Ci sono cose che mi provocano un’emozione tutta particolare (quella che fece esclamare ad Archimede ηὕρηκα e a tutti gli altri ah-ha!). E una felicità profonda e duratura, speciale, quella del problema risolto. Inaspettatamente. Chi l’ha provato mi capisce; gli altri penseranno che sono un pazzo o un poveretto. Pazienza.
Veniamo al sodo. Molti di noi, oltre all’italiano come lingua materna, hanno anche un dialetto “materno”, sentito fin dalla più tenera infanzia, assimilato e non “studiato”. Per me è il suzzarese, un mantovano dell’Oltrepò. Un dialetto difficile, diverso dall’italiano di Dante e di Manzoni, pieno di prestiti dei dominatori francesi e tedeschi, con qualche radice celtica (immagino). Un dialetto contratto, con poche vocali, poco musicale (salvo che per noi di quelle parti…).
Un dialetto pieno di parole misteriose: ad esempio, “maiale” si dice gugiöl. Perché? Da dove viene? Me lo sono sempre chiesto, ma non ho risposta.
Invece, una risposta l’ho avuta oggi, inaspettatamente, per un’altra parola misteriosa. Vespa (l’insetto, non lo scooter), in suzzarese, si dice aŝiöl. Il perché non l’ho saputo fino a stasera, ore dopo aver scritto il post su assillo. Poi ho visto la luce. Un flash. Ovvio: asiolus, il tafano che punge; aŝiöl, la vespa che punge. La sorpresa è soltanto che i rudi bovari suzzaresi parlassero (anche) latino, oltre alla loro gutturale lingua celtica. L’avranno imparato da Virgilio, nato a pochi km.
Concludo citando il lemma da Al disiunàri Suzzarese-Italiano di Roberto Villa (Edizioni Publi Paolini, 2003):
Aŝiöl: vespa: “‘L è rabì cmē ‘n aŝiöl!” (è arrabbiato come una vespa); “‘L ē cmē stigà ‘n argnàl ‘d aŝiöi” (è come istigare un nido di vespe).
Ecco, così vi fate un’idea anche voi della musicalità del suzzarese.