Pavone, Chris (2019). The Paris Diversion. New York: Crown. 2019. ISBN: 9781524761523. Pagine 374. 8,60€
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Del medesimo autore avevo letto The Expats, che mi era piaciuto soprattutto per l’ambientazione al Lussemburgo, città che conosco molto bene per motivi professionali. Comprensibile, quindi che una volta appreso che era in uscita una specie di sequel del primo romanzo, con la stessa protagonista, Kate Moore, non abbia resistito alla tentazione di gettarmi sulla sua nuova avventura.
Peccato che – a parte l’ambientazione – del precedente romanzo ricordassi ben poco, se non che la protagonista (e, per la verità, quasi tutti gli altri personaggi) non sono quello che sembrano essere a prima vista. Purtroppo, la recensione che avevo fatto di The Expats (che trovate qui) non si è rivelata di molto aiuto: preoccupato di non dire troppo per non rovinare il gusto della lettura di un thriller ai miei lettori, ero stato fin troppo reticente.
Ma non mi vergogno a leggere Dan Brown? Sì, mi vergogno, ma ci ricasco tutte le volte, come un adolescente con gli atti impuri commessi in solitudine, nonostante le sinistre profezie della cecità in questa vita e dell’inferno per l’eternità.
Dan Brown non è un grande scrittore, e neppure uno scrittore medio. Però – oltre a toccare temi à la page in grado di incuriosire un pubblico moderatamente colto e informato e a stupire, facendolo sembrare colto e informato, il resto dei lettori – è una gran guida di viaggio, ben documentato sui luoghi che ci fa visitare.
Confesso – tanto per restare nel clima penitenziale – di aver letto, oltre al Codice Da Vinci (che offriva l’alibi della curiosità per un fenomeno di costume, dato che tutti parlavano del libro e, un paio d’anni dopo, del brutto film che ne era stato tratto), anche Digital Fortress (in italiano Crypto, con l’alibi questa volta del mio interesse per la crittografia: ma se volete leggere un bel libro in tema, leggete piuttosto Criptonomicon di Neal Stephenson, se riuscite ancora a scovarlo nell’edizione italiana di Rizzoli) e Inferno (qui la scusa erano Dante e una mamma professoressa e dantista, che se avesse fatto invece la dentista oggi sarei più ricco. Inferno l’ho recensito qui). Dato che Dan Brown ha scritto in tutto sette romanzi, ne ho letti più della metà.
Non vi racconto niente della trama: è pur sempre un thriller, o meglio un romanzo a chiave, pieno di colpi di scena più o meno prevedibili. Sotto il profilo turistico, parliamo di Spagna. Se non mi ricordo male: si parte dal monastero di Montserrat:
C’è una puntata a Budapest e una alla cattedrale e al palazzo reale di Madrid. Ma il nostro autore non poteva farsi scappare la Barcellona di Gaudì. Prima fa andare il protagonista alla Pedrera:
Il colpevole – The Guilty (The Guilty), 2018, di Gustav Möller, con Jakob Cedergren.
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Minimalista e claustrofobico.
Fuori dell’ordinario: non avevo mai visto un film come questo (e, anche se non tantissimi, di film ne ho visto più d’uno).
Un thriller che funziona egregiamente, anche se non si esce mai da due stanze del posto di polizia dove si risponde alle chiamate del 112. Non vi inganni il fotogramma che si vede in basso a destra della locandina qui sopra: è l’ultima inquadratura del film, Asger Holm è sulla porta e lo schermo diventa nero per i titoli di coda prima che lo spettatore sappia se esce o no.
Jakob Cedergren, un attore svedese che ho visto qui per la prima volta (ma ha al suo attivo 47 film, secondo IMDb), è straordinario. Il film si regge sulle sue emozioni, sulle sue smorfie, sul tono della sua voce, sui movimenti delle mani, soprattutto sulla sua faccia che cambia con la tensione e la stachezza e che si imperla di sudore, occupando gran parte delle inquadrature in primissimo piano.
Il secondo protagonista del film è il telefono. Anzi i due telefoni: quello a cuffia con microfono che usa per rispondere alle chiamate di lavoro e il cellulare (un incongruo modello ripiegabile stile Startac, in un film contemporaneo), che non dovrebbe usare in servizio e con cui parla con il buddy Rashid.
Degli altri attori sentiamo soltanto la voce amplificata al telefono: i titoli di coda e IMDb li elencano scrupolosamente, ma per lo spettatore italiano che vede il film doppiato è evidentemente impossibile esprimere un giudizio sensato
La vicenda alla base del thriller la apprendiamo e comprendiamo via via atttraverso il filtro delle telefonate. Anche tutto il resto, tutto quello che c’è sullo sfondo (perché Asger è al 112, che cosa lo aspetta il giorno dopo, i rapporti che Rashid e con la sua compagna, …) ci giunge ellitticamente e per accenni, attraverso le telefonate.
L’empatia è sicuramente un tema forte nel film. È venuto dalla nostra ricerca, parlando con i centralinisti e gli agenti di polizia. Penso che il film affronti la questione di mantenere l’empatia quando il tuo lavoro ti richiede di essere professionale e distanziato, mentre affronti gli orrori e le tenebre della nostra società. Volevamo dare al pubblico la stessa visione del mondo del nostro protagonista Asger e, in questo modo, far sì che arrivasse alle sue stesse conclusioni.
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Prof. Giorgio Alleva, ex Presidente Istat
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