Pagani, Mauro (2009). Foto di gruppo con chitarrista. Milano: Rizzoli. 2009.
È forte la tentazione di essere tranchant: Mauro Pagani è un grandissimo musicista. Non è un romanziere.
Ma forse Pagani e il libro meritano un po’ di più. Certo. La storia è abbastanza convenzionale e la scrittura, ancorché corretta, non ha grandi slanci. Però Pagani ha il coraggio di mettersi in gioco, e l’espediente narrativo di essere un comprimario della storia, anziché il protagonista, depone a suo favore: in fin dei conti, ci immaginiamo tutti che le rockstar (e Pagani lo è, o quanto meno lo è stata) siano smisuratamente narcisistiche.
Il romanzo racconta quasi esattamente un decennio, dall’inaugurazione della stagione della Scala il 7 dicembre 1969 ai funerali di Demetrio Stratos a metà giugno del 1979. In quegli anni, esclusi gli ultimi due e mezzo, ero anch’io a Milano. Certamente non ero una rockstar (anche se ero un frequentatore di concerti, e ne ricordo uno al Vigorelli in cui la PFM suonava prima di Emerson Lake & Palmer, e un altro nel 1973 a Milano Marittima in cui la PFM suonava presentata da Carlo Massarini). In parte, i ricordi di Mauro Pagani – di 6-7 anni più grande di me – coincidono con i miei. Ma in gran parte no, sia perché la differenza d’età a quell’età pesa e parecchio; sia perché, appunto, lui era un musicista dapprima e una rockstar subito dopo, e io uno studente di sinistra ma piuttosto studioso; sia perché, soprattutto, sospetto che Pagani si sia a tratti fatto prendere dalle licenze dell’epica. Ad esempio, tanto per pignoleggiare, a pagina 86, un amico del protagonista “cercava di intonare qualcosa che somigliava vagamente a Let it be.” È la notte del 10 dicembre 1969. Vabbè che il tipo era strafatto di acido, ma non mi risulta che tra gli effetti dell’LSD ci sia il dono della profezia: Let it be è stata pubblicata il 6 marzo 1970.
In definitiva. Una lettura piacevole, che però lascia poco. Un’occasione, per i miei coetanei milanesi, per qualche ricordo. Probabilmente sincero, ma non del tutto veritiero.
Ma a Mauro Pagani perdoniamo tutto, per aver fatto cose come questa (giusto per ricordare Demetrio Stratos, con cui Mauro Pagani stava per iniziare una collaborazione):
o questo:
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