, ma anche in quelli delle tecnologie fisiche e delle tecnologie sociali).

Purtroppo, nella quarta parte, dove Beinhocker cerca di tradurre le idee della terza in indicazioni operative per le imprese (“What It Means for Business and Society”), gli interessi dell’autore (che viene da una grande società di consulenza aziendale) smettono di coincidere con i miei e, per la verità, trovo i suggerimenti in materia di strategia, organizzazione, finanza e policy fastidiosamente predicatori (oltre che banali). Ma forse è un problema mio: in genere, quando mi imbatto nelle pompose omelie dei consulenti aziendali, smetto di leggere immediatamente, e qui mi sono sorbito 130 pagine francamente inutili nell’incredulità che un autore che aveva scritto tante cose interessanti nelle 300 pagine precedenti potesse propinarmi un lungo elenco di luoghi comuni e buonsenso (o poco più, o poco meno).

Nonostante questi difetti (ma forse sono troppo ingeneroso), questo resta un ottimo libro, e le due parti centrali sarebbero più che sufficienti a raccomandarne la lettura.

Se volete farlo in modo economico (non mi risulta che il libro sia stato tradotto in italiano), su Google Libri potete leggerlo sul vostro schermo (lo trovate qui).

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