Il mio primo incontro con la Winterreise fu straordinario, una di quelle cose che ti capitano da ragazzo (eh sì, perché persino ai miei tempi a 21 anni si era ancora ragazzi, o almeno io lo ero, ragazzo e bamboccione, e non ho paura di dirlo; sfigato nel senso di Martone certamente no, anche se quella è un’altra storia), che non capisci fino in fondo che ti è successa una cosa straordinaria, e te ne rendi conto anni dopo: la consapevolezza cresce nel tempo. Forse sono questi gli ingredienti dei ricordi indimenticabili, delle cose che – pensi – ti hanno formato, hanno fatto di te quello che sei realmente. Che ti fanno dire “meglio una testa piena di musica che una testa piena di ambizioni” anche nei periodi più difficili (e questo ancora lo è).
Ho studiato musica, da ragazzo. Mio padre aveva un disco (un 33 giri piccolo come un 45, mi pare si chiamassero EP, extended play, ma posso sbagliarmi e non mi va di controllare adesso) dell’Eine Kleine Nachtmusik di Mozart, una delle prime cose che ho imparato a fischiare da piccolo, e sulla copertina azzurra c’era un ritratto di Mozart con i capelli lunghi. Pensavo che da grande avrei voluto avere i capelli lunghi (me li tagliavano a spazzola, con la sfumatura altissima fatta con la macchinetta) ed essere musicista. Alla televisione davano dei recital di Arturo Benedetti Michelangeli (qualche anno fa Roman Vlad li ha riproposti) e a me pareva che il piano avesse uno specchio in cui le mani si riflettevano.
Così a 7 anni cominciai a prendere lezioni con la signorina P. (aveva un alito micidiale) e i miei noleggiarono un pianoforte: ci rimasi malissimo perché non c’era lo specchio; pensai che i miei si erano fatti fregare o che avevano voluto risparmiare. Soltanto molti anni dopo capii che il legno era così lucido e le luci cosi forti che le mani del pianista vi si riflettevano. Ma ditemi voi stessi se non era facile cadere in inganno.
Per la verità su YouTube il recital chopiniano di Arturo Benedetti Michelangeli all’Auditorium RAI di Torino c’è tutto intero. Era il 21 settembre 1962, ma non so se l’abbiano trasmesso in diretta (e certamente non era questo il concerto che mi aveva tratto in inganno). Chi è interessato può ascoltarlo: dura quasi 2 ore, ma ne vale sicuramente la pena:
Insomma, per 2-3 anni mi fece lezione la signorina P., senza molto costrutto. Allora i miei decisero di cambiare insegnante. Il Maestro Mario M. era un collega di mio padre (e dunque faceva il bancario per campare) ma aveva studiato al conservatorio ed era – secondo me – molto bravo. Aveva capito che con me doveva spiegare tutto, che non ero interessato a suonare per suonare, ma volevo capire la teoria che c’era sotto la musica. Dunque mi conquistò subito.
Peccato che io non sia capace di fare nulla che richieda fisicità e coordinamento (be’, quasi nulla, di andare in bicicletta, nuotare e un paio d’altre cose sono capace). Facevo la seconda media (un anno che fu anche per molti altri motivi molto difficile per me) quando un giorno, infuriatosi, il Maestro M. sul quadernetto sul quale mi assegnava gli esercizi scrisse a caratteri cubitali: “Negato alla tastiera del pianoforte.” Non lo dimenticherò mai sembra una frase fatta, ma non lo è. Sono passati quasi 50 anni e non l’ho certo dimenticato.
Smise dunque di provare a insegnarmi a suonare (anche se qualcosina sono ancora in grado malamente di strimpellare), ma continuò a farmi lezione di musica. E mi insegnò a conoscere, ascoltare e capire la musica. Continuammo per molti anni, per il resto delle medie e il ginnasio e il liceo e l’università, a vederci 2 volte alla settimana, prima nella casa al 4° piano e poi in quella nuova, al 7°. Lo dico perché M. era rimasto sotto un bombardamento durante la guerra e da allora soffriva di claustrofobia: non prendeva mai la metropolitana ma rigorosamente il tram, e non saliva in ascensore ma rigorosamente a piedi, anche se i piani erano 7.
Si metteva al piano e suonava lo spartito di quello che stavamo studiando: le sinfonie di Beethoven, l’Incompiuta e i Trii di Schubert, Tristano e la tetralogia di Wagner, Don Giovanni di Mozart. Poi ascoltavamo sul disco (compravamo versioni economiche, perché per ascoltare bene era necessario spostare la puntina più e più volte). Se c’era da cantare, cantavamo a squarciagola. A volte, a motivare quello che studiavamo c’era qualche evento speciale in programma: così studiammo la tetralogia in vista di un’edizione scaligera (con l’all’epoca giovane Sawallisch), e Bach per un ciclo di lezioni settimanali bellissime di Giulio Confalonieri alla Piccola Scala.
M. aveva una passione sfrenata per i Lieder e studiammo quelli di Schubert e Schumann, soprattutto. E fu così che ci preparammo alla Winterreise che eseguirono una sera di marzo del 1974 piuttosto freddina (non vi so dire se lunedì 4, più probabilmente, o sabato 9) al Piccolo Teatro di via Rovello Dino Ciani al pianoforte e il baritono Claudio Desderi. Non sapevo chi fosse Dino Ciani (uno dei pianisti più promettenti della sua generazione) né (ovviamente) che sarebbe morto a 32 anni entro la fine di quel mese (il 27) al km 7 della Flaminia in un incidente automobilistico. Ma fui rapito da quella musica.
Ed è fantastico (trovo) che il web mi permetta di ricostruire la data e il repertorio di quel concerto. E di sciogliere il dubbio se fosse il concerto del lunedì (il suo terzultimo) o quello del sabato: era lunedì, e lo so perché su questo sito giapponese ho trovato anche l’elenco dei bis che eseguirono:
- Trockne Blumen, n. 18 dal ciclo Die Schöne Müllerin D795
- Die Forelle D550
- Der Doppelgänger, n. 13 dal ciclo Schwanengesang D957
E, come dicevo prima, io quel Doppelgänger spero di non dimenticarlo mai.
In mancanza della versione di Desderi e Ciani, che non ho trovato, quella classica di Dietrich Fischer-Dieskau.
Il testo è di Heinrich Heine.
Still ist die Nacht, es ruhen die Gassen,
In diesem Hause wohnte mein Schatz;
Sie hat schon längst die Stadt verlassen,
Doch steht noch das Haus auf dem selben Platz.
Da steht auch ein Mensch und starrt in die Höhe,
Und ringt die Hände, vor Schmerzensgewalt;
Mir graust es, wenn ich sein Antlitz sehe –
Der Mond zeigt mir meine eigne Gestalt.
Du Doppelgänger! du bleicher Geselle!
Was äffst du nach mein Liebesleid,
Das mich gequält auf dieser Stelle,
So manche Nacht, in alter Zeit?
La mia rudimentale traduzione:
La notte è quieta, le strade sono calme.
In questa casa viveva il mio amore:
Da molto tempo ha lasciato la città,
Ma la casa è sempre qui, nello stesso posto.
Un uomo è là e guarda il cielo,
E si torce le mani sopraffatto dal dolore:
Vederlo in volto mi atterrisce –
La luna illumina le mie stesse fattezze!
Mio sosia! Mio pallido compagno!
Perché scimmiotti la mia pena d’amore
Che mi tormentò in questo stesso luogo,
Per tante notti, tanto tempo fa?
mercoledì, 29 agosto 2012 alle 20:01
[…] Del resto, io stesso ho iniziato e poi abbandonato della musica e la mia storia l’ho raccontata qui. […]
domenica, 21 aprile 2013 alle 12:21
[…] conferenze su Bach che Giulio Confalonieri tenne alla Piccola Scala di Milano (ne ho già parlato qui, ma non sono riuscito a trovare nulla sul web: qualcuno mi aiuta a ricostruire che anno fosse?). La […]
domenica, 5 gennaio 2014 alle 22:55
[…] Il grandissimo pianista Arturo Benedetti Michelangeli nacque l’anno successivo, il 5 gennaio 1020, a Brescia e morì a Lugano il 12 giugno 1995. Di come Arturo Benedetti Michelangeli abbia avuto un ruolo non secondario nel mio amore per la musica e nel mio desiderio (in parte frustrato) di imparare a suonare il pianoforte l’ho già raccontato qui. […]
domenica, 29 giugno 2014 alle 21:57
[…] del pianoforte” dal mio maestro quando avevo 12 anni (è una storia che ho raccontato qui). Non parlo nemmeno un inglese perfetto quanto a pronuncia, ma articolo abbastanza bene i miei […]