De Cataldo, Giancarlo (2012). Io sono il Libanese. Torino: Einaudi. 2012. ISBN 9788858406335. Pagine 131. 6,99 €

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Sono un lettore appassionato di Giancarlo De Cataldo. Mi era molto piaciuto, alla sua uscita, Romanzo criminale (nessuna recensione, perché questo blog non era nato). Ancora di più mi è piaciuto Nelle mani giuste., che ne era in più d’un senso il seguito; mi era sembrato potente e coraggioso (affiorava il tema della trattativa tra Stato e mafia, ed è un romanzo pubblicato 5 anni fa). Purtroppo quella resta, secondo me, la sua prova migliore. La forma della paura mi era sembrato un romanzo minore, dettato da esigenze dell’industria culturale (non so se nel frattempo ne abbiano tratto il film di cui il libro, più che un romanzo, sembrava la sceneggiatura). I traditori vedeva il ritorno di Giancarlo De Cataldo alle grandi ambizioni, ma non ai grandi risultati artistici. [Ho letto anche In giustizia – che non è un romanzo ma una riflessione sulla professione del giudice – in una versione e-book non Kindle, e il risultato è che non riesco più a trovarne traccia e, poiché non l’ho recensito subito, ne ho perso anche il ricordo: il che non mi sembra il sintomo che si tratti di una riflessione indimenticabile…]
Insomma, dovrei dire piuttosto: sono un lettore seriale e compulsivo, ma non corrisposto, di Giancarlo De Cataldo.
Io sono il Libanese è – lo si capisce già dal titolo – un prequel (una volta si diceva antefatto, ma suonava meno à la page) di Romanzo criminale. Già questo dovrebbe insospettire (e io mi sono insospettito, ma la compulsione ha prevalso). Il libanese è ancora un pischello, la vicenda si svolge tra la fine del 1976 e l’inizio del 1977, ci sono le femministe e le gonne a fiori, e anche i collettivi, ma il Settantasette cupo ed esaltante è del tutto al di fuori dal romanzo e dalle corde di De Cataldo.
In realtà quello che mi viene da scrivere – con un pizzico di perfidia, ma molta verità – è che questo libro è un musicarello in prosa. E poiché la canzone in questione è una delle preferite di DM, eccola qui, nella versione del 1971:
E quella del quarantennale:
Potrei anche finirla qui, se non mi fosse rimasto un dubbio, di quelli che non gliene importa niente a nessuno, ma io mi ci arrovello (d’altro canto, diceva Albert Einstein: «I have no special talent. I am only passionately curious.»).
Scrive De Cataldo:
Sulle tegole spioventi, a mezzo metro sotto di lui, una gabbiana vigilava gli incerti passi del suo pulcino. Bianco spettro contro l’orizzonte, comparve il maschio, starnazzando minaccioso. [1656]
La domanda che mi turba il sonno: Ma all’inizio del 1977, a Roma, c’era già stata l’invasione di gabbiani reali (Larus cachinnans) che sperimentiamo ora?

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venerdì, 27 luglio 2012 alle 20:22
secondo me non c’era ancora stata l’invasione. mi sa che è un fenomeno degli ultimi anni. comunque, quando i gabbiani seguono il peschereccio, è perchè pensano che del pesce verrà gettato in mare. mi sa che il celebre aforisma di cantona lo usa anche de cataldo per i suoi lettori compulsivi 😉
sabato, 28 luglio 2012 alle 10:50
Eric Cantona, il maître à penser
giovedì, 11 aprile 2013 alle 16:11
[…] Italo Svevo) o assicurativo (Franz Kafka). Tra i dirigenti pubblici, soltanto ai magistrati (come De Cataldo o Carofiglio) è rimasto abbastanza tempo libero per scrivere […]
domenica, 24 novembre 2013 alle 19:26
[…] Questo blog contiene ormai una serie di recensioni di opere di Giancarlo De Cataldo e mi risparmio un po’ di fatica (e risparmio a voi un po’ di ripetizioni) citando quanto avevo già scritto a proposito di Io sono il Libanese: […]