Democracy Index 2018: l’Italia perde 12 posizioni

Ieri, 9 gennaio 2019, l’Economist (o meglio l’Economist Intelligence Unit, EIU, la divisione di ricerca e analisi del gruppo che pubblica il settimanale) ha pubblicato l’edizione 2018 dell’annuale Democracy Index (Political participation, protest and democracy).

Non sono un tifoso delle classifiche, e sono perfettamente consapevole dei limiti in cui si incorre nella costruzione di indicatori compositi e complessi, essendo stato un operatore della statistica pubblica per quasi 25 anni. Il lavoro dell’EIU, se non altro, ha il merito di rendere pubbliche le sue metodologie: il relativo capitolo occupa 17 pagine delle 62 di cui si compone il rapporto.

Un punto su cui vorrei si riflettesse è che – per quanto affetti da errore possano essere le singole valutazione e i procedimenti di sintesi – la caduta di 12 posizioni è troppo grande per essere sottovalutata o passata sotto silenzio. Un secondo punto riguarda l’autorevolezza e la visibilità della fonte: non ci si può permettere di liquidare con un’alzata di spalle il giudizio qui formulato. Siate pur sicuri che qualcuno là fuori (i famigerati mercati, Soros, Bilderberg, la Trilateral, la Spectre…) ne prenderà nota e prenderà le sue decisioni tenendo conto anche di questo elemento.

La classifica stilata dall’EIU anno dopo anno è piuttosto stabile. Le prime e le ultime posizioni non sono cambiate di molto rispetto allo scorso anno. Ma nella parte centrale della classifica c’è stato un certo movimento. I due paesi che hanno perso più posizioni (17) sono entrambi nell’America centro-meridionale, Nicaragua e Venezuela. Ma se ho ben capito, noi siamo al terzo posto per entità della caduta: siamo precipitati più della Turchia (dieci posti persi) e della Russia (nove). Insomma, non siamo in compagni di fulgidi esempi di democrazia.

Secondo gli analisti dell’EIU, in Italia nelle elezioni parlamentari di marzo il venir meno della fiducia nelle forze politiche tradizionali ha prodotto una clamorosa vittoria per il Movimento 5 Stelle (M5S) e la Lega – il primo definito forza anti-establishment e la seconda forza euroscettica. La coalizione di governo che ne è scaturita ha assunto una posizione dura contro l’immigrazione. Siamo classificati tra le “democrazie imperfette” (e non tra le “democrazie piene”), ma almeno tra queste siamo in buona compagnia in Europa (le altre sono Portogallo, Francia, Belgio, Cipro e Grecia). La spiegazione del declino – secondo il rapporto, che ci accomuna in questa spiegazione all’Austria – è che l’incapacità dei grandi partiti tradizionali di affrontare le preoccupazioni e le insicurezze di fasce importanti della popolazione ha premiato le forze anti-sistema e che, a loro volta, le misure adottate dai nuovi governi hanno trascinato verso il basso i punteggi relativi a cultura politica, funzionamento del governo e libertà civili.

All’Italia sono dedicati un capoverso e un focus. Li riporto qui (parafrasati) nella mia traduzione:

In Italia, le elezioni parlamentari di marzo hanno visto la clamorosa vittoria del Movimento 5 Stelle (M5S), che ha conquistato il 33% dei voti, e della Lega, che si è assicurata il 17%. Il Partito Democratico (PD) di centro-sinistra, che era al governo, ha riportato una bruciante sconfitta. Le elezioni hanno messo in evidenza il malcontento popolare legato alla situazione economica e alle preoccupazioni per l’immigrazione. Dopo lunghi negoziati, a fine maggio le due forze vincitrici si sono accordate per formare una coalizione. Fin dalla formazione del governo, Matteo Salvini, leader della Lega, ministro dell’Interno e vice primo ministro, ha dominato l’agenda politica con la sua posizione dura contro l’immigrazione.

 

Il focus è intitolato “Il governo anti-sistema e la minaccia alle libertà civili”.

L’Italia ha sperimentato una caduta importante della sua posizione nella classifica complessiva del Democracy Index, scendendo al 33° posto, dal 21° del 2017. La profonda sfiducia nelle istituzioni politiche, compresi parlamento e partiti, ha alimentato il crescente sostegno a “uomini forti” e l’indebolimento della componente di “cultura politica” dell’indice. Questa disillusione è culminata nella formazione di un governo anti-sistema che include la Lega, partito xenofobo di estrema destra.

Il ministro dell’interno, vice primo ministro e leader della Lega, Matteo Salvini, ha spesso usato una retorica anti-straniera, ampiamente criticata dalle associazioni per i diritti umani. In qualità di ministro dell’interno, Salvini ha sostenuto lo sfratto di membri della minoranza Rom da case “occupate” in città come Roma e Torino nel mese di luglio, nonostante l’ordine emanato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. A settembre l’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni unite, Michelle Bachelet, ha dichiarato di voler inviare osservatori dell’ONU in Italia per indagare sul crescente numero di attacchi contro i richiedenti asilo e la popolazione Rom.

Anche in materia di immigrazione il nuovo governo italiano ha adottato una linea più dura rispetto al precedente. In giugno e luglio il governo ha rifiutato di far attraccare navi che trasportavano migranti salvati in mare durante il viaggio verso l’Europa. Alla fine di agosto ha minacciato di trattenere il contributo al bilancio comunitario a meno che tutti i 150 migranti su una nave della guardia costiera italiana, l’Ubaldo Diciotti, in attesa del permesso di attracco nel porto di Catania, non fossero accolti da altri paesi dell’UE. A settembre la signora Bachelet ha dichiarato che la decisione del governo di rifiutare l’ingresso per il salvataggio delle navi che trasportano migranti ha avuto “gravi conseguenze per le persone più vulnerabili”.

Tutti questi aspetti contribuiscono ad aumentare il rischio di deterioramento delle libertà civili. Oltre a considerare esplicitamente la tutela dei diritti umani e la discriminazione, il Democracy Index tiene conto del fatto che il governo invoca nuove minacce come alibi per limitare le libertà civili. Alla fine di novembre il Parlamento italiano ha approvato il cosiddetto Decreto Sicurezza del governo, che potrebbe porre fine alla protezione umanitaria per circa centomila migranti. Il governo ha anche minacciato di sospendere la sua partecipazione a una missione internazionale volta a sostenere la guardia costiera libica se altri paesi membri dell’UE non accetteranno un maggior numero dei migranti salvati dalla missione, per la maggior parte destinati a sbarcare in porti italiani. Infine, l’Italia si è unita al gruppo di paesi che si oppongono al Global Compact on Migration, un accordo non vincolante proposto dalle Nazioni Unite, segnalando la volontà di sfidare le istituzioni internazionali sulla politica migratoria.

 

 

William T. Vollmann – Europe Central

Vollmann, William T. (2005). Europe Central. New York NY: Viking. 2005. eISBN: 9781101118191. Pagine 832. 14,04 €.

Forse la prima cosa da dire – almeno questa è la mia soggettiva impressione – è che dopo avere letto questo romanzo non ascolterete mai più Šostakovič allo stesso modo di prima, soprattutto l’Op. 40 e l’Op. 110, ma anche la Settima sinfonia.

Ma andiamo con ordine. Devo ringraziare Il barbarico re (ma chissà se si fa ancora chiamare così da qualcuno) per il suggerimento. Ho acquistato il libro la sera stessa che me lo ha consigliato. per la verità me ne aveva parlato già un paio d’anni fa in occasione di una bella esecuzione del Quartetto Op. 110 al Museo Bilotti di Roma il 17 febbraio 2017. Ma non avevo prestato sufficiente attenzione.

Il romanzo è monumentale, non soltanto per la lunghezza (più di 800 pagine, e ci ho messo un buon mese e mezzo per leggerle), ma anche per il respiro e per le ambizioni. Viene fuori alla distanza, dopo un po’ di disorientamento iniziale. La narrazione, infatti, procede grosso modo cronologicamente, mentre le storie seguono i diversi protagonisti – in parte inventati, ma per lo più “ricreati” a partire da persone reali (oltre a Dmitri Šostakovič, Käthe Kollwitz, Friedrich Paulus, Andrej Andreevič Vlasov e altri). Un “romanzo storico”, dunque, ma sui generis. Il tema è l’immane conflitto tra Germania e Russia, e tra i due dittatori che le guidavano (senza però nessuna equiparazione tra le due, salvo che una grande compassione per le sofferenze dei due popoli). Nonostante le molte diversità, difficile non pensare a Vita e destino di Vasilij Grossman: altro romanzo monumentale e straordinario, che ho letto nel 2013, ma non recensito per colpevole pigrizia.

Eviterò di fare una recensione anch’essa lunghissima. Mi limito di consigliarne vivamente la lettura a chi voglia impegnarsi a capire meglio il Novecento, le radici del totalitarismo (che non sono ancora estirpate) e i grandi rischi che comporta (comprese la guerra, lo sterminio e la completa disumanizzazione). Il libro (che conserva il titolo originale) è stato tradotto in italiano da Gianni Pannofino e pubblicato da Mondadori nella collana Strade Blu nel 2010: in questa edizione si superano le mille pagine.

Se volete una bella recensione, lunga ed esauriente (anche se non sono sempre d’accordo con l’autore), vi consiglio quella di Giuseppe Genna (autore anche lui di un libro su Hitler, bruttino, che ho letto e recensito qui). Nel rinviarvi al testo completo della recensione, che trovate su carmillaonline, vi riporto la parte dedicata a Hitler in persona:

Da pagina 164 a pagina 180, questo genio neorinascimentale (ma anche neogreco e neobabilonese e tutti i neo più epici della storia della letteratura universale) compie ciò che nessuno è riuscito a compiere: narra Hitler. La narrazione di Hitler è difficile, al punto che se ne hanno pochissimi esempi – il romanzo latita a fronte dello sbaglio a cui induce la rappresentazione del Führer. Spiegarlo, renderlo umano, renderlo disumano, farne leggenda, abbassarlo a figurina polverosa, dichiararlo perdente, essere asettici nei suoi confronti: come si vede, tra alcune opzioni di narrazione possibile, ciascuna risulta immorale, eticamente scorretta, sbagliata drammaturgicamente. Ciò semplicemente perché Hitler non è un personaggio. Vollmann coglie proprio questa gigantesca falla, che non si dimostra affatto una chance narrativa: vede il buco bianco Hitler e lo attraversa, facendolo chiudere dall’interno. Questo capitolo di poche pagine, Il sonnambulo, è un’opera nell’opera, è il centro della Centrale Europa narrata con sforzo omerico. In nemmeno venti pagine Vollmann compie un gesto impressionante, che a mio parere non ha pari nella storia della narrativa contemporanea occidentale. Vengono narrate, per brevi metope, alcune diseguali gesta del sonnambulo e della realtà da lui innescata. Il sonnambulo: è scritto così, semplicemente in minuscolo, non nominato se non con questa qualifica che lo mette in contatto con l’umanità, ma anche lo separa dall’umanità, lui che vorrebbe separare l’umanità da se stessa. Non si è mai visto infatti un sonnambulo che lo sia per tutta la sua vicenda esistenziale. In sedici pagine Vollmann esaurisce l’avventura tragica in cui Hitler trascina il mondo, la sua grottesca e quasi ineffata seminagione di male – e ciò senza mitizzare Hitler nemmeno in una frase. Chi scrive ha affrontato di persona, con mezzi di intelletto e vocazione artistica assai inferiori a quelli di Vollmann, il problema della narrazione di Hitler e assicura che quanto è stato realizzato in Europe Central ha dell’incredibile, del sovraumano: e cioè dell’umanissmo. Qui l’arte non sutura affatto la ferita, ma è mimetica dello svuotamento a cui Hitler deve essere sottoposto affinché gli sia impedita ogni vittoria postuma. Ecco un esempio della prosa e della visione e del trattamento che Vollmann riserva a Hitler per svuotarlo trattenendo tutto quanto è stato, in modo che non continui a essere:
“Il sonnambulo, nel suo cappotto grigio chiaro (i nostri ricordi di lui si sono fatti così grigi e sgranati) anela a essere un altro Gunnar. Non è forse un apripista anche lui? Non è forse stato abile a incantare tutti i serpenti fino a quel momento? E la sua Germania sarà Gúthrun. La Germania deve morire feroce, mettendo a fuoco ogni cosa…”
Il sonnambulo sogna cosa? La realtà. Tanto che riesce a muoversi in essa, quasi fosse sveglio, agilmente, non urta, incede. Incide nella realtà e sulla realtà, essendone di fatto separato per un fatto di percezione – per un fatto coscienziale che lo separa dalla veglia e dall’umano. Lo separa sì, ma chi si azzarderebbe a dire che un sonnambulo non appartiene all’umanità?

Come di consueto, qualche citazione (il riferimento è alla posizione Kindle):

(People forget that Hagen, the man who murdered Siegfried, was also a German. He had his reasons. This war was Siegfried’s war. The next war would be Hagen’s.) (757)

The woman with the dead child is me, myself. And the child is also myself. (1160)

The future doesn’t exist until it happens. (1247)

Pyotr Alexeev, with whom I sometimes do wet work, told me a funny one yesterday. It seems that a herd of kolkhozniks with fresh manure on their shoes get to Moscow; you know; they’re shock workers; they’ve won the prize! Think of them as Rodchenko’s robotlike abstract paper cutouts painted with dark oil and mounted on circular wooden bases. The guide explains that they are now in the world capital of progress, abundance, freedom, you name it. Eventually one of the farmers comes up timidly and says: Comrade Leader, yesterday I walked all over the city and didn’t see any of those things! The guide has just the right answer. He replies: You should spend less time walking around and more time reading newspapers! (1256)

[…] the piano was the skeleton; the cello was the flesh; he was the knowledge and commemoration; she was the life. (1615)

I’m only a mollusk; I need to hide forever within your lovely shell […] (1622)

[…] imagining the future, then mistaking imagination for foresight, is one of life’s luxuries; (1644)

And how can love be self-ironic? (1709)

She loved him without understanding him, which may be the noblest love of all. (2287)

I love you, he said. I love you, too, very very much. I need you. No you don’t! she cried in a panic. You don’t need to need anybody. You love me. That’s enough. (4692)

Paulus himself believed far less in luck than he did in application. (6594)

[…] the skin of her naked throat was as perfect as a political idea. (8147)

Those Greek caryatids, they’re female without being human. (8551)

And the further those subjects (I mean objects) get altered in accordance with the purpose, the more problematic it becomes to perceive their irrelevantly human qualities. I quote the testimony of Michal Chilczuk, Polish People’s Army (he’d participated in the liberation of Sachsenhausen): But what I saw were people I call humans, but it was difficult to grasp that they were humans. What did Chilczuk mean by this? To put it aphoristically, a human skeleton is not human. (8875)

[…] when you flee one menace for another, the world will call you brave. (9969)

Send me out, and I’ll take the wires in my teeth; who cares what happens after that, as long as their signal goes through? (10123: mi ha fatto venire in mente Underground di Kusturica)

After all, one of life’s best pleasures is reading a book of perfect beauty; more pleasurable still is rereading that book; most pleasurable of all is lending it to the person one loves. (10220)

When you separate from a woman, what you have to do is kill your love for her; you have to blockade it and starve it to death, just as the sleepwalker set out to do in Leningrad; that’s the only way. (10669)

Soviets had antidotes to everything, even unfortunate facts. (10864)

That was how I learned that no is stronger than yes. It takes two yesses for I to become we, but only one no for we to break apart, no matter what the other party wishes. (11121)

Frau Lange had much on her side: logic, experience, and, above all, love. (11284)

Happiness is the absence of unpleasant information. (12105: forse l’aforisma più bello del libro)

You can’t hide your secrets from me, Mitya. When you were sleeping with that slut Elena I could literally smell her on you. That cheap, catty smell of her—ugh! You’re a man who has to have affairs. Maybe I would have preferred to love somebody different, but that’s how it is, right? Well, are you going to answer me or not? I, I don’t see what this has to do with— Maybe the only person that an artist can be faithful to is himself. Maybe he’s got to betray everybody else. (12633)

Just as in winter we frontline men dread abandoning our dugouts, because it’s so difficult to dig new ones in the frozen ground, so he did not want to give up Ustvolskaya, especially now that his penis could no longer perform its world-historic task; there was nothing more to it than that. (13337: the world-historic task!)

(The center of the world is Leningrad, which is Stalingrad, which is Auschwitz.) (13902)

When his death began, it was as if successive shrouds, each one so gauzy as to be nearly transparent, kept settling over his face, strangling away the breath almost tenderly, with Irina bending over him in the hospital ward, screaming his name like a shrilling telephone. He could hear her longer than he could see her, for the shrouds kept swirling down so that her image steadily greyed into a blackness deeper than meaning, and although for a little while longer he could almost perceive the reflection of her presence swimming on the nightstruck waters, she was fading very rapidly now; indeed, before he had time to mistake her for a certain other woman, she’d vanished with an almost playful suddenness, so that he sank irremediably alone into his velvet agony which drowned and tickled him while a blood-red spot rushed before him in ever-narrowing spirals. (14365: la morte di Šostakovič)