Chi legge questo blog con qualche regolarità sa che nutro un’epidermica antipatia per Attilio Scarpellini, uno dei conduttori della trasmissione mattiniera di RadioTre Qui comincia. La trasmissione peraltro la seguo da anni, nelle sue diverse incarnazioni, e accompagna i miei rituali del mattino. E ho molta simpatia e addirittura affetto per gli altri che si alternano al microfono: di Paolo Terni adoro i raffinati borbottii, il suo proporre con pudore e modestia pensieri molto profondi; di Anna Menichetti (una delle voci più sexy di Radio Rai, assieme a quella di Marina Flaibani) mi piace la sensibilità trasognata; di Arturo Stàlteri ho addirittura un album di qualche anno fa (Syriarise) e conservo memoria di un suo incontro con Brian Eno, raccontato da quest’ultimo in A Year With Swollen Appendices: Brian Eno’s Diary. Spero che l’interessato non me ne voglia, ma con Scarpellini, invece, mi scatta solo l’irritazione e la voglia di cambiare canale.

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Ma non lo faccio. E così la mattina del 16 maggio 2012 ho ascoltato la puntata che parlava di Pier Paolo Pasolini e, in particolare, un riferimento che Scarpellini ha fatto al famoso tema della scomparsa delle lucciole come di una “metafora” di Pasolini.
Ecco, mi sono detto, subito prevenuto contro Scarpellini: quando PPP scrisse della scomparsa delle lucciole tutti a dire: “Pasolini, poeta e profeta, ma soprattutto grande intellettuale a tutto tondo, capace di cogliere i più profondi cambiamenti non solo della società ma anche dell’ambiente planetario.” Poi qualcuno ha fatto la scoperta: le lucciole erano tornate. Ancora una volta è stato il Corriere della sera (che aveva smesso da tempo di essere un quotidiano autorevole per trasformarsi definitivamente in un quotidiano di sussiegose nullità) a fare lo scoop (l’articolo di Lilli Garrone è del 28 maggio 2006 e ha meritato la prima pagina!):
SONO RICOMPARSI GLI INSETTI RIMPIANTI DA PIER PAOLO PASOLINI IN UN CELEBRE ARTICOLO
Villa Borghese, il ritorno delle lucciole
Mancavano da così tanto tempo che nessuno le aspettava più. Ormai erano entrate nei racconti di chi arrivava da una vacanza ai tropici o da una campagna sperduta. E invece, all’ improvviso, eccole qui. Le lucciole sono tornate a illuminare le primaverili notti romane. Sono tornate anche in un luogo così centrale e inaspettato come Villa Borghese. Si intravedono nel boschetto urbano dietro via di Villa Ruffo, lampeggiano tra gli alberi accanto la fontana Rotonda. Si accendono e si spengono per gli sguardi increduli e stupiti anche delle persone adulte, non solo dei bambini. Chissà cosa avrebbe detto Pier Paolo Pasolini se fosse stato ancora vivo. Se avesse potuto rivederle in questa città. Perché proprio sulle colonne del Corriere della Sera, il primo febbraio del 1975, con un articolo titolato «Coscienze al buio senza lucciole» il famoso poeta lanciò la sua guerra contro il modello di sviluppo degli anni Sessanta e parlò con grande nostalgia della loro scomparsa. Eccone un brano: «Nei primi anni Sessanta a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua… sono cominciate a sparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante… Sono ora un ricordo, abbastanza straziante del passato». Così, di certo la loro rinnovata presenza è una buona notizia. Perché le lucciole, dicono gli esperti, sono un indicatore della salute dell’ecosistema. Almeno per quanto riguarda il loro habitat: prati, cespugli e siepi. Siccome non se ne parlava da un po’ , forse non tutti sanno che le lucciole sono insetti (coleotteri), e non pizzicano l’ uomo. Quando luccicano non lo fanno per noi: lo fanno perché sono in amore e quello è il loro modo di cercare un compagno. L. Gar.
Garrone Lilli
Pagina 1
(28 maggio 2006) – Corriere della Sera
Qualcuno ha provato a dire, sommessamente, che le lucciole non erano mai scomparse. La voce era troppo flebile, gli amplificatori dei media assenti: la verità “ufficiale” è quella della scomparsa e del ritorno. Per maggiore sicurezza però – mi dicevo l’altra mattina – meglio declassare il punto di vista di Pasolini da osservazione a metafora.
A questo punto, però, mi è sembrato doveroso andare a rileggere l’articolo di Pasolini del 1° febbraio 1975. Il titolo (mi viene da scrivere “naturalmente”, dato il livello dell’articolo di Lilli Garrone, che non si è degnata di andare a controllare – la buona notizia è che le lucciole sono davvero coleotteri) non è «Coscienze al buio senza lucciole», ma «Il vuoto del potere».
Che dire? Non mi sembra che Pasolini parli della scomparsa delle lucciole in senso metaforico, ma certo utilizza questo “evento” come spartiacque all’interno di un’analisi delle metamorfosi del potere, fascista e democristiano. Ma io qui non voglio parlare di questo, ma di come un uomo come Pasolini (certamente intellettuale e poeta per sua scelta, anche se forse profeta sua malgrado) possa costruire un’argomentazione su un fattoide (o fattizio, cioè un “fatto che non esiste prima di apparire in una rivista o un giornale”, secondo la definizione di Norman Mailer), senza prendersi la briga di verificare se fosse vero o falso che le lucciole erano scomparse.
Questo ci dice molto sulla cultura italiana, che da quasi 40 anni discute sulle implicazioni della scomparsa delle lucciole con assoluto disprezzo delle circostanze di fatto: dice, secondo me, molto sul conformismo, molto sulla disposizione e sulla disponibilità a credere ai dogmi, molto sul groupthink eletto a sistema di pensiero. Purtroppo, temo, ci dice molto anche su Pasolini come pensatore e maestro del pensiero: perché a me, a rileggerlo, sembra che l’articolo sia veramente debole. Non nella polemica con Franco Fortini su “fascismo aggettivo e fascismo sostantivo”, che si può largamente condividere, ma proprio sul ruolo di pietra miliare assegnato alla presunta e largamente fittizia (o fattizia) “scomparsa delle lucciole”, spartiacque tra un “prima” e un “dopo”, in cui il “prima” è nonostante tutto meglio del “dopo”: una nostalgia che, spiace dirlo, è il sigillo del pensiero di destra.
Dal momento che l’articolo di Pasolini potete andarvelo a leggere integralmente con un click su un link, mi concederò la licenza di tagliuzzarlo e ricostruirne la sequenza per meglio chiarire la parte che vi recitano le lucciole e i limiti (a mio parere, naturalmente) della mitologia precapitalistica e premoderna di Pasolini.
Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).
Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”.[…] una decina di anni fa, è successo “qualcosa”. “Qualcosa” che non c’era e non era prevedibile non solo ai tempi del “Politecnico”, ma nemmeno un anno prima che accadesse (o addirittura, come vedremo, mentre accadeva).
Durante la scomparsa delle lucciole […] sia il grande paese che si stava formando dentro il paese – cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI – sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che “le lucciole stavano scomparendo”. Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia (che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell’analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l’immediato futuro; né identificare quello che allora si chiamava “benessere” con lo “sviluppo” che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il “genocidio” di cui nel “Manifesto” parlava Marx.
I “valori” nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. […] A sostituirli sono i “valori” di un nuovo tipo di civiltà, totalmente “altra” rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. […] si tratta della prima “unificazione” reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una certa logica alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriale. Il trauma italiano del contatto tra l'”arcaicità” pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione dell’industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste.
Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola.
Pasolini passa poi a raccontare il “vuoto del potere” realizzatosi quando i democristiani “sono passati dalla ‘fase delle lucciole’ alla ‘fase della scomparsa delle lucciole’ senza accorgersene.” Questo racconto dà il titolo all’articolo, ma qui ci interessa meno. Mi preme piuttosto sottolineare 2 passaggi che mi sembrano cruciali:
- L’unificazione dell’Italia sarebbe – secondo Pasolini – intervenuta soltanto con l’accelerata industrializzazione del boom economico, e attraverso una “mutazione” antropologica più evidente nel Centro-Sud (come infatti è da attendersi per un Paese non ancora unificato): gli italiani “sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo.” Coerentemente marxista (più di tanti intellettuali organici), Pasolini antepone il cambiamento strutturale (l’industrializzazione) a quello sovrastrutturale (l’omologazione culturale trasmessa dalla televisione, ad esempio). Trovo molto bella e pertinente l’osservazione sulla “sociologia che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell’analisi marxista.”
- Nel passaggio benessere → sviluppo → genocidio (un passaggio agghiacciante, se vi fermate a riflettere anche solo qualche istante) c’è tutta la radice premoderna e reazionaria del pensiero di Pasolini: lo sviluppo è una perversione del benessere che conduce allo sterminio (penso che PPP avesse in mente il passo del Manifesto di Marx sulle crisi da sovrapproduzione: “Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche precedenti sarebbe apparsa un assurdo: l’epidemia della sovraproduzione. La società si trova all’improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l’industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio.”). Pasolini legge Marx come un teorico della decrescita: condizione del benessere vero è rinunciare al progresso, cioè ad andare avanti. Se possibile, anzi, tornare indietro, nell’Arcadia dove ci sono ancora lucciole. Una riflessione che dovrebbe farci guardare con cautela anche alla voga corrente che ci invita a guardare al di là della crescita economica e dello sviluppo (magari l’avessimo!) e perseguire il “benessere” o addirittura la “felicità”.
Giusto per farvi passare quello sguardo romantico e quell’espressione un po’ ebete (che ho anch’io, perché anch’io da bambino subivo il fascino delle lucciole e me le facevo mettere in un bicchiere – senza toccarle io perché gli insetti mi fanno orrore), qualche fatto (e non fattoide) sulla vita delle larve di lucciola: si nutrono prevalentemente di lumache e di chiocciole, grandi fino a 200 volte più di loro (ma ovviamente non velocissime nella fuga); le attaccano a morsi e poi iniettano loro (mentre ancora sono vive) un liquido tossico, che distrugge lentamente i tessuti della vittima e li digerisce trasformandoli in un fluido marrone, che la larva di lucciola può succhiare. Certo, la Montedison operava su un’altra scala, ma nel loro piccolo anche le lucciole …
A complicare le cose, in Italia ci sono due generi di lucciole (nessuno dei due è scomparso), entrambi della famiglia Lampyris: la Luciola (Laporte, 1833) e la Lampyris noctiluca:

Lampyris noctiluca / http://www.acquariodesign.com