Come spesso accade per questi eventi traumatici, ricordo perfettamente dove mi raggiunse la notizia della stragedi Bologna del 2 agosto 1980. Ero arrivato a Milano il giorno prima per passare qualche giorno con i miei prima delle vacanze “vere”; mia nonna accese la radio per un notiziario; pensammo subito tutti ai fascisti, erano anni che facevano le prove generali. Venendo da Roma, ero passato dalla stazione di Bologna quasi esattamente 24 ore prima, ma – dato che erano i giorni dell’inizio delle ferie di massa e data la posizione nodale di Bologna nel sistema ferroviario italiano – è una coincidenza che condivido con moltissimi.
Ho scritto da poco sulla strage, recensendo un romanzo bruttino (Strage) di Loriano Macchiavelli. Vi si adombra l’ipotesi (ancorché solo romanzescamente) dell’esplosione avvenuta per errore. Non lo penso. E per una volta non la pensa così neppure la magistratura: c’è una sentenza in giudicato (23 novembre 1995), che individua i responsabili, tra gli altri, in Francesca Mambro e Giusva Fioravanti.
I 2 si proclamano innocenti, e ne hanno il diritto.
Forse qualcuno ricorderà Fioravanti come il figlio piccolo di una fortunatissima serie televisiva del 1968-69, forse la prima sit-com o soap-opera (non sono un esperto): era bravissimo e simpaticissimo. Cito da Wikipedia:
La famiglia Benvenuti è una serie TV italiana degli anni sessanta andata in onda su Raiuno e considerata la capostipite delle moderne fiction televisive in quanto scritta appositamente per la televisione da Alfredo Giannetti che ne cura anche la regia.
Narra le vicende di una famiglia italiana appartenente alla media borghesia: padre, madre, due figli e la governante. La serie riscuote molto successo da parte del pubblico in quanto – attraverso la narrazione di fatti quotidiani medi, non eccezionali – riesce ad attivare un forte meccanismo di personificazione e proiezione.
Ma per quanto il personaggio interpretato da Fioravanti da piccolo potesse essere simpatico, il Valerio terrorista e il Fioravanti ergastolano non suscitano in me alcuna comprensione. Lascio parlare Stefano Nazzi e l’articolo che ha scritto oggi per il Post, Il 2 agosto 1980 e altre storie.
C’è un documentario, Un solo errore, girato da Matteo Pasi e dedicato alla strage della stazione di Bologna. In un’intervista Giusva Fioravanti, che per quella strage è stato condannato all’ergastolo, dice «che il presidente dell’associazione delle vittime della strage (Paolo Bolognesi) in quell’attentato ha perso una suocera. E la suocera non è una vera perdita». Dice ancora Fioravanti: «Bolognesi è un vecchio partigiano, è la carica ideologica che lo muove». Dà le pagelle alle perdite: la suocera vale poco, evidentemente.
Quella suocera si chiamava Vincenzina Sala, il 2 agosto 1980 era andata alla stazione di Bologna con il nipotino Marco, sei anni, il figlio di Paolo Bolognesi. Erano lì ad aspettare Paolo e la moglie, che tornavano da un viaggio in Svizzera. L’esplosione li travolse: Marco venne devastato, sfigurato, riconosciuto dai genitori solo per una voglia sulla pancia. Il 3 agosto Sandro Pertini andò in ospedale, ne uscì piangendo, disse «Ho visto un bambino che sta morendo». Non morì Marco, ma i segni di quel giorno li porta ancora addosso: ha invalidità superiori all’80%. Il corpo di Vincenzina venne riconosciuto solo per una doppia fede nuziale al dito. La testa non fu trovata. Il deputato Raisi ha detto però che la suocera di Bolognesi non morì quel giorno, ma tre anni dopo.
Parlano. Giusva Fioravanti ha tutto il diritto di continuare a proclamare la sua innocenza. Ha tutto il diritto di dire, come chiunque altro, ciò che vuole. Ma io il diritto di ricordarmi che era Giusva Fioravanti. Ricordarmi di lui e di quelli che erano con lui: Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati, Gilberto Cavallini che il 27 aprile 1976 insieme ad altri camerati in via Uberti, a Milano, squarciò a coltellate l’addome di Gaetano Amoroso, “vestito da compagno”. Ricordarmi di quando Fioravanti e i suoi venivano a Milano, per cercare compagni da ammazzare anche in trasferta.
Ci sono storie che continuano a mettere i brividi. Il 28 febbraio 1978 Fioravanti e i suoi a Roma sono a “caccia di rossi”. In piazza San Giovanni Bosco ci sono alcuni ragazzi su una panchina che si stanno facendo una canna: Fioravanti e i suoi scendono dall’auto, sparano. Scialabba è colpito al torace ma non è morto. Fioravanti gli sale a cavalcioni, lo guarda e lo finisce con due colpi in testa. Si stava solamente facendo una canna, Roberto Scialabba.
Ce ne sono tante di cose da ricordare, non solo il 2 agosto 1980.
Ecco, ricordatevi anche questo, di Giusva Fioravanti.
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