Perché l’American Community Survey è importante

Negli Stati Uniti, il partito repubblicano sta combattendo una battaglia per l’abrogazione dell’American Community Survey, una rilevazione del Census Bureau che produce a cadenza annuale dati con un buon dettaglio territoriale.

L’American Community Survey è considerato universalmente (repubblicani esclusi, naturalmente) un grande successo e un modello da seguire. Se ne è discusso anche in Italia, come una prospettiva da adottare dopo il Censimento generale del 2011.

In questo video, il professor William Frey dell’Università del Michigan spiega perché abrogare l’American Community Survay sarebbe un errore.

Le pagelle d’epoca fascista in un articolo di Salon.com

Salon riprende oggi, 8 giugno 2012, un articolo di Steven Heller originariamente pubblicato su Imprint.

Belle e curiose le immagini, che per noi italiani di una certa età sanno soprattutto di vecchia burocrazia: le nostre pagelle non erano poi tanto diverse, a parte le icone della propaganda.

Fascist report cards – Salon.com

 

Pagella 2

Pagella 4

Don’t worry, be happy: Bobby McFerrin, Maria Popova, Valeria Pini e la cialtroneria di Repubblica.it

La Repubblica di oggi, 8 giugno 2012, nella sezione Scienze (!!!) pubblica un articolo dedicato a un’analisi della famosissima canzone di Bobby McFerrin “Don’t worry, be happy”:

“Don’t worry, be happy”
Questa canzone ci salverà

Il brano di McFerrin, uscito nel 1988, da più di 20 anni è un vero “inno alla felicità”. La rivista scientifica Brain Pickings svela per la prima volta quali sono i punti di forza di questo testo che trasmette impulsi positivi al nostro cervello e agisce quasi come un medicinale per l’umore

di VALERIA PINI

Il resto dell’articolo lo potete leggere qui: “Don’t worry, be happy” Video Questa canzone ci salverà – Repubblica.it.

Intanto, è comunque un’occasione per riascoltare la canzone di Bobby McFerrin:

Perché questo articolo mi sembra un esempio preclaro di cialtroneria? Proverò a spiegarlo per punti, aiutandomi con qualche citazione dal testo dell’articolo e da altre fonti.

Maria Popova

motherjones.com / Maryana Ferguson

  1. Cominciamo dall’occhiello: «La rivista scientifica Brain Pickings» – che i lettori abituali di questo blog dovrebbero ormai aver imparato a conoscere – non è affatto una rivista scientifica: è un blog che ha anche (non: è identiacemnte eguale a) una newsletter settimanale che viene inviata agli abbonato ogni domenica via e-mail e che contiene i migliori post della settimana (secondo il parere della curatrice, Maria Popova). Non è necessario essere giornalisti investigativi per scoprirlo: basta leggere il colophon del sito.
  2. «Maria Popova, neurologa e direttrice del giornale statunitense Brain Pickings»: che Brain Pickings non sia un giornale lo abbiamo appena visto. E allora, non dovrebbe nemmeno stupirci che Maria Popova non sia una neurologa. Nata in Bulgaria 27 anni fa, lei stessa si autodefinisce sul suo profilo twitter @brainpicker «Interestingness hunter-gatherer obsessed with combinatorial creativity». Luisa Carrada, che cura il blog del mestiere di scrivere, segue da tempo la Popova e il 22 dicembre 2011 ha pubblicato un bel post biografico che vi invito a leggere. Per i più pigri riporto l’essenziale: «È arrivata negli Stati Uniti dalla Bulgaria per fare l’università, ma invece di prendere l’MBA, come sognavano per lei i suoi familiari, si è districata tra mille lavoretti. Ha ancora un visto e fa ancora molti lavori, anche se migliori e sicuramente più remunerati di prima. […] Content curator, dicevamo. La Popova scova, naviga, legge, assembla e segnala. Quello che facciamo tutti in rete, dai post ai tweet. Quello che ci mette lei è quella che chiama la “creatività combinatoria”, cioè la sua capacità di assemblare in un solo post cose anche molto diverse, ma con un filo, uno sguardo, una prospettiva particolare che le unisce. E di saperle raccontare attraverso la scelta di immagini bellissime e un linguaggio evocativo, personale e raffinato. […] è considerata la regina della content curation e grazie al successo di Brain Pickings scrive oggi su testate come The Atlantic e Wired.» Una lunga intervista a Maria Popova, di cui anche Luisa Carrada è (esplicitamente) debitrice è comparsa sul numero di gennaio/febbraio 2012 di Mother Jones: Maria Popova’s Beautiful Mind. Ammetto che per scoprire questo occorreva un quid in più di buona volontà e di giornalismo investigativo.
  3. Un lettore frettoloso potrebbe avere l’impressione che Valeria Pini si sia data da fare per parlare direttamente con Maria Popova, magari non sollevando il suo colloso posteriore, ma almeno con una telefonata. All’inganno contribuiscono le numerose virgolette e frasi come «dice Popova», «spiega Popova», «conclude Popova». Quanto alle frasi tra virgolette, non si tratta di citazioni letterali (ancorché in traduzione) del post originario di Brain Pickings, ma di un abile e fantasioso montaggio prossimo ai cut-up di William Booroughs.
  4. Ma la cosa che trovo in assoluto più stupefacente è che il post di Maria Popova da cui Valeria Pini prende spunto per il suo articolo odierno è del 23 settembre 2011, 9 mesi fa! Se volete leggerlo in versione originale, ecco qui il link: Bobby McFerrin’s “Don’t Worry, Be Happy”: A Neuropsychology Reading. Così giudicate da soli (dal momento che, a detta della stessa Popova, la creatività è combinatoria) anche quanto l’intervento di Valeria Pini abbia aggiunto e quanto abbia sottratto all’originale.

Lascerò il commento finale a Cochi e Renato (e Jannacci) [l’avevo già pubblicato il 13 ottobre 2009, ma là il link a YouTube è stato rimosso]:

Poteri forti: la prima volta

La locuzione “poteri forti” non è sempre esistita. L’ha inventata Pinuccio Tatarella, deputato di Alleanza nazionale, all’epoca del 1° governo Berlusconi, di cui era vice-presidente del consiglio, il 10 agosto 1994:

I poteri forti sono: la Corte Costituzionale, il Csm, Mediobanca, i servizi segreti, la Massoneria, l’Opus Dei, Bankitalia, i gruppi editoriali con le loro intese, la grande industria privata.

Il contesto è un’intervista realizzata da Dario Cresto-Dina e pubblicata su La Stampa. La potete leggere integralmente qui: Archivio – LASTAMPA.it.

Archivio - LASTAMPA.it

Omaggio a Ray Bradbury: 11 citazioni

  1. Love what you do and do what you love. Don’t listen to anyone else who tells you not to do it. You do what you want, what you love. Imagination should be the center of your life.
  2. We have our Arts so we won’t die of Truth.
  3. If you know how to read, you have a complete education about life, then you know how to vote within a democracy. But if you don’t know how to read, you don’t know how to decide. That’s the great thing about our country — we’re a democracy of readers, and we should keep it that way.
  4. That’s the great secret of creativity. You treat ideas like cats: you make them follow you.
  5. [S]tarting when I was fifteen I began to send short stories to magazines like Esquire, and they, very promptly, sent them back two days before they got them! I have several walls in several rooms of my house covered with the snowstorm of rejections, but they didn’t realize what a strong person I was; I persevered and wrote a thousand more dreadful short stories, which were rejected in turn. Then, during the late forties, I actually began to sell short stories and accomplished some sort of deliverance from snowstorms in my fourth decade. But even today, my latest books of short stories contain at least seven stories that were rejected by every magazine in the United States and also in Sweden! So … take heart from this. The blizzard doesn’t last forever; it just seems so.
  6. Ours is a culture and a time immensely rich in trash as it is in treasures.
  7. I want your loves to be multiple. I don’t want you to be a snob about anything. Anything you love, you do it. It’s got to be with a great sense of fun. Writing is not a serious business. It’s a joy and a celebration. You should be having fun with it. Ignore the authors who say ‘Oh, my God, what word? Oh, Jesus Christ…,’ you know. Now, to hell with that. It’s not work. If it’s work, stop and do something else.
  8. I’ve never worked a day in my life. I’ve never worked a day in my life. The joy of writing has propelled me from day to day and year to year. I want you to envy me, my joy. Get out of here tonight and say: ‘Am I being joyful?’ And if you’ve got a writer’s block, you can cure it this evening by stopping whatever you’re writing and doing something else. You picked the wrong subject.
  9. I never consciously place symbolism in my writing. That would be a self-conscious exercise and self-consciousness is defeating to any creative act. Better to get the subconscious to do the work for you, and get out of the way. The best symbolism is always unsuspected and natural. During a lifetime, one saves up information which collects itself around centers in the mind; these automatically become symbols on a subliminal level and need only be summoned in the heat of writing.
  10. Even at [age eleven], I was beginning to perceive the endings of things, like this lovely paper light. I had already lost my grandfather, who went away for good when I was five. I remember him so well: the two of us on the lawn in front of the porch, with twenty relatives for an audience, and the paper balloon held between us for a final moment, filled with warm exhalations, ready to go.
  11. Everyone must leave something behind when he dies, my grandfather said. A child or a book or a painting or a house or a wall built or a pair of shoes made. Or a garden planted. Something your hand touched some way so your soul has somewhere to go when you die, and when people look at that tree or that flower you planted, you’re there.

Adesso potete (dovete) fare 2 cose:

  1. scegliere quali delle citazioni vi piace di più
  2. andare a leggere su Brain Pickings (Remembering Ray Bradbury with 11 Timeless Quotes on Joy, Failure, Writing, Creativity, and Purpose | Brain Pickings), da cui le ho estratte, l’esatto riferimento all’opera o all’articolo o all’intervista da cui sono tratte
  3. meditare

Buon divertimento e buona meditazione.

Ray Bradbury

wikipedia.org

E a te addio, vecchio gufo.

Il coprifuoco dei gatti giapponesi

Una delle poche parole giapponesi che so è neko, che significa gatto. E so anche che i giapponesi adorano i gatti: anche Hello Kitty (ハローキティ Harō Kiti) è nata lì, nell’ormai lontano 1974.

Con tutto questo, a Tokyo non è facile poter tenere un gatto in casa: gli appartamenti sono piccoli e gli affitti esosi; spesso si lavorano orari impossibili, cui si aggiungono tempi dedicati al tragitto casa-lavoro-casa per noi inconcepibili; per di più, spesso i contratti d’affitto vietano esplicitamente di tenere animali domestici in casa.

Ecco allora nascere i cat café (猫カフェ): il primo apre a Osaka nel 2004; un anno dopo, il primo di Tokyo è il Neko no Café. Secondo il Ministero dell’ambiente nipponico, i cat café sono attualmente 150 in tutto il Paese, e almeno 25 a Tokyo.

Cat café

theatlanticwire.com

Andare in un cat café e giocare con i gatti costa 1500 ¥ l’ora (circa 15 €) – caffè e bevande non incluse.

I cat café sono un po’ come i locali dove operano le entreneuse: i gatti hanno tutti un nome, e sono elencati su un book con tanto di fotografia. I clienti hanno delle preferenze esplicite, e possono comprare loro dei croccantini al posto dello champagne. Non si possono prendere in mano o in braccio i gatti, ma se loro vengono da te e si strofinano o ti vengono in grembo li puoi lasciar fare. I minorenni (per la verità, i bambini e le bambine con meno di 13 anni) non possono entrare. I gatti (come le entreneuse) fanno perfino i turni: al Calico Cat Café, aperto dal 2009 nella centrale Shinjuku di Tokyo, in una tipica serata 53 gatti si mescolano ai clienti nei due piani del locale, mentre altri 40 riposano nel giardino sul retro.

Ma tutto questo è destinato a finire. Il 1° giugno è entrata in vigore la Legge per la gestione e il benessere degli animali, che vieta di vendere ed esporre animali, compresi cani e gatti, dopo le ore 20: il timore è che gli animali, chiusi in piccole gabbie ed esposti al caldo e alla luce abbagliante, possano soffrire gravemente. La lobby dei cat café è riuscito a ottenere 2 ore di più, fino alle 22. Ma finora erano aperti fino all’1 di notte, e si riempivano soltanto la sera, con una clientela composta soprattutto di giovani impiegate. Adesso, si teme che il coprifuoco possa portare alla chiusura dei cat café e alla crescita del randagismo.

La fonte di questa storiella sui gatti è un articolo di Atlantic Wire (Goodnight Kitty: Curfew Curtails Tokyo’s Cat Cafés).

Il magico mondo delle entreneuse ce lo ricordano invece, a modo loro, I Gufi:

Si chiamava Ambroeus
e faceva l’entreneuse
in un trani con balera
proprio in fondo a Via Marghera

Aprire una bottiglia di birra con un giornale

Le istruzioni vengono, tramite Lifehacker (Open a Beer Bottle with a Newspaper.) dal sito Instructables (How to open a beer bottle with a newspaper).

Si tratta di piegare ripetutamente un foglio di giornale, fino a farne una specie di piede di porco di carta.

Aprire la birra con il giornale

instructables.com

Aprire la mbirra con il giornale 1

instructables.com

Aprire una birra 2

instructables.com

Aprire 4

instructables.com

Io ci ho provato, ma posso ben dire di non esserci riuscito.

Aperta?

gawkerassets.com

D’altronde, ve lo avevo confessato di essere ambisinistro.

Plutone non è un pianeta: le prove schiaccianti

Una breve animazione di C. G. P. Gray (prossimamente altri video di questo bravo autore), segnalata ancora una volta dal bel sito di Maria Popova:

Is Pluto a Planet? An Animated Explanation Sets the Record Straight | Brain Pickings

La statistica dei maschi incinti

Anche in Italia, come del resto in tutta l’Unione europea, negli istituti nazionali di statistica si discute da anni sulla necessità di utilizzare a fini statistici i “dati amministrativi”, cioè l’informazione prodotta a fini di gestione nelle organizzazioni complesse. Nato come un tema da addetti ai lavori (le rilevazioni dirette, tramite intervista o questionario, sono costose per chi le conduce e anche per chi è chiamato a rispondere), è ormai parte del grandissimo tema dei big data e dell’apertura al pubblico dei dati detenuti dalle pubbliche amministrazioni.

Tutto bene, allora? Purtroppo no, perché i dati amministrativi sono “sporchi”: spesso prodotti e maneggiati da personale non specializzato, sono in genere sufficientemente buoni per gli scopi gestionali per cui sono inizialmente creati, ma non per generare statistiche affidabili.

Il tema è molto delicato, e per questo è tra quelli al centro dell’attenzione di Straight Statistics, un sito dedicato a migliorare la comprensione e l’uso delle statistiche e a ristabilire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni che le producono.

Welcome to Straight Statistics

We are a campaign established by journalists and statisticians to
improve the understanding and use of statistics by government,
politicians, companies, advertisers and the mass media. By exposing
bad practice and rewarding good, we aim to restore public confidence
in statistics.

Numbers shape the world. Twisting them for political, business or
personal advantage is widespread – and often undetected.

L’ultimo “scandalo” riguarda i codici (di 3 o 4 lettere) che servono a classificare le condizioni dei pazienti ospedalieri e che sono utilizzati – oltre che per le statistiche – per contabilizzare le entrate e le uscite degli ospedali, per valutarne la performance e per analisi epidemiologiche. Sono di importanza vitale, ha dichiarato di recente il Royal College of Physicians (l’equivalente britannico dell’Ordine dei medici).

Ma una lettera pubblicata sul BMJ del 5 aprile 2012 (Hospital episode statistics – The importance of knowing context of hospital episode statistics when reconfiguring the NHS; una risposta,The riddle of the male obstetric patients: solved, è stata pubblicata il 24 aprile) getta un’ombra sull’accuratezza dei codici: nel 2009-2010, quasi 20.000 adulti risultano aver goduto di cure pediatriche ambulatoriali, mentre 3.000 pazienti sotto i 19 anni sarebbero stati ricoverati in cliniche geriatriche.

Ancora più sorprendente: ogni anno, dal 2003, tra i 15 e i 20.000 uomini sarebbero stati ricoverati in ostetricia, e altri 10.000 in ginecologia. Quasi 20.000 “eventi ostetrici” (nel gergo del servizio sanitario nazionale: si tratta per lo più di parti o aborti) hanno avuto un maschio come protagonista.

Evidentemente la pubblicità dell’uomo incinto – creata nel 1970 dall’agenzia di pubblicità Saatchi per lo Health Education Council e tuttora popolarissimo in Gran Bretagna (qui sotto) – era profetica, oltre che memorabile.

The Pregnant Man

flickr.com / Copyright Tutti i diritti riservati a dandaduk

Festa della Repubblica e parata militare

È partita dalla blogosfera (o facebook-sfera, non so) ed è poi stata raccolta da alcuni partiti la proposta di non fare la sfilata militare celebrativa del 2 giugno a via dei Fori imperiali a Roma. Quasi subito, il Quirinale ha detto che la sfilata ci sarà, ma sarà sobria. Ecco la dichiarazione ufficiale (che trovate qui):

“Le celebrazioni del 2 giugno per rafforzare la fermezza e la fiducia con cui affrontare problemi di oggi e di domani, a cominciare da quelli del terremoto”

Il Presidente della Repubblica ha ricevuto il Presidente del Senato, il Presidente della Camera dei Deputati e il Presidente del Consiglio per un ampio informale scambio di opinioni su problemi di comune interesse e urgenza istituzionale: in primo luogo quelli connessi alla condizione dei territori e delle popolazioni dell’Emilia su cui si è abbattuto un violento e distruttivo evento sismico, e relativi all’esigenza del massimo impegno delle forze dello Stato e della più ampia solidarietà nazionale per un’efficace risposta a bisogni acuti di assistenza e a prospettive di rapida ricostruzione. Tale impegno e solidarietà avrà modo di esprimersi ancora in occasione delle imminenti celebrazioni dell’anniversario della nascita della Repubblica.

Le tradizionali celebrazioni saranno improntate a criteri di particolare funzionalità e sobrietà, sia per i limiti entro cui si svolgerà la rassegna militare, sia per i caratteri che assumerà l’incontro in Quirinale con i rappresentanti del Corpo Diplomatico, di tutte le istituzioni e di significative espressioni della società civile. […]

Già prima di lasciare Pordenone, anticipando il rientro a Roma per il confronto istituzionale, il Presidente Napolitano aveva sottolineato perché la Repubblica non possa rinunciare a celebrare l’anniversario della sua nascita: “Credo che anche in questo momento la Repubblica, lo Stato e le Istituzioni debbono dare prova di fermezza e di serenità : non possiamo soltanto piangerci addosso. Una cosa è abbracciare le famiglie che piangono per i loro lutti; altra cosa è piangerci addosso come italiani e come istituzioni. Questo non possiamo farlo: abbiamo il dovere di dare un messaggio di fiducia, e ci sono le ragioni per poter dare questo messaggio di fiducia”. […]

Con tutto il rispetto e la deferenza, mi permetto di fare 2 osservazioni.

La prima è di carattere generale, e vuol essere un invito a riflettere sul significato del binomio Festa della Repubblica e parata militare. L’istituzione della Repubblica può essere celebrata in molti modi, e la parata militare non è certo l’unico. Peraltro, la forma repubblicana fu scelta per pacifico e democratico referendum popolare, e non propiziato da una sollevazione del popolo in armi (come fu in Francia per il 14 luglio 1789) o, peggio, imposta da un putsch militare. Questo basterebbe a rendere la scelta di incentrare le celebrazioni su una imponente sfilata di uomini e mezzi sull’ex-via dell’Impero piuttosto curiosa. A meno che – come spesso accade nei tortuosi ma non del tutto incomprensibili meandri della politica – la scelta non sia stata a suo tempo motivata dalla necessità di cooptare le forze armate (tradizionalmente fedeli alla monarchia savoiarda) alle neonate istituzioni repubblicane.

2 giugno

wikipedia.org

Resta il fatto che, personalmente, l’idea della parata militare mi sembra inopportuna, oltre che ripugnante, quando la Costituzione repubblicana afferma con palmare chiarezza il ripudio della guerra:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. [articolo 11]

A conclusione di questa prima osservazione, mi sembra condivisibile il punto di vista presentato da un altro blogger, metilparaben, nel suo post del 30 maggio 2012:

Bellezza e necessità

Dice: la guerra non è una cosa bella, ma a volte è necessaria.
Sarà.
Sta di fatto, però, che al mondo ci sono un sacco di cose non belle, eppure necessarie: ma il fatto che siano necessarie pur non essendo belle non implica la necessità di farle sfilare in parata per la gioia di grandi e piccini, spendendo soldi e impiegando risorse per organizzare lo spettacolo.
Gli eserciti sono stati inventati per fare la guerra: e quindi, anche se servono a fare una cosa brutta, possono essere necessari.
iò non giustifica il fatto che sfilino in parata: anzi, credo che sborsare fior di quattrini per farli sfilare in parata sia un’alzata d’ingegno insensata.
Altrimenti finisce che a forza di applaudirli qualcuno si confonde, e finisce per pensare che la guerra, oltre a poter essere necessaria, è pure una cosa bella.
Tutto qua.

La seconda osservazione è di carattere storico. Stanno provando a farci credere (ahimè, anche il Quirinale, e un bel po’ di organi d’informazione e di forze politiche, anche di sinistra o sedicenti tali) che la sfilata militare del 2 giugno c’è sempre stata e che sospenderla quest’anno sarebbe un insidioso precedente. Per nostra fortuna, l’agenzia giornalistica AGI racconta (anche se in modo un po’ confuso, che potete andare a leggere qui, “la tormentata storia della parata militare“). Provo a semplificare e a mettere in ordine cronologico, avvalendomi anche di wikipedia.

  • La prima parata si tenne il 2 giugno 1948 su via dei Fori imperiali.
  • Nel 1949, con l’ingresso dell’Italia nella NATO, si svolsero 10 sfilate in altrettante città d’Italia.
  • Nel 1950 la parata fu inserita per la prima volta nel protocollo delle celebrazioni ufficiali.
  • Nel 1963, papa Giovanni XXIII sta malissimo (morirà il 3 giugno) e la sfilata viene sospesa.
  • Nel 1976 – come ormai sanno anche i sassi – viene sospesa dal Ministro della difesa Arnaldo Forlani “a seguito della grave sciagura del Friuli e per far sì che i militari e i mezzi di stanza al nord siano utilizzati per aiutare i terremotati anziché per sfilare a via dei Fori imperiali.”
  • Nel 1977 (egge 5 marzo 1977, n.54), soprattutto a causa della congiuntura economica sfavorevole, la Festa della Repubblica è spostata alla prima domenica di giugno (data in cui, curiosamente, durante la monarchia si celebrava la festa nazionale dello Statuto albertino) e una sobria celebrazione delle Forze armate si svolge a piazza Venezia.
  • Nel 1978, nel suo discorso d’insediamento al Quirinale, Sandro Pertini pronuncia l’ormai celebre frase: “L’Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra. Questa è la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire.”
  • Dal 1983, però, le sfilate riprendono, in tono minore e non su via dei Fori imperiali (salvo che nel 1984).
  • Nel 1989 La parata militare è sostituita da una Mostra Storico Rievocativa in Piazza di Siena.
  • Nel 1990 e 1991 si torna a Piazza Venezia.
  • Nel 1991, nuova sospensione.
  • Nel 1992 il neo-eletto Oscar Luigi Scalfaro assiste alla sfilata su via dei Fori imperiali (ma senza cingolati per proteggere i monumenti: l’Italia ipocrita è anche questa!).
  • Ma poi è lo stesso Scalfaro a fermare la parata, sostituita dall’apertura alla popolazione dei giardini del Quirinale.
  • Nel 2001, il presidente Carlo Azeglio Ciampi la ripristina.

Nel 1976 Ugo Tognazzi è un tragicomico “generale in ritirata”.

… e adesso è ora che io vada …