Jan Palach

Quarant’anni fa esatti, nel tardo pomeriggio del 16 gennaio 1969, Jan Palach, studente dell’Università Carlo di Praga, si recò , e si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale in piazza San Venceslao, in pieno centro, si cosparse il corpo di benzina e si appiccò il fuoco con un accendino. Rimase lucido durante i tre giorni di agonia.

Io all’epoca, pieno di dubbi ma accecato dall’ideologia, non compresi fino in fondo. Qualche mese dopo, Francesco Guccini mi fece capire con la canzone che compare su Due anni dopo (1970).

Di antichi fasti la piazza vestita
grigia guardava la nuova sua vita,
come ogni giorno la notte arrivava,
frasi consuete sui muri di Praga,
ma poi la piazza fermò la sua vita
e breve ebbe un grido la folla smarrita
quando la fiamma violenta ed atroce
spezzò gridando ogni suono di voce…

Son come falchi quei carri appostati,
corron parole sui visi arrossati,
corre il dolore bruciando ogni strada
e lancia grida ogni muro di Praga.
Quando la piazza fermò la sua vita,
sudava sangue la folla ferita,
quando la fiamma col suo fumo nero
lasciò la terra e si alzò verso il cielo,
quando ciascuno ebbe tinta la mano,
quando quel fumo si sparse lontano,
Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava
all’orizzonte del cielo di Praga…

Dimmi chi sono quegli uomini lenti
coi pugni stretti e con l’odio fra i denti,
dimmi chi sono quegli uomini stanchi
di chinar la testa e di tirare avanti,
dimmi chi era che il corpo portava,
la città intera che lo accompagnava,
la città intera che muta lanciava
una speranza nel cielo di Praga,

dimmi chi era che il corpo portava,
la città intera che lo accompagnava,
la città intera che muta lanciava
una speranza nel cielo di Praga,
una speranza nel cielo di Praga,
una speranza nel cielo di Praga…

Ancora più bella, mi pare, la versione dal vivo:

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