Il NYTimes sdogana Gérard de Villiers e SAS Malko Linge

Almeno dai tempi del commediografo latino Terenzio (Homo sum: nihil humani mihi alienum puto) si sa che ognuno di noi ha due poli, come una calamita, e nasconde (per quanto gli riesce e con molte eccezioni) i propri lati oscuri. Il mondo è pieno di buoni predicatori e pessimi razzolatori. I figli d’una mignotta più cinici e privi di scrupoli ingrossano le schiere dei baciapile. Eccetera eccetera. La saga di Star wars lo chiama il lato oscuro della forza (the dark side of the Force).

mondoinformazione.com

Questa premessa non vi tragga in inganno. Non sto per svelarmi tutti i miei lati oscuri. La protezione che mi offre il mio liso nom de plume è troppo esigua, come una mutandina di Belen o di Viviane Castro (qualcuno se ne ricorda?).

haisentito.it

Un lato oscuro, però, lo posso svelare: per anni soprattutto (ma, ahimè, non solo) nei lunghi viaggi in treno (che in era pre-AV erano davvero lunghi, 6-8 ore tra Milano e Roma) ho letto Segretissimo. Ma non tutto quello che la collana offriva, ma quasi esclusivamente le avventure di SAS (Sua Altezza Serenissima) Malko Linge, principe austriaco e agente speciale della CIA. Protagonista dei romanzetti fascisti, razzisti, imperialisti, sessisti, sadici, violenti e francamente pornografici di Gérard de Villiers. Per di più, i romanzi di de Villiers sono esplicitamente seriali; mescolano un ben dosato amalgama di sesso violenza esotismo e attualità politica; sembrano scritti con una cartina e una guida turistica davanti agli occhi; fanno pensare a una squadra di negri che prepara almeno i canovacci (altrimenti, come farebbe l’arzillo ottantenne a pubblicarne 5 all’anno?); e, soprattutto, sono inzeppati di pubblicità latente (Malko beve soltanto quello champagne o quella vodka, scende in quella catena di alberghi, si serve di quell‘arredatore – tutti rigorosamente francesi, manco a dirlo).

nytimes.com

Ecco fatta la confessione. Mi sento sollevato? No, per la verità.

Ma pensavo fosse (fosse stata, per l’esattezza: il combinato disposto dell’Alta velocità e dell’e-book non dà più alibi) una debolezza imperdonabile finché non ho letto il lungo articolo di Robert F. Worth sul Magazine del New York Times del 30 gennaio 2013 che , pur senza nascondere nessuno degli aspetti negativi del personaggio e del suo autore, ne fa un fenomeno di politica estera, se non di letteratira o di costume. Leggere per credere (qui un breve estratto, per l’articolo intero seguite il link).

The Spy Novelist Who Knows Too Much

The book was the latest by Gérard de Villiers, an 83-year-old Frenchman who has been turning out the S.A.S. espionage series at the rate of four or five books a year for nearly 50 years. The books are strange hybrids: top-selling pulp-fiction vehicles that also serve as intelligence drop boxes for spy agencies around the world. De Villiers has spent most of his life cultivating spies and diplomats, who seem to enjoy seeing themselves and their secrets transfigured into pop fiction (with their own names carefully disguised), and his books regularly contain information about terror plots, espionage and wars that has never appeared elsewhere.

Un altro ritrovamento di ambra grigia su una spiaggia inglese

Chi ne sa anche poco di statistica e probabilità (materia ormai introdotta nei programmi di matematica delle scuole secondarie) sa che anche eventi indipendenti e relativamente rari possono presentarsi in modi che contraddicono le nostre aspettative. Restiamo comunque stupiti quando in un lancio di monetine ci viene testa per 5 volte di fila o se due fratelli muoiono entrambi perché, a distanza di anni e di km, un’aquila lascia cadere sulla loro testa una tartaruga.

Quindi, la circostanza che nel giro di 6 mesi ci siano stati su 2 spiagge inglesi 2 ritrovamenti fortuiti di ambra grigia, quando il fenomeno è rarissimo e accade di solito nel Pacifico [come racconta Christopher Kemp nel suo Floating Gold: A Natural (and Unnatural) History of Ambergris, che ho recensito qui, ma di cui avevo parlato anche qui], lascia – se non stupefatti – almeno un po’ pensosi.

Del primo ritrovamento era stato protagonista un bel bambino biondo di 8 anni, Charlie Naysmith, che aveva trovato un pezzo di 6 etti di ambra grigia (valore stimato in 50.000 €) su una spiaggia vicino a Bournemouth, sulla costa meridionale inglese, di fronte all’estrema punta della Normandia. Ne avevamo parlato qui.

Charlie Naysmith / bournemouthecho.co.uk

Più di recente, il 31 gennaio (se ho ricostruito bene) un disoccupato inglese, Ken Wilman, ne ha trovato un pezzo di quasi 3 kg mentre passeggiava con il suo cane su una spiaggia di Morecambe (vicino a Lancaster, Inghilterra nord-occidentale). Si parla di un valore di 100.000 £ (115.000 €), ben superiore a quello del pezzo, più piccolo, trovato da Charlie.

Ken Wilman e il suo cane / huffpost.com

Naturalmente i quotidiani, compreso il prestigioso The Guardian, non si sono sottratti al solito sciocchezzaio sul vomito di balena.

Whale vomit found on beach could be worth £100,000 – video

Per fortuna The Guardian è un giornale serio e non ci ha messo molto a correggersi:

It’s not ‘whale vomit’, it’s ambergris. It’s a nice word, and useful, so let’s use it

 

It’s condescending and banal to reach for simpler, less accurate words for something when perfectly good ones already exist

di Deborah Orr
The Guardian, Saturday 2 February 2013

Ambergris is a beautiful and long-established word for a strange and unusual substance, produced in the digestive system of sperm whales, and eventually excreted through one of only two possible exits. It has been used since ancient times in the manufacture of perfume. So it’s rather a shame that the media now prefers to refer to it as “whale vomit” or, for a bit of variation, “whale poo” – as if the world is a kindergarten. It has been in the news because Ken Wilman found a lump while walking on the beach with his dog. Unlike whale vomit or whale poo, it’s valuable.
So, if you’re of a romantic nature, but for some reason unable to say “amber” or “gris”, you can opt for “floating gold”. And if you’re as condescending and banal as so many journalists appear to be, you can refer to gold as “ground riches”, in case anyone in your audience is three.

E i quotidiani italiani? Il prestigioso Il corriere della sera l’avevamo già beccato, con un articolo scopiazzato del suo “prestigioso corrispondente” Elmar Burchia in occasione del ritrovamento di Charlie Naysmith. Adesso è il turno di La Repubblica del 2 febbraio 2013:

Trova vomito di capodoglio: vale 117mila euro

Ken Wilman e il suo labrador Madge si sono imbattuti, camminando sulla spiaggia del Lankashire [sic!], in una pietra rarissima del valore di circa 100mila sterline (117mila euro). Lì per lì Ken non si è reso conto della fortuna ma tornato a casa, dopo qualche ricerca, è tornato indietro a prenderla. Infatti la pietra preziosa è di vomito di capodoglio, chiamato anche ambra grigia o oro fluttuante, e viene usato per produrre profumi come Chanel No.5, incensi e aromi gastronomici. “Di primo impatto il profumo era fastidioso, ma più la odoravo e più diventava piacevole” ha affermato Ken. Un profumiere francese gli ha già offerto 50mila euro.

Ma la responsabilità prima (ma La Repubblica non va comunque assolta, perché non farebbe male un po’ di fact checking – di cui recentemente tutti si riempiono la bocca più o meno a proposito – e anche un po’ di controllo ortografico, per scrivere Lancashire) va all’agenzia ANSA che la notizia, il 31 gennaio, l’ha battuta così:

Gb: trova raro ‘vomito balena’ in spiaggia,vale 50 mila euro

(ANSA) – LONDRA, 31 GEN – Sembra una roccia giallastra e maleodorante ma in realtà nasconde un tesoro. Un britannico ha trovato in una spiaggia del nord-ovest dell’Inghilterra il cosiddetto ‘vomito di balena’, la rarissima ambra grigia usata in profumeria, e per il reperto gli sono stati offerti 50 mila euro.
Ken Wilman è così finito col suo cane Madge sulle tv e sui giornali del Regno Unito. “Quando l’ho vista mi sono fermato e per curiosità l’ho presa in mano ma dopo aver sentito la puzza l’ho subito rimessa sulla sabbia”, ha spiegato il britannico, descrivendo la sostanza che viene prodotta nell’intestino dei capodogli durante la digestione. Ma poi non ha resistito e l’ha portata via scoprendo che si trattava di un pezzo rarissimo. Ora si è fatto avanti un acquirente francese che la vorrebbe, molto probabilmente per usarla nella preparazione di profumi.(ANSA).

Ascelle inodori: un aggiornamento

See on Scoop.itSpigolature

Surprising Science

A Lucky Two Percent of People Have a Gene for Stink-Free Armpits

But a new study finds most of them still use deodorant

Boris Limpopo‘s insight:

See on blogs.smithsonianmag.com

Perché non mi puzzano le ascelle

Ci sono delle fortunate persone – e io sono una di quelle – cui non puzzano le ascelle.

the-scientist.com / FLICKR, GREGG O’CONNELL

Finora non si sapeva con certezza il perché, ma una ricerca pubblicata il 17 gennaio 2013 sul Journal of Investigative Dermatology svela l’arcano: dipende dal polimorfismo di un singolo nucleotide (single-nucleotide polymorphism-SNP) localizzato nel gene ABCC11. L’allele rs17822931 A era già stato collegato all’odore delle ascelle (e al tipo di cerume), ma ora uno studio condotto su 17.000 persone mostra come tra le persone con 2 copie del gene sono 5 volte più frequenti coloro che non usano deodorante perché non ne avvertono la necessità, rispetto a coloro che non hanno questo allele o ne hanno una sola copia.

L’80% di coloro che hanno la coppia AA dell’allele, pur non emanando il tipico puzzo d’ascella, usa egualmente il deodorante: potenza della pubblicità! Purtroppo, il 5% di coloro che non hanno la coppia AA (e dunque puzzano!) non usa deodorante.

Ultima curiosità: l’allele A è più frequente nelle popolazioni dell’Asia dell’est.

Ho trovato la notizia qui: Genetic Deodorant | The Scientist Magazine®.

A single-nucleotide polymorphism (SNP) located in the ABCC11 gene dictates whether or not a person is likely to stock up on deodorant, according to a study published this week (January 17) in the Journal of Investigative Dermatology.

The variant, known as the rs17822931 A allele, has previously been linked to underarm odor (and earwax type), and now researchers at the University of Bristol in the United Kingdom have put it to the test. Drawing from data on some 17,000 people taking part in the Avon Longitudinal Study of Parents and Children, the team found that people carrying two copies of the A allele are five times more likely to never use deodorant or use it very infrequently, as compared to those carrying only one or no copies of the A allele.

Still, however, nearly 80 percent of white European AA individuals used deodorant. Worse, perhaps, some 5 percent of non-AA, or odor-producing, people did not use deodorant. “This is likely driven by sociocultural factors,” the authors wrote. “On the basis of genotype (and/or dry earwax), this group could elect to abandon the chemical exposures and costs of deodorant use. This represents a potential application of personalized genetics in personal hygiene.”

An interesting aside: there is ethnic diversity at the rs17822931 locus, with east Asians tending to have a higher than average frequency of allele A.

L’articolo originale del Journal of Investigative Dermatology, di Santiago Rodriguez, Colin D. Steer, Alexandra Farrow, Jean Golding e Ian N. M. Day, è disponibile liberamente qui: Dependence of Deodorant Usage on ABCC11 Genotype: Scope for Personalized Genetics in Personal Hygiene.

Il cubetto di ghiaccio che ti avverte se stai bevendo troppo

Lo scorso novembre Dhairya Dand, studente al MIT, è andato in come etilico durante una festa. Un brutto campanello d’allarme.  In 3 settimane ha realizzato un cubetto di ghiaccio, Cheers, che – oltre a pulsare al ritmo della musica – cambia colore, dal verde al rosso, via via che bevi. Raggiunto un valore soglia, invia un SMS a una persona individuata in precedenza.

Credit::Cheers

Basato su una gelatina commestibile, qualche LED, un accelerometro, un timer e un trasmettitore è poco più che un giocattolo, o forse è una burla: come distinguere un sorso da una semplice oscillazione del bicchiere a ritmo di musica? come valutare la gradazione alcolica della bevanda? come tenere conto del sesso e della massa corporea del bevitore?

Ho ripreso la notizia da Salon (Super smart ice cube warns you when you drink too much – Salon.com) e da Popular Science (Glowing Ice Cubes Warn You When You Drink Too Much | Popular Science).

Dr. Jen Gunter: il 2° emendamento mi dà il diritto di detenere anche armi biologiche, no?

Jen Gunter è una ginecologa militante democratica, attivista dei diritti civili, blogger, polemista … non finisce qui e non necessariamente in quest’ordine.

Dr. Jen Gunter

Ieri ha affisso un post che ho trovato piuttosto divertente ed efficace. Come penso ormai sappiate tutti, dopo l’ennesima strage in una scuola (questa volta a Newtown, Connecticut), il 2° emendamento della costituzione americana garantisce a tutti i cittadini il diritto di possedere e usare armi, e questo diritto è vigorosamente difeso dalla potentissima lobby NRA (National Rifle Association). L’emendamento recita letteralmente:

A well regulated militia being necessary to the security of a free state, the right of the people to keep and bear arms shall not be infringed.

Una sentenza fondamentale della Corte suprema ha stabilito nel 2008 che il 2° emendamento protegge il diritto di ogni singolo cittadino americano, che presti o meno servizio in una milizia, di detenere e usare un’arma. Ma se è così – argomenta Jen Gunter – tutela il mio diritto di detenere e usare qualunque tipo di arma: non soltanto un fucile o un a pistola, ma anche un’automatica o un mitragliatore d’assalto (come si è sostenuto per Newtown); e allora perché non un’arma biologica, come l’antrace o il vaiolo? Un’arma è un’arma, no?

drjengunter.files.wordpress.com

Ecco il post (Getting the NRA to protect my right to bear biological weapons | Dr. Jen Gunter):

There’s been lots of talk about how the right to own semi-automatic guns and rifles is protected under the 2nd Amendment. The NRA and many gun aficionados feel that owning a semi-automatic weapon is a right of the people not to be infringed upon. And anyway, according to many people who support semi-automatic weapon ownership (or at least the ones who send me nasty tweets) these guns are very safe, because it’s not the gun, or the magazine that holds the 33 bullets, or even the bullets themselves that does the killing, it’s the person who pulls the trigger.

I’m calling bullshit, because I’m an infectious diseases aficionado and the NRA isn’t talking one bit about protecting my right to own biological arms. After all, many governments, including Uncle Sam, feel that a stock of biologics is part of a well regulated militia. I know biological weapons aren’t specifically spelled out in the 2nd Amendment, but neither are semi-automatic weapons and hey, arms is arms.

I’d like to start my collection with small pox, anthrax, and that heavy duty non-medical grade botulinum toxin (the cosmetic grade stuff is for pussies). I’m fine with getting a permit, a 72 hour wait, and even a background check, but since no test is needed to show I know how to handle a gun that can kill 33 people a minute and I’m not required to lock up a semi-automatic weapon, I shouldn’t need to prove I can handle small pox. I mean, it’s only dangerous if I take it out of its vial in uncontrolled circumstances in anything less than a level 4 microbiology lab and I just want to collect it and compare potency with other super bug and toxin aficionados.

And long as we’re interpreting the 2nd Amendment this way, I’d like my right to carry concealed biologics protected as well.

La macchina che cambiò il mondo: un documentario del 1992

The Machine That Changed the World è un lungo ed esauriente documentario sulla storia del computer. Peccato che, dopo la sua uscita nel 1992, sia praticamente scomparso dall’orizzonte ottico (come direbbe Ivano Fossati) e sopravviva soltanto in Vhs in qualche biblioteca scolastica. Fino a quando qualche anima buona l’ha messo su YouTube.

Buona visione.

Tiresia e la sinestesia

Un tema che mi ha sempre affascinato è quello della sinestesia e un mito che mi ha sempre affascinato è quello di Tiresia. Ma a parte il fatto che fanno apparentemente rima (ma soltanto per chi non sa che l’accento cade diversamente) le due cose hanno ben poco in comune e quindi devo spiegare il nesso che ho trovato.

Ma andiamo in ordine perché c’è un groviglio o gnommero da dipanare, ed è opportuno farlo in modo più accorto di Tiresia. Cominciamo dal significato di sinestesia, dal Vocabolario Treccani:

  1. Nel linguaggio medico, termine abitualmente adoperato per designare il fenomeno psichico consistente nell’insorgenza di una sensazione (auditiva, visiva, ecc.) in concomitanza con una percezione di natura sensoriale diversa e, più in partic., nell’insorgenza di una immagine visiva in seguito a uno stimolo generalmente acustico (audizione colorata), ma anche tattile, dolorifico, termico; tale fenomeno può verificarsi sia in condizioni di normalità, specie nei soggetti giovani, sia sotto l’influsso di particolari sostanze tossiche (per es., la mescalina). Con lo stesso termine si indica anche un disturbo neurologico, dovuto a lesioni cerebrali o delle strutture nervose periferiche, consistente nella percezione di una stimolazione in una zona lontana dal punto ove questa viene esercitata.
  2. Nel linguaggio della stilistica e della semantica, particolare tipo di metafora per cui si uniscono in stretto rapporto due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse (per es., silenzio verde nel sonetto «Il bove» di Carducci, colore squillante, voce calda); quando l’accostamento non è occasionale ma tende a ripetersi (per varie contingenze storico-culturali e stilistiche) può determinarsi un mutamento semantico, può nascere cioè una nuova accezione della parola (per es., il lat. clarus, etimologicamente appartenente alla sfera sensoriale auditiva, è passato alla sfera visiva, e tale è il suo valore fondamentale nel latino classico e nelle lingue romanze, nelle quali, a partire dal linguaggio musicale, ha nuovamente assunto una accezione acustica, come in suoni chiari, voce chiara).

Il mito di Tiresia è una storia più lunga, che si racconta in modi diversi da molto tempo. Per pura pigrizia (ho il sito Treccani aperto in una scheda del browser) cominciamo dalla sintesi che ne fa l’Enciclopedia Treccani:

Tiresia (gr. Τειρεσίας). Mitico indovino cieco, appartenente alla stirpe degli Sparti (i nati dalla terra, che si ritenevano i fondatori di Tebe). Compare già nell’Odissea, quando Ulisse, sceso nell’Ade, lo interroga e ne riceve profezie; ha inoltre ampia parte nella leggenda tebana. Secondo una tradizione, fu privato della vista da Era, perché, interrogato dalla dea, affermò che nel rapporto sessuale la donna gode di più; secondo altri, Atena lo avrebbe reso cieco perché vista da lui nuda al bagno. In entrambi i casi compenso per la perduta vista corporea sarebbe stata la facoltà divinatoria. Secondo un’altra versione, la cecità fu la punizione per il fatto che, come indovino, Tiresia rivelava i segreti degli dei. La sua morte è connessa con la presa di Tebe da parte degli Epigoni.

Recentemente (tutto è relativo: recentemente rispetto a Omero o a Ovidio) anche se forse non del tutto fedelmente l’ha raccontata Primo Levi nel suo La chiave a stella [Levi, Primo (1978). La chiave a stella. Torino: Einaudi. 1978. pp. 49-51]:

[…] non ho potuto resistere alla tentazione di raccontargli la storia di Tiresia.
Ha mostrato un certo disagio quando gli ho riferito che Giove e Giunone, oltre che coniugi, erano anche fratello e sorella, cosa su cui di solito a scuola non si insiste, ma che in quel ménage doveva pur avere una qualche importanza. Invece ha manifestato interesse quando gli ho accennato alla famosa disputa fra di loro, se i piaceri dell’amore e del sesso fossero più intensi per la donna o per l’uomo: stranamente, Giove attribuiva il primato alle donne, e Giunone agli uomini. Faussone ha interrotto:
«Appunto, è come dicevo prima: per decidere, ci voleva uno che avesse provato che effetto fa a essere uomo e anche a essere donna; ma uno così non c’è, anche se ogni tanto si legge sul giornale di quel capitano di marina che va a Casablanca a farsi fare l’operazione e poi compera quattro figli. Per me sono balle dei giornalisti».
«Probabile. Ma a quel tempo pare che l’arbitro ci fosse : era Tiresia, un sapiente di Tebe, in Grecia, a cui molti anni prima era successo un fatto strano. Era uomo, uomo come me e come lei, e una sera d’autunno, che io m’immagino umida e fosca come questa, attraversando una foresta, ha incontrato un groviglio di serpenti. Ha guardato meglio, e si è accorto che i serpenti erano solo due, ma molto lunghi e grossi: erano un maschio e una femmina (si vede che questo Tiresia era un bravo osservatore, perché a distinguere un pitone maschio da una femmina io non so proprio come si faccia, specialmente di sera, e se sono aggrovigliati, che non si vede dove finisce uno e dove incomincia l’altro), un maschio e una femmina che stavano facendo l’amore. Lui, o che fosse scandalizzato, o invidioso, o che semplicemente i due gli sbarrassero il cammino, aveva preso un bastone e aveva menato un colpo nel mucchio: bene, aveva provato un gran rimescolio, e da uomo si era ritrovato donna».
Faussone, a cui le nozioni di origine umanistica mettono addosso il morbino, mi ha detto sogghignando che una volta, e neanche tanto lontano dalla Grecia, cioè in Turchia, anche lui aveva incontrato in un bosco un groviglio di serpenti: ma non erano due, erano tanti, e non pitoni, ma biscie. Sembrava proprio che stessero facendo l’amore, alla sua maniera, tutti intortigliati, ma lui non aveva niente in contrario e li aveva lasciati stare: «però, adesso che la machiavella la so, quest’altra volta che mi capita quasi quasi provo anch’io».
«Dunque, questo Tiresia pare che sia rimasto donna per sette anni, e che anche come donna abbia fatto le sue prove, e che passati i sette anni abbia di nuovo incontrati i serpenti; questa volta, sapendo il trucco, la bastonata gliel’ha data a ragion veduta, e cioè per ritornare uomo. Si vede che, tutto compreso, lo riteneva più vantaggioso; tuttavia, in quell’arbitrato che le dicevo, ha dato ragione a Giove, non saprei dirle perché. Forse perché come donna si era trovato meglio, ma limitatamente alla faccenda del sesso e non per il resto, se no è chiaro che sarebbe rimasto donna, cioè non avrebbe dato la seconda bastonata; o forse perché pensava che a contraddire Giove non si sa mai cosa può succedere. Ma si era messo in un brutto guaio, perché Giunone si è offesa…»
«Eh già: fra moglie e marito…»
«…si è offesa e lo ha reso cieco, e Giove non ha potuto farci niente, perché pare che a quei tempi ci fosse questa regola, che i malanni che un dio combinava ai danni dei mortali, nessun altro dio, neppure Giove, li poteva cancellare. In mancanza di meglio, Giove gli ha concesso il dono di prevedere il futuro: ma, come si vede da questa storia, era troppo tardi».

Flickr / © Tutti i diritti riservati a svizzero (Vanni)

Con la maestria che già gli conosciamo, nel terzo libro delle sue Metamorfosi (sì, perché anche mutarsi di maschio in femmina, e viceversa, è pur sempre una metamorfosi), Ovidio la racconta così:

Dumque ea per terras fatali lege geruntur
tutaque bis geniti sunt incunabula Bacchi,
forte Iovem memorant diffusum nectare curas
seposuisse graves vacuaque agitasse remissos
cum Iunone iocos et ‘maior vestra profecto est,               320
quam quae contingit maribus’ dixisse ‘voluptas.’
illa negat. placuit quae sit sententia docti
quaerere Tiresiae: Venus huic erat utraque nota.
nam duo magnorum viridi coeuntia silva
corpora serpentum baculi violaverat ictu               325
deque viro factus (mirabile) femina septem
egerat autumnos; octavo rursus eosdem
vidit, et ‘est vestrae si tanta potentia plagae’
dixit, ‘ut auctoris sortem in contraria mutet,
nunc quoque vos feriam.’ percussis anguibus isdem               330
forma prior rediit, genetivaque venit imago.
arbiter hic igitur sumptus de lite iocosa
dicta Iovis firmat: gravius Saturnia iusto
nec pro materia fertur doluisse suique
iudicis aeterna damnavit lumina nocte;               335
at pater omnipotens (neque enim licet inrita cuiquam
facta dei fecisse deo) pro lumine adempto
scire futura dedit poenamque levavit honore.

E cioè, per tutti noi che non abbiamo mai studiato il latino, oppure l’abbiamo studiato e dimenticato, in traduzione italiana:

Mentre in terra avvenivano per volere del fato queste cose
e l’infanzia di Bacco, tornato a nascere, scorreva tranquilla,
si racconta che, reso espansivo dal nèttare, per caso Giove
bandisse i suoi assilli, mettendosi piacevolmente a scherzare
con la sorridente Giunone. “Il piacere che provate voi donne”, le disse,
“è certamente maggiore di quello che provano i maschi.”
Lei contesta. Decisero di sentire allora il parere
di Tiresia, che per pratica conosceva l’uno e l’altro amore.
Con un colpo di bastone aveva infatti interrotto
in una selva verdeggiante il connubio di due grossi serpenti,
e divenuto per miracolo da uomo femmina, rimase
tale per sette autunni. All’ottavo rivedendoli nuovamente:
“Se il colpirvi ha tanto potere di cambiare”, disse,
“nel suo contrario la natura di chi vi colpisce,
vi batterò ancora!”. E percossi un’altra volta quei serpenti,
gli tornò il primitivo aspetto, la figura con cui era nato.
E costui, scelto come arbitro in quella divertente contesa,
conferma la tesi di Giove. Più del giusto e del dovuto al caso,
a quanto si dice, s’impermalì la figlia di Saturno e gli occhi
di chi le aveva dato torto condannò a eterna tenebra.
Ma il padre onnipotente (giacché nessun dio può annullare
ciò che un altro dio ha fatto), in cambio della vista perduta,
gli diede scienza del futuro, alleviando la pena con l’onore.

Io, per parte mia, vi dico subito che alla storia di Giunone (era Era nell’era antico-greca) che s’impermalisce non ci ho mai creduto. Penso piuttosto che volesse tenere segreta la circostanza della maggiore intensità del piacere femminile nella specie umana, un po’ per la volontà di tenersi ben stretto un segreto in un campo (all’epoca uno dei pochi) in cui la superiorità femminile era consolidata anche se ignota, un po’ temendo – ben conoscendo i maschi umani e olimpici – che avrebbero ben presto abbandonato ogni occupazione produttiva per dedicarsi alla ricerca di serpenti in copula, alternativamente per abbeverarsi alla fonte di un piacere più intenso e poi per tornare ai privilegi maschili una volta soddisfatta la propria foia…

Il mito di Tiresia, piuttosto, testimonia della curiosità di mettersi nella pelle degli altri o delle altre anche nelle fantasie sessuali, oltre che nell’operare dei famosi neuroni-specchio. E poi lo sanno tutti che gli eccessi sessuali indeboliscono la vista.

Il segreto di Tiresia non è rimasto tale per sempre. La moderna fisiologia ha scoperto che l’orgasmo maschile dura tra i 3 e i 10″ (ma la mediana è molto più vicina ai 3″ che ai 10″), mentre quello femminile dura in media 20″: non lo dico io, lo dice Wikipedia con una sacco di bibliografia di corredo. Ma naturalmente, la durata dell’orgasmo non vuol dire niente – potrebbero continuare a discutere in eterno Zeus ed Era, che tanto sono immortali e del passare il tempo in dispute oziose non gliene frega niente – perché si deve prendere in considerazione il numero delle contrazioni pelviche e la loro frequenza (8–13 Hz, ci informa zelante Wikipedia), e anche la probabilità di raggiungere l’orgasmo durante la stimolazione sessuale (prossima a 1 nel maschio, più bassa nella femmina). Eccetera eccetera eccetera.

Il mio piccolo contributo (piccolo e rispettoso, per amor degli olimpici dei, che già ci vedo maluccio anche senza il loro intervento) è stimolato dall’incontro fortuito, nella mia rete neuronale, tra il ricordo d’un’antica partner che mi parlava della sensazione dell’allargarsi dello spazio che provava durante l’orgasmo e la scoperta, fatta alcuni giorni fa leggendo un bel libro sulla storia della lettura [Fischer, Steven Roger (2003). A History of Reading. London: Reaktion Books. 2012. pos. 5751], che “[f]or each male there are six female synæsthetes”. Si parla della lettura, ma quello che è vero potrebbe esserlo anche per il piacere sessuale,e aggiungere molte dimensioni percettive all’orgasmo femminile. Prosit.

* * *

In modo del tutto incongruo, mi permetto di segnalare – soprattutto a me stesso – 3 citazioni che mi sono ritrovato segnato sulla mia edizione de La chiave a stella, letta da me nel 1978.

[…] diceva che il pane del padrone ha sette croste, e che è meglio essere testa d’anguilla che coda di storione […] [p. 87]

Io sulle prime credevo che fosse una ragazza un po’ strana, perché non avevo esperienza e non sapevo che tutte le ragazze sono strane, o per un verso o per un altro, e se una non è strana vuol dire che è ancora più strana delle altre, appunto perché è fuori quota, non so se mi spiego. [p. 133]

[…] sembrava un gatto ramito, sì, uno di quei gatti che prendono il vizio di mangiar le lucertole, e allora non crescono, vengono malinconici, non si lustrano più il pelo, e invece di miagolare fanno hhhh. [pp. 143-144]

L’abbecedario dei diagrammi | FlowingData e Virtual Beauty

Questo video, che ho trovato su FlowingData, ma concepito da Jane Nisselson, la fondatrice e l’anima di Virtual Beauty, è l’aperitivo a un più vasto progetto sui diagrammi. È così bello che non posso evitare di segnalarvelo e di consigliarvi vivamente di interiorizzarlo e farlo vostro. Aiuterà il vostro senso critico a distinguere i diagrammi e i grafici vistosi ma inutili e sbagliati (sono onnipresenti), da quelli utili e belli (anzi: utili e perciò belli). Sono 3′ e 19″: più di un singolo spot televisivo, ma meno di una di quelle raffiche di spot che ti sparano nel prime time:

Ed ecco come lo commenta la stessa Jane Nisselson sul sito di Virtual Beauty:

Diagrams are everywhere — from the established conventions of highway signs to the newly emerging visualizations appearing on social networking websites.  Most people have a personal experience of diagrams whether drawing directions or figuring out how to operate a new computer. Yet very few people are familiar with how we read or construct diagrams.

This short film introduces the language of diagrams and their role in visual thinking and communication. As only a film can do, it reveals the vocabulary “in the wild” and in the context of making and using diagrams.

This pilot film is intended as a teaser for a larger examination diagrams — from patent offices and computer-produced assembly instructions to data visualizations and MRIs. Diagrams are an ideal subject for a popular film on a scientific topic because they are both accessible and ubiquitous, providing a great vehicle for initiating a broad public to an essential tool of communication and creativity across all disciplines in science and engineering.

Distinction: Visionary Grant award 2009, Gordon Research Conference, as part of The Scripps Research Institute’s Visualization in Science and Education Grant from NSF. Principal Investigator: Professor Jeff Nickerson of the Stevens Institute of Technology. The award is intended to seed new interdisciplinary research.

Presentation: Gordon Research Conference on Visualization in Science & Education (July 10-15, 2011).

The film is based on “Visualizing Thought” by Barbara Tversky. Published in “Topics in Cognitive Science” Volume 3, Issue 3, pages 499–535, July 2011.

Film Credits: Soundtrack: Pat Irwin. Edit: Alex Bingham. Camera: Claudia Christensen, Oren Eckhaus, Brian Jackson, Sean Sigler, Ian Vollmer.

Resto in attesa del seguito del progetto e vi terrò informati.

Perché ascoltare Dave Brubeck è un piacere

Scientific American pubblica un bell’articolo di Evelyn Lamb su Dave Brubeck, il pianista jazz morto il 5 dicembre 2012 (avrebbe compiuto 92 anni il giorno dopo) e Salon, bontà sua, ce lo ripropone (Dave Brubeck is good for your brain – Salon.com).

Vi invito a leggerlo per intero, anche se vi richiede qualche sforzo (è in inglese). Più sotto ve ne propongo un assaggio, e 2 video d’incoraggiamento.

Dave Brubeck

salon.com / Credit: AP/Kevin Wolf

Jazz legend Dave Brubeck died December 5, just one day before his 92nd birthday. The pianist and composer was an innovator, especially when it came to combining rhythms and meters in new ways. “He sort of tired of the traditional patterns of jazz,” says Patrick Langham, a saxophonist and faculty member of the Brubeck Institute at the University of the Pacific in Stockton, Calif.

Time Out, the hit 1959 album by the Dave Brubeck Quartet, was one of the first popular jazz works to explore meters beyond the traditional 4/4 and 3/4. (The first number, which is the top number of the time signature in sheet music, represents the number of beats in the measure, and the second number represents the note value that receives one beat. 4/4 means that there are four beats and a quarter note lasts for one beat, yielding four quarter notes in each measure.) “Take Five“ and “Blue Rondo a la Turk,” two of Brubeck’s most popular works, are both on Time Out.

[…]

Justin London is a professor of music at Carleton College in Minnesota who specializes in music perception and cognition, particularly with respect to musical meter. He says that Brubeck actually inspired much of his research into rhythm and meter. “I knew that it had a visceral, toe-tapping sense of beat and rhythm,” he says, “but according to most theories of rhythm and meter developed in recent decades, it couldn’t, given its uneven beat structure.”

[…]

London says that Brubeck’s rhythms can play with the listener’s innate toe-tapping ability—the technical term is entrainment. “Whenever you start doing anything in rhythm the whole motor center of the brain starts lighting up.” He notes that musicians and nonmusicians do equally well on tests of this ability. It appears to be an innate skill, part of the way we interact socially. Asymmetrical meters may be appealing because they test people’s native entrainment ability and keep the brain more active while listening and performing. “The asymmetrical meters do make you work a little harder to make you stay along with them, and that’s part of their appeal, attraction and charm,” London says.

Take Five:

Blue Rondo a la Turk: