Eco, Umberto (2010). Il cimitero di Praga. Milano: Bompiani. 2010.
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Ci sono libri, si usa dire, che ti cambiano per sempre, dopo che li hai letti. Ci sono anche libri che ti scorrono sopra senza lasciare traccia, come l’acqua sulla livrea di una foca o sul culo di un’anatra. Con il solo rimpianto che, forse, avresti potuto occupare meglio il tuo tempo. Il cimitero di Praga appartiene a questa seconda categoria.
Ho provato a cercare di capire perché il professor Eco, uomo celebre e benestante, abbia voluto scrivere un libro del genere. La sua fama accademica è assicurata e nota anche a chi non ha mai messo piede all’università né ha mai letto un saggio. Come romanziere, la fortuna gli è toccata fin dal suo debutto con Il nome della rosa, da cui è stato tratto anche un film di una certa fortuna presso pubblico e critica. Il messaggio del libro (il falso dei Protocolli dei Savi di Sion è stato probabilmente influente sull’antisemitismo del XX secolo) è noto e lo stesso Eco ne ha scritto in più occasioni, anche su L’Espresso. Anche il gioco post-moderno di comporre un romanzo come un mosaico o un collage di brani tratti da altri testi è un gioco ormai frusto, di cui lo stesso Eco ci ha dato altri esempi: senza scomodare Queneau e Perec e l’OuLiPo, c’è l’esempio nazionale, recente e meglio riuscito della Storia romantica di Antonio Scurati (da me recensita qui).
domenica, 18 dicembre 2011 alle 18:32
Da cuoca appassionata mi sembra che la parte in assoluto più debole di questo noiosissimo libro siano le ricette messe lì a riempire pagine. Davvero non aveva niente di meglio da fare?
sabato, 31 marzo 2012 alle 19:03
[…] fa, Una storia romantica di Antonio Scurati (e ci sono tornato su anche qui) e, più di recente, Il cimitero di Praga di Umberto Eco, entrambi scritti come pastiche di testi altrui più o meno rielaborati. Eppure, nei […]