Firmin

Savage, Sam (2006). Firmin. Adventures of a Metropolitan Lowlife. Minneapolis: Coffee House Press. 2006.

Raggiunto un certo successo oltreoceano, da noi è stato salutato come un capolavoro (è stato la grande scoperta della recente Fiera del libro di Torino, come ci racconta La Stampa). Non lo è.

L’idea generatrice è certamente avvincente: un ratto antropomorfo ma non troppo, che non è carino come Topolino e meno che mai ne condivide il perbenismo americano; piuttosto un ratto dickensiano, un po’ hobo e un po’ maudit. Gran divoratore di libri (sia in senso letterale, sia nell’accezione metaforica), ma anche pornofilo accanito, perdigiorno, spia, perverso polimorfo (da un punto di vista rattesco, naturalmente) e persino potenzialmente incestuoso. Fin qui, tutto bene: spostati di tutto il mondo unitevi. Tutti noi bibliofili, o meglio divoratori onnivori di libri, siamo un po’ perversi e per soprammisura antisociali nel senso gucciniano del termine (qui la rara versione dell’Equipe 84).

Dove il libro mostra la corda (a parte la lingua sempre un po’ sciatta) è quando si passa dall’autobiografia del ratto al quadro sociologico della neighborhood di Scollay Square destinata alla distruzione: qui l’autore imbocca una strada nostalgica e mielosa (la vena dal duls, diceva il mio maestro Martinoli) e passa dal sano e cinico realismo a una nostalgia che sa di zucchero filato. E, dopo aver dimostrato di saper iniziare un libro con un incipit memorabile, finisce nel modo più scontato possibile.

Peccato. D’altra parte l’autore, giunto tardivamente al suo primo romanzo, pubblicato presso una piccola casa editrice, non aveva probabilmente grandi ambizioni. La sensazione è che il lancio in grande stile sia opera di Einaudi-Stile libero, alla ricerca di un caso letterario da imporci a suon di marketing (negli Stati Uniti il libro è al di sotto del 160.000° posto nella classifica dei best-seller di Amazon).

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