Staminale

Sul vocabolario (De Mauro online) troviamo per l’aggettivo staminale un solo significato: “relativo allo stame: filamento staminale“.

Come sicuramente ricorderete dai tempi della scuola, lo stame è la parte maschile del fiore (quella femminile si chiama pistillo).

Ma – a parte i botanici o gli appassionati di piante – nessuno di noi aveva sentito l’aggettivo staminale fino a poco tempo fa, quando è iniziato il dibattito scientifico ed etico sulle cellule staminali. Le cellule staminali sono cellule primitive non specializzate, dotate della capacità di trasformarsi in qualunque altro tipo di cellula del corpo. In particolare, le cellule staminali embrionali sono ottenute a mezzo di coltura, ricavate dalle cellule interne di una blastocisti. Fare ricerca con cellule umane di questo tipo è questione controversa: l’utilizzo di cellule staminali embrionali ha sollevato un grosso dibattito di carattere etico. Infatti per poter ottenere una linea cellulare (o stirpe, o discendenza) di queste cellule si rende necessaria la distruzione di una blastocisti, un embrione non ancora cresciuto sopra le 150 cellule; tale embrione è ritenuto da alcuni un primitivo, o almeno potenziale, essere umano, la cui distruzione equivarrebbe all’uccisione di un essere umano già concepito. Il dibattito vede dunque contrapposti coloro che preferiscono adottare, proprio per la mancanza di certezze sul momento in cui possa individuarsi la nascita dell'”essere umano”, una posizione prudente e contraria all’utilizzo degli embrioni umani per fini di ricerca, e coloro che condividono e sostengono la necessità di ricerca sulle cellule embrionali umane pur essa implicando la distruzione dell’embrione fermo restando che sarebbero utilizzati solo embrioni congelati che sarebbero poi distrutti per la perdita della loro efficacia. Questi embrioni sono le “rimanenze” di inseminazioni artificiali e circa il loro utilizzo in campo di ricerca la loro potenzialità potrebbe essere sfruttata per una ipotetica terapia di un maggior numero di patologie. Molti ricercatori sostengono che le cellule staminali potranno potenzialmente rivoluzionare la medicina, permettendo ai medici di riparare specifici tessuti o di riprodurre organi [fin qui, un riassunto da Wikipedia].

Nei paesi di lingua anglosassone, si usa un’altra parola apparentata con questa: stamina, che significa “vigore”, con particolare riferimento alle qualità della “resistenza”, del “durare nel tempo” e così via. Il buffo è che stamina non è una parola inglese, anche se è entrata nell’uso fin dal 1726 (secondo il Merrion-Webster online), ma semplicemente il plurale della parola latina stamen. Lo stamen è (oltre a quello dei fiori) l’ordito, cioè quei fili che sono tesi sul telaio e attraverso i quali si fa passare poi la trama.

Bene direte voi, ma che c’entrano le cellule staminali? E il vigore?

Nella mitologia greca le Moire (Cloto, Lachesi e Atropo, figlie di Zeus e temi, la giustizia) presiedevano al destino umano. La prima, in particolare, filava il filo della vita, la seconda ne assegnava a ogni nato la lunghezza (cioè la durata della vita) e la terza, l’inesorabile, lo tagliava al momento stabilito. Neppure gli dei potevano mutare le loro decisioni. Questo filo, stamen, è all’inizio di ogni vita (per questo le cellule staminali sono anzitutto quelle embrionali) e la sue caratteristiche determinano il vigore di ogni individuo.

I romani ne riproposero il mito nella Parche (una in origine, poi tre per assimilazione al mito greco): sul Foro sorgevano le loro statue, tria fata.

Di qui le nostre “fate”: ma questa è tutta un’altra storia…

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