Amis, Martin (2012). Lionel Asbo: State of England. London: Jonathan Cape. 2012. ISBN 9780224096201. Pagine 288. 14,28 €

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Quanto a me piaccia Martin Amis l’ho già detto altrove (qui e qui), come ho già detto che capita, e abbastanza spesso, di restare un po’ delusi.
Direi che nel caso di Lionel Asbo è anche peggio: Amis torna a raccontare la Londra contemporanea (come il sottotitolo, che era stato anche il titolo con cui il romanzo era noto nei circoli letterari mentre Amis lo stava scrivendo) e la mia speranza era che si tornasse ai fasti di quello che io considero il suo capolavoro (London Fields). Invece, nonostante l’indiscussa capacità mimetica e il perfido sarcasmo, sparsi a piene mani, il libro è molto deludente. Anzi, se mi permettete il francesismo, fa proprio incazzare. Tutto questo talento sprecato, Martin Amis: potresti essere il più grande scrittore inglese vivente, come praticamente ti scrivi da solo sui risvolti di copertina, e invece ti abbandoni alla strada più facile.
Fa rabbia vedere sprecato un talento che è capace di scrivere frasi memorabili come questa:
He took one last look around. Yes, the luxury of the garden was the luxury of space and silence; and the luxury of the library was the luxury of thought and time. [3308]
Come ha scritto Amanda Craig nella sua recensione pubblicata sull’Independent del 10 giugno 2012:
A satirical novel needs archetypes, not clichés.
E per me questa è l’ultima parola e la condanna definitiva di un romanzo che vorrebbe essere morale, e riesce a essere soltanto profondamente angosciante e spesso compiaciutamente disgustoso.
Se siete di animo sensibile, non leggete questo romanzo: non vi piacerà e vi risparmierete un bel po’ di angoscia.
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Non sto a raccontarvi la vicenda. Vi basti la presentazione di Einaudi, che lo sta traducendo e lo pubblicherà a fine anno:
Lionel vince il primo premio della lotteria. È una cifra astronomica che lo trasforma di colpo in uno degli uomini più ricchi del Regno, un’improbabile figura pubblica tallonata dai paparazzi, dai tabloid e dall’ormai proverbiale circo mediatico di “nani e ballerine”. L’ignorante, rozzo, sboccato, volgare, criminale (e forse assassino), cafonissimo ma irresistibile Lionel, del resto, è esattamente quello che il pubblico brama, accogliendolo con la stessa morbosa attenzione che fino a quel momento era stata dedicata ai calciatori e alle loro mogli, ai membri della famiglia reale e alle loro amanti. Un Martin Amis mai così polemico, disperatamente divertente e sarcastico, intinge la penna nell’inchiostro della grande tradizione inglese della satira sociale (da Swift a Ballard) e disegna il ritratto ultra realistico di una vera e propria “egemonia sottoculturale globale”.
Lionel si chiama in realtà Pepperdine, come la mamma Grace (una ragazza-madre con 7 figli), ma al compimento del diciottesimo anno d’età cambia il suo cognome in Asbo, l’acronimo per Anti-Social Behaviour Order.
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Giusto un paio di citazioni. Il riferimento è come di consueto alle posizioni sul Kindle:
Well, Grace Pepperdine, Granny Grace, had not attended all that closely to her education, for obvious reasons: she was the mother of seven children by the age of nineteen. Cilla came first. All the rest were boys: John (now a plasterer), Paul (a foreman), George (a plumber), Ringo (unemployed), and Stuart (a seedy registrar). Having run out of Beatles (including the ‘forgotten’ Beatle, Stuart Sutcliffe), Grace exasperatedly christened her seventh child Lionel (after a much lesser hero, the choreographer Lionel Blair). Lionel Asbo, as he would later become, was the youngest of a very large family superintended by a single parent who was barely old enough to vote. [277]
NEETs were those Not in Employment, Education or Training. NEDs were Non-Educated Delinquents. [4369]
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Piccola innovazione. Ho “curato” una pagina di recensioni del romanzo su Scoop.it – Lionel Asbo.
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