Giosuè Carducci e il premio Vogon di poesia

Oggi, come sanno tutte le persone che meritano di consumare le limitate e forse (ma forse no) inesauribili risorse di questo pianeta, è Towel Day. Se non lo sapete, non avete diritto alcuno sulle limitate e forse (ma forse no) inesauribili risorse di questo pianeta, né di nessun altro pianeta della Galassia. It’s as simple as that.

wikimedia.org/wikipedia/commons

Voglio celebrare questo giorno a modo mio, istituendo un premio galattico di poesia Vogon o, quanto meno, offrendovi uno scoop.

Come sa chi ha letto The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy (su questo blog ne abbiamo parlato più volte, da ultimo qui), i Vogons amano la poesia, ma la loro poesia è tra le peggiori dell’universo.

Chi sono i Vogons? OK, andiamo per ordine. I Vogons sono gli esseri che Renato Brunetta e Marianna Madia sognano dopo aver mangiato la coda alla vaccinara di sera, i peggiori burocrati dell’universo:

They are one of the most unpleasant races in the Galaxy. Not actually evil, but bad-tempered, bureaucratic, officious and callous. They wouldn’t even lift a finger to save their own grandmothers from the Ravenous Bugblatter Beast of Traal without orders – signed in triplicate, sent in, sent back, queried, lost, found, subjected to public inquiry, lost again, and finally buried in soft peat for three months and recycled as firelighters. The best way to get a drink out of a Vogon is to stick your finger down his throat, and the best way to irritate him is to feed his grandmother to the Ravenous Bugblatter Beast of Traal. On no account should you allow a Vogon to read poetry at you.

La poesia, appunto. The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy ne riporta un esempio. Arthur Dent e Ford Prefect sono costretti ad ascoltare questo brano, e a dire che è piaciuto loro, prima di essere gettati nello spazio profondo da un oblò:

Oh freddled gruntbuggly,
Thy micturations are to me
As plurdled gabbleblotchits on a lurgid bee.
Groop, I implore thee, my foonting turlingdromes,
And hooptiously drangle me with crinkly bindlewurdles,
Or I will rend thee in the gobberwarts
With my blurglecruncheon, see if I don’t!

Ma la poesia Vogon non è la peggiore della Galassia. In effetti – ci rivela Douglas Adams – è la terza in ordine di schifezza:

Vogon poetry is of course the third worst in the Universe. The second worst is that of the Azgoths of Kria. During a recitation by their Poet Master Grunthos the Flatulent of his poem “Ode to a Small Lump of Green Putty I Found in My Armpit One Midsummer Morning” four of his audience members died of internal haemorrhaging, and the President of the Mid-Galactic Arts Nobbling Council survived by gnawing one of his own legs off. Grunthos is reported to have been “disappointed” by the poem’s reception, and was about to embark on a reading of his twelve-book epic entitled “My Favourite Bathtime Gurgles” when his own major intestine, in a desperate attempt to save life and civilization, leaped straight up through his neck and throttled his brain. The very worst poetry of all perished along with its creator, Paula Nancy Millstone Jennings of Greenbridge, Essex, England, in the destruction of the planet Earth.

Scoop: la peggior di tutte le poesie non era in origine quella di Paula Nancy Millstone Jennings of Greenbridge, Essex, England (poetessa inventata da Douglas Adams), ma Paul Neil Milne Johnstone, un poeta reale, che ottenne da Douglas Adams che il suo nome venisse rimosso dal libro (compariva nella serie radiofonica originaria). Una poesia di Johnstone, e giudicate voi:

The dead swans lay in the stagnant pool.
They lay. They rotted. They turned
Around occasionally.Bits of flesh dropped off them from
Time to time.
And sank into the pool’s mire.
They also smelt a great deal.

Non male vero? Ma penso che anche la poesia italiana meriti di competere per il prestigioso primato nella classifica della peggiore poesia dalla Galassia, e per questo vi propongo una poesia di Giosuè Carducci, proprio quello che vi hanno fatto studiare a scuola. È la storia di un trovatore francese del XII che si era innamorato della contessa di Tripoli senza averla mai vista. Quando finalmente la vede, muore. Ecco che cosa riesce a farne Carducci:

JAUFRÉ RUDEL

Dal Libano trema e rosseggia
su ‘l mare la fresca mattina:
da Cipri avanzando veleggia
la nave crociata latina.
A poppa di febbre anelante
sta il prence di Blaia, Rudello,
e cerca co ‘l guardo natante
di Tripoli in alto il castello.

In vista a la spiaggia asiana
risuona la nota canzone:
“Amore di terra lontana,
per voi tutto il cuore mi duol”.
Il volo di un grigio alcione
prosegue la dolce querela,
e sovra la candida vela
s’affligge di nuvoli il sol.

La nave ammaina, posando
nel placido porto. Discende
soletto e pensoso Bertrando,
la via per al colle egli prende.
Velato di funebre benda
lo scudo di Blaia ha con sè:
affretta al castel: – Melisenda
contessa di Tripoli ov’è?

Io vengo messaggio d’amore,
io vengo messaggio di morte:
messaggio vengo io del signore
di Blaia, Giaufredo Rudel.
Notizie di voi gli fur porte,
v’amò vi cantò non veduta:
ei viene e si muor. Vi saluta,
Signora, il poeta fedel. –

La dama guardò lo scudiero
a lungo, pensosa in sembianti:
poi surse, adombrò d’un vel nero
la faccia con gli occhi stellanti:
– Scudier, – disse rapida – andiamo.
Ov’è che Giaufredo si muore?
Il primo al fedele rechiamo
e l’ultimo motto d’amore. –

Giacea sotto un bel padiglione
Giaufredo al conspetto del mare:
in nota gentil di canzone
levava il supremo desir.
– Signor che volesti creare
per me questo amore lontano,
deh fa che a la dolce sua mano
commetta l’estremo respir! –

Intanto co ‘l fido Bertrando
veniva la donna invocata;
e l’ultima nota ascoltando
pietosa ristè su l’entrata:
Ma presto, con mano tremante
il velo gettando, scoprì
la faccia; ed al misero amante
– Giaufredo, – ella disse, – son qui. –

Voltossi, levossi co ‘l petto
su i folti tappeti il signore,
e fiso al bellissimo aspetto
con lungo sospiro guardò.
– Son questi i begli occhi che amore
pensando promisemi un giorno?
E’ questa la fronte ove intorno
il vago mio sogno volò? –

Sì come a la notte di maggio
la luna da i nuvoli fuora
diffonde il suo candido raggio
su’l mondo che vegeta e odora,
tal quella serena bellezza
apparve al rapito amatore,
un’alta divina dolcezza
stillando al morente nel cuore.

– Contessa, che è mai la vita?
E’ l’ombra d’un sogno fuggente.
La favola breve è finita,
il vero immortale è l’amor.
Aprite le braccia al dolente.
Vi aspetto al novissimo bando.
Ed or, Melisenda, accomando
a un bacio lo spirto che muor –

La donna su ‘l pallido amante
chinossi recandolo al seno,
tre volte la bocca tremante
co ‘l bacio d’amore baciò.
E il sole dal cielo sereno
calando ridente ne l’onda
l’effusa di lei chioma biona
su ‘l morto poeta irraggiò.

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