Come il tenente Colombo, ci ho messo un bel po’ a capire che cosa non mi tornava nella nevicata romana della notte tra il 3 e il 4 febbraio. Un caso di dissonanza cognitiva, direi, che suona meglio che dire che una cosa non ti torna.
La mattina del 4 febbraio, dopo che durante la notte a Roma Sud si erano depositati 15-20 cm di neve, mi sono svegliato in un silenzio irreale. Sulla strada in cui abito, di solito abbastanza trafficata, non passavano macchine; né si sentivano voci umane. Quando ero bambino a Milano le mattine di neve non erano annunciate dal silenzio, ma dal rumore caratteristico delle pale che sgombravano strade e marciapiedi e ammucchiavano la neve in piccole catene montuose sul bordo tra marciapiede e carreggiata stradale.

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Non ricordo mezzi spazzaneve, negli anni Cinquanta-Sessanta, ma molto lavoro manuale. All’inizio dell’inverno il Comune emetteva un’ordinanza che, oltre a stabilire gli obblighi dei proprietari degli edifici, stabiliva le modalità e i compensi del lavoro giornaliero di spalatura.
La cosa è ben raccontata in una scena di Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti (tra il 16° e il 22° minuto):
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