Per motivi che ignoro (posso fare qualche ipotesi, ma è così fragile che non mi sembra il caso di esporla), la capacità di fare, concepire, suonare buona musica non è equidistribuita sul globo terrestre. Noi viviamo in un Paese, l’Italia, universalmente considerato musicale, da Monteverdi a Verdi alla canzone napoletana. In Occidente, la Germania gode di fama analoga, almeno in ambito “colto”. Nell’ambito delle musiche popolari e tradizionali, secondo me due Paesi stanno al di sopra di tutti gli altri per originalità, quantità e qualità della loro produzione musicale: il Mali (e ne parleremo qualche altra volta) e la Romania.
All’inizio del 1900, Bela Bartok (che era nato in quella parte di Ungheria che divenne Romania dopo la prima guerra mondiale) batté per oltre vent’anni le campagne ungheresi e romene raccogliendo testimonianze e materiali etnomusicologici (oltre 6.000 brani) che, in parte, incorporò nelle sue composizioni. Ne sono un esempio le danze rumene per pianoforte (ma ne esiste una trascrizione per pianoforte e violino), composte nel 1915 a partire da melodie raccolte tra il 1910 e il 1912 a Maros-Torda, Bihar, Torda-Aranyos e Torontal. Adesso, i Taraf de Haidouks – una banda di lautari, o anche (questo significa il loro nome) di banditi gentiluomini – chiudono il cerchio, reinterpretando con i modi della musica popolare la musica colta di ispirazione popolare di Bartok.
Il disco dei Taraf de Haidouks merita una recensione più ampia, che mi riprometto di fare. Ma in questi giorni di vergognoso razzismo diretto contro i rumeni e in particolare i Rom, mi sembra doveroso un omaggio alla loro grandezza.
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