La pellicola d’alluminio, oltre all’uso ovvio di avvolgerci i cibi per conservarli o per cuocerli al cartoccio, può essere usata in mille altri modi. Qui di seguito 5 che ho trovato sull’Huffington Post:
Conservare i pennelli sempre pronti a dipingere senza lavarli
Paint Brush Saver. One of the worst parts of painting is cleaning the brushes, especially if you know you’ll need them the next day. Instead of washing the brushes, wrap them up tightly in aluminum foil and stick them in your refrigerator. They may be a little cool to the touch, but they’ll be ready to go.
Keep Pets Off Furniture. As much as we love our animals, there are certain pieces of furniture they shouldn’t go near. When you can’t be at home to shoo them away, try this trick: Place a sheet of aluminum on top of the couch, table or seat. The sound of the crinkling foil will remind them that this isn’t the best place to hang out.
Sharpen Scissors. Sure, we should routinely sharpen our shears professionally, but that means a. Finding a pro who can do that and b. Making time for that appointment. Instead, take the DIY route: Just use the blunt scissors to cut through a few sheets of aluminum foil.
Keeping Your Iron Clean. You can use a piece of aluminum foil to remove the starchy build-up on your iron. To do it? Just run the iron over a sheet of foil. The heat will transfer the starch to the foil sheet, leaving you with a nice clean iron.
Shine Up Chrome. To restore chrome items back to their original shine, bring out the foil. Just wad it up into a ball, dip it in water and buff the chrome to remove rust, dirt and dullness. Similarly, you can use aluminum foil to restore silver items…check out the video to see how.
Ma il mio uso alternativo preferito per l’alluminio è per eliminare l’annerimento dell’argento senza sprecare un microgrammo d’argento (che sarebbe pur sempre un metallo prezioso, anche se non ci facciamo più sopra le malattie che ci fecero gli spagnoli fino a rovinarsi). L’annerimento dell’argento è l’effetto di una reazione chimica, in cui lo zolfo (elemento molto attivo e onnipresente nell’ambiente, e in particolare l’acido solfidrico, gas dal caratteristico odore d’uova marce, si combina con l’argento formando un sale nero, molto stabile e insolubile in acqua). Certo, lo si può rimuovere meccanicamente, ma in tal modo si perde il contenuto d’argento del sale stesso.
Meglio sfruttare la chimica, e in particolare il fatto che l’alluminio, metallo più attivo dell’argento, sottrae lo zolfo dal solfuro d’argento, lasciando solfuro d’alluminio e argento metallico puro. Ma poiché – come già sapeva Lavoisier – a e nulla si distrugge, in questo modo si consuma alluminio.
3 Ag2S + 2 Al = 6 Ag + Al2S3
Per attivare la reazione è necessaria un po’ di energia e un catalizzatore: il modo tradizionale di farlo (quanto meno quello che ho sempre utilizzato io) è di prendere una vecchia pentola d’alluminio: questo perché, come abbiamo detto, nella reazione si forma solfuro d’alluminio, un sale incolore e instabile, che esposto all’umidità dell’atmosfera si idrolizza trasformandosi in ossidi o idrossidi d’alluminio e acido solfidrico – quello della puzza d’uova marce. Il che, in pratica, porta a quei bucherelli che costellano le vecchie pentole d’alluminio… Quanto all’energia e al catalizzatore, basta mettere la pentola d’alluminio sul fuoco, dopo averla riempita d’acqua, deporre sul fondo gli oggetti d’argento da pulire e un cucchiaino di sale da cucina e uno di bicarbonato di sodio come catalizzatori.
Per salvare la pentola d’alluminio, e per oggetti piccoli, può bastare un pezzo di pellicola d’alluminio e un recipiente di vetro o plastica, come s’illustra nel filmato qui sotto:
In realtà, si tratta di errori molto comuni in tutte le forme di comunicazione scritta, e non soltanto per il curriculum.
Le prime due sono valide anche per l’italiano, le altre valgono soltanto per l’inglese.
Non usate le forme passive.
Ve lo ricordate, spero, dai tempi di scuola. I verbi transitivi hanno una forma attiva e una passiva. Nella forma attiva l’attenzione è sulla persona che fa un’azione. Nella forma passiva, invece, l’attenzione è sull’oggetto o sulla persona che subisce l’azione. In un curriculum (o anche in una comunicazione scritta che propugna un progetto o un’attività), voi volete attirare l’attenzione del capo su quello che sapete e volete fare. Quindi l’attenzione dev’essere sul soggetto attivo.
No: «Il progetto Questoequello è stato realizzato dal mio gruppo.»
Sì: «Il mio gruppo ha realizzato il progetto Questoequello.»
Attenzione alla struttura della frase negli elenchi.
È facile, quando si scrive in forma di elenco o di lista, perderne di vista la struttura. Il risultato è un’impressione di generale sciatteria.
No:
• Responsabile di …
• Capo-progetto di …
• Ha guidato il gruppo …
Sì:
• È stato responsabile di …
• È stato capo-progetto di …
• Ha guidato il gruppo …
Attenzione alle parole omofone.
In inglese ce ne sono molte, e sbagliarne lo spelling vi qualifica immediatamente come una persona incompetente: non solo perché non sa l’inglese, ma perché non ha neanche il sospetto di poter sbagliare e l’umiltà di andare a controllare. Due cattive qualità che nessuno vorrebbe avere nei suoi collaboratori.
Un esempio? They’re / there / their. Siete sicuri di sapere la differenza e quando usare ciascuna delle 3 forme?
Attenzione alle differenze tra plurali, possessivi e genitivi sassoni.
Facile apparentemente, ma spesso insidioso.
Anche qui pochi esempi:
My dogs / My dog’s It’s relocation / Its relocation.
Sono un razionalista inveterato e sbeffeggio i creduloni, quelli che hanno fiducia nell’oroscopo e nelle previsioni, quelli che scansano i gatti neri e giocano al gratta e vinci.
Il venerdì 13 (e anche il venerdì 17, se è per quello) sono più determinato e più insopportabilmente sprezzante del solito.
stamattina, andando in ufficio, il convoglio della metropolitana su cui ero (in piedi e senza aria condizionata) si è guastato in una nuvola di fumo di freni bruciati, e me la sono fatta a piedi;
alle 10:30 si è interrotto il collegamento a internet del mio pc: ci sono volute 4 ore per scoprire che il guasto era nella presa di rete (grazie, comunque, ai colleghi che hanno scoperto dov’era il guasto: era tutt’altro che facile);
alle 19:00, dopo un’oretta che lavoravo a un post piuttosto difficile da scrivere, al momento del “pubblica” sono stato tradito da WordPress, che prima mi ha detto che non era riuscito a salvare e di riprovare, e poi mi ha fatto vedere di non aver conservato nessuna traccia del post stesso;
Alle 19:30 ho ripreso la metropolitana: dopo aver atteso 9 minuti alla stazione di Cavour, il treno su cui sono salito – in piedi e senza aria condizionata – si è rotto a Circo Massimo. Sono abbastanza sicuro, dalla voce sgarbata e dal nevrotico accendere e spegnere le luci per farci smontare, che fosse lo stesso autista della mattina. Il diavolo, probabilmente.
Birra e religione possono andare insieme? Sì, secondo una vecchia boutade: «Everybody needs to believe in something. I believe I’ll have another beer.»
2spare.com
È riportata di frequente sulle t-shirt e da molti attribuita a Homer Simpson (che probabilmente l’ha detta).
Ma è abbastanza certo che la battuta sia stata originariamente scritta e pronunciata da W. C. Fields (William Claude Dukenfield, 1880-1946), in genere in questa piccola variante: «Everybody’s got to believe in something. I believe I’ll have another drink.»
Con altrettanta sicurezza si può affermare che W. C. vestiva meglio di Homer.
In occasione dell’Indipendence Day, il 4 luglio, che i cittadini americani passano tradizionalmente tra cerimonie religiose, barbecue innaffiati di birra e fuochi d’artificio, floatingsheep.org – un sito creato e gestito da un gruppo di giovani geografi di diverse università statunitensi e inglesi – ha analizzato la geografia dei tweet contenenti, rispettivamente, la parola “church” (chiesa) o la parola “beer” (birra).
L’iniziativa nasce all’interno del progetto Dolly (Data On Local Life and You: Bringing Local Geodata to the People – questi sono proprio ossessionati dalle pecore), volto a costruire un sito web per condividere e rappresentare cartograficamente statistiche ufficiali e dati derivanti dalle interazioni sociali, per consentire ai cittadini di meglio analizzare i luoghi in cui vivono e operano. Il progetto sta costruendo un database che raccoglie tutti i tweet georeferenziati a partire da dicembre del 2011 (siamo nell’ordine dei 5 milioni di messaggi al giorno).
Poiché il progetto Dolly non è ancora operativo, per celebrare il 4 luglio e per darci un primo assaggio delle sue potenzialità gli estrosi geografi di floatingsheep.org hanno raccolto tutti i tweet inviati tra il 22 e il 28 giugno dal territorio degli Stati Uniti continentali (esclusi Alaska e Hawaii, per capirci), a condizione che fossero georeferenziati (sono tuttora un’esigua minoranza, tra l’1 e il 3% di tutti i tweet inviati, ma si tratta pur sempre di circa 10 milioni di messaggi). Poi hanno estratto quelli contenenti la parola church (17.686 tweet, per la metà inviati domenica 24) o beer (14.405 tweets più uniformemente distribuiti durante la settimana).
Vediamo subito la mappa, prima di entrare in qualche dettaglio tecnico.
floatingsheep.org
Come forse riuscite a leggere, si tratta delle frequenze relative dell’occorrenza dei due termini a livello di contea.
L’uso della georeferenziazione dei tweet presenta dei problemi (un articolo fondamentale lo trovate qui). È importante sottolineare che nell’analisi sono stati utilizzati i dati relativi al luogo da cui il messaggio è stato inviato (spesso da terminali dotati di GPS) e non quelli registrati nel profilo dell’utente, e che nel 90% dei casi questo consente una precisione geografica al livello del comune (dell’agglomerato urbano) o migliore.
A livello di contea, Los Angeles ha il primato per il numero di tweet rilevanti registrati. Dallas è la città più religiosa (chiesa batte birra 178 a 83), San Francisco la più birrosa (191 a 46). Naturalmente, trattandosi di tweet (149 caratteri), l’occorrenza della parola chiesa non è garanzia dell’intenzione religiosa del mittente (“@pamela vorrei visitare la tua chiesa dalla cupole gemelle”), né viceversa (“@donegidio per fioretto mi asterrò dalla birra per 6 mesi”). Malgrado questi limiti, l’analisi consegna una geografia definita in modo impressionante. in cui si individua chiaramente la Bible Belt negli Stati del sud e una netta prevalenza della birra nel New England, sulla East Coast e nel Midwest.
C’è dunque un beer divide negli Stati Uniti? Per approfondire la questione, i geografi di floatingsheep.org hanno utilizzato il test I di Moran per misurare l’auto-correlazione spaziale. I risultati sono statisticamente molto significativi. Senza entrare troppo nei dettagli, la mappa sottostante mostra quali contee con un numero elevato di tweet con la parola chiesa sono vicine a contee con le stesse caratteristiche (in rosso), e quali contee a prevalenza di birra sono prossime a contee con le stesse caratteristiche (in blu). La divisione tra nord e sud è nettissima, a segnalare la riconoscibilità di pratiche profondamente radicate anche quando le si rileva con riferimento alle tecnologie di comunicazione più aggiornate.
floatingsheep.org
E balza agli occhi la rassomiglianza con la mappa dei risultati elettorali del 2008 (in blu le contee dove hanno vinto i democratici, in rosso quella a maggioranza repubblicana).
Il titolo è volutamente sbagliato. È un vecchio trucco, che serve ad attirare l’attenzione del lettore.
In realtà a essere decimato è il dipendente pubblico (tagliare il 10% dei dipendenti pubblici significa eliminarne – vabbè, non letteralmente, diciamo mandarne a casa – 1 su 10). E per me l’immagine dei cittadini rastrellati e messi in fila, e dell’SS che li passa in rassegna e contando dice «tu», «tu», «tu» e «tu», è trita ma irresistibile. Invece, un verbo che si riferisce all’eliminazione di 1 su 5 non mi risulta che ci sia.
Peccato, perché 1 su 5 è veramente tanto. È più della probabilità di farsi un buco nella tempia giocando alla roulette russa con una pistola a tamburo a 6 colpi carica con una pallottola sola: un gioco che non penso nessuno di voi farebbe, anche se magari tra voi c’è qualcuno che gioca al Superenalotto (dove la probabilità di fare 6 è una su 622.614.630).
È la probabilità di trovare una sorpresa speciale nell’ovetto kinder:
Ma come è possibile che nella pubblica amministrazione italiana un dirigente su 5 sia in eccesso? Già mi sembra sconvolgente che il governo (cioè la pubblica amministrazione stessa, che per il governo e per suo ordine ha istruito il provvedimento) abbia detto che un dipendente pubblico su 10 è di troppo. Mai tra i dirigenti il numero raddoppia. Quali perversi meccanismi hanno operato per arrivare a questo risultato disastroso?
Vorrei provare a fare 2 ragionamenti.
Ma prima un disclaimer e una confessione: nella vita vera, fuori dal web voglio dire, sono un dirigente pubblico. Quindi non aspettatevi da me un’assoluta neutralità.
wikipedia.org
Primo ragionamento.
Ammettiamo per un attimo che l’assunzione nella pubblica amministrazione non risponda mai a nessun criterio virtuoso. Ci sono, è vero, i concorsi pubblici per titoli e/o per esami. Ma è tutta una burletta. Nessuno ha mai funzionato, se non perversamente. Hanno invece operato il nepotismo, la raccomandazione politica e non so quale altro meccanismo di selezione avversa, come dicono gli economisti. Risultato? 1 su 10 è indegno di fare parte della pubblica amministrazione? Può essere. Ma non abbiamo modo di affermarlo con certezza. Può darsi che il meccanismo di selezione, pur non avendo operato nel senso sperato (separando i migliori dai mediocri) non abbia nemmeno operato del tutto nel verso opposto (selezionando i peggiori): se nella popolazione di partenza gli incapaci fossero 1 su 10, il procedimento di selezione avrebbe alla fin fine operato in modo neutro.
Quindi non può essere questa, razionalmente, la motivazione del provvedimento. Se il provvedimento ha una ratio, allora, è quella che un dipendente pubblico su 10 non è abbastanza produttivo, è un lusso che non ci possiamo permettere in questi tempi cupi, e per questo lo mandiamo a casa.
A questo punto mi viene un dubbio. Perché un tasso di disoccupazione del 10% è giudicato altissimo (infatti il tasso di disoccupazione più recentemente diffuso dall’Istat, e relativo al mese di maggio 2012, era del 10,1% e ha suscitato vasto e giustificato allarme), mentre distruggere il 10% dei posti di lavoro nella pubblica amministrazione è cosa buona e giusta? Perché la nostra pubblica amministrazione è troppo costosa e i nostri dipendenti pubblici sono troppi, no?
Peso del settore pubblico. La rilevanza del comparto pubblico sul complesso dell’economia dei paesi occidentali può essere misurata in termini di spesa per abitante. Ne emerge un quadro che, in rapporto agli altri paesi europei, ridimensiona fortemente il ruolo delle Amministrazioni pubbliche (Ap) nel nostro Paese. Nel 2010, la spesa pubblica ammonta a circa 13 mila euro per abitante. Questo valore colloca l’Italia poco sopra la media europea. […].
L’Italia presenta livelli di spesa per abitante inferiori alle principali economie dell’Unione. Nel 2010, la pubblica amministrazione italiana spende poco meno di 13 mila euro per abitante e si colloca al dodicesimo posto nella graduatoria europea, subito dopo la Francia (16.878 euro per abitante), la Germania (14.503) e il Regno Unito (13.833). Ai vertici della graduatoria si trovano il Lussemburgo con oltre 33 mila euro per abitante, la Danimarca e l’Irlanda con oltre 23 mila euro seguite dagli altri paesi nordici. Tra le grandi economie dell’Unione, solo la Spagna spende meno dell’Italia con poco più di 10.400 euro per abitante. A molta distanza, infine, quasi tutti i paesi di nuova adesione.
Per quanto riguarda i dipendenti del settore pubblico i dati non sono così aggiornati e dobbiamo andare all’edizione 2010 di Noi Italia, che utilizza dati Eurostat riferiti al 2008.
Occupati del settore pubblico.
In calo il peso occupazionale del settore pubblico
UNO SGUARDO D’INSIEME
L’importanza del comparto pubblico nel complesso dell’economia dei paesi occidentali è da tempo al centro dell’attenzione. Il peso occupazionale del settore pubblico misura, da un lato, il ruolo delle Amministrazioni pubbliche (Ap) negli equilibri del mercato del lavoro; dall’altro – ancorché indirettamente – la capacità di erogare servizi alla collettività.
In Italia nel 2008 il settore pubblico rappresenta il 14,4 per cento della forza lavoro impiegata, con una dinamica in costante calo fin dal 1990.
[…]
L’ITALIA NEL CONTESTO EUROPEO
Nel 2008, il peso occupazionale del settore pubblico è del 20 per cento nel complesso dei paesi dell’Unione europea e risulta in calo di 1,7 punti percentuali rispetto al 2000. L’Italia, con il 14,4 per cento, si colloca al ventitreesimo posto della graduatoria europea, poco al di sopra della Germania.
Il contesto europeo si caratterizza anche per una forte variabilità tra i paesi. Nelle economie di nuova adesione il peso del settore pubblico è ancora molto elevato, anche se in forte riduzione. Svezia e Danimarca, paesi dove lo stato sociale è fortemente radicato, si attestano rispettivamente al 33,9 e al 32,3 per cento. Sul versante opposto, in Austria e in Lussemburgo il peso occupazionale del settore pubblico è il più basso d’Europa (11,8 e 10,8 per cento, rispettivamente).
Quasi tutti i paesi europei presentano inoltre dinamiche di riduzione più o meno accentuate, con alcune eccezioni di rilievo: il Regno Unito (+1 punto percentuale tra 2000 e 2006), Grecia (+1,2) e Svezia (+0,2 tra 2000 e 2007).
LA SITUAZIONE NAZIONALE
[…] Nel complesso, il comparto pubblico è in costante riduzione, sia in valori assoluti sia rispetto al totale delle unità di lavoro. Tra il 2000 e il 2008 si rileva una diminuzione dello 0,8 per cento delle unità di lavoro delle Ap, mentre la riduzione rispetto all’inizio degli anni Novanta (-4,8 per cento) è ancora più consistente.
Andamento analogo ha il peso delle Ap rispetto al totale dell’occupazione: si passa dal 16,2 per cento del 1990 al 15,5 per cento del 2000, per arrivare al 14,4 per cento del 2008. La diminuzione tra il 1990 e il 2008 ammonta quindi a 1,8 punti percentuali (la maggiore riduzione si rileva nel periodo 2000-2008, con 1,1 punti percentuali).
Non voglio tanto attirare la vostra attenzione sul fatto che nessuno ha citato questi numeri. Vorrei piuttosto che rifletteste sulla circostanza che nessuno ha presentato dati di sorta, nemmeno che smentissero questi. Nessuno ha bisogno di dire che i dipendenti pubblici sono troppi o troppo pagati. Nessuno – a fronte di provvedimenti su cui le diverse parti politiche hanno variamente sentito il bisogno di far registrare il proprio dissenso (Alfano, PdL: «Da mesi diciamo: ‘Meno spesa, meno debito, meno tasse’»; Bindi, PD: «È un’altra manovra: il Paese la regge? È quello che ci vuole?»; Zaia, Lega: «Sono assolutamente convinto che la Spending review così, com’è impostata, sia incostituzionale»; Di Pietro, IdV: «È un rimedio peggiore del male») e persino Confindustria ha alzato la voce abbastanza da far scattare la reprimenda del premier (Mamma, lo vedi Paolino che fa salire lo spread?) – ha sentito il bisogno di sostenere con qualche argomentazione o con qualche dato la correttezza della scelta di far perdere il lavoro al 10% dei dipendenti pubblici. È una verità autoevidente come quelle richiamate dal preambolo della Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776 o la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni unite. I dipendenti pubblici sono troppi, improduttivi e troppo pagati. I genovesi sono avari. I torinesi falsi e cortesi. Le ferraresi versate nell’arte della fellatio.
wikipaintings.org/
Secondo ragionamento.
Perché i dirigenti meritano una decurtazione ancora più severa, in effetti il doppio più severa di quella già importante inflitta agli altri dipendenti pubblici? Sono, verrebbe da dire, doppiamente in eccesso, doppiamente improduttivi, doppiamente troppo pagati?
Dev’essere così per forza. Ma per essere così, dev’essere successo qualcosa di ancora più perverso nel processo di selezione dei dirigenti pubblici: tutto il processo di carriera, di scelta dei dirigenti e di conferma dei loro incarichi deve aver operato nella direzione di far avanzare sistematicamente i più improduttivi e inefficienti tra la platea di improduttivi e inefficienti che costituivano la base su cui operare la scelta. Soltanto così si può passare da una concentrazione di improduttivi e inefficienti del 10% (tra i dipendenti pubblici nel complesso) a una del 20% (tra i dirigenti pubblici)
Per non annoiarvi ulteriormente, ripetendo e ampliando quanto ho già detto con riferimento al caso generale, voglio qui citare come evidenza aneddotica il racconto che mi ha fatto un collega, che mi ha chiesto di rispettare il suo anonimato:
Non ho lavorato sempre nel settore pubblico. Ho lavorato anche come dipendente privato e come libero professionista, per 15 anni. Ho scelto (sì, almeno in parte ho avuto il privilegio di scegliere) la carriera nella pubblica amministrazione anche per una motivazione deontologica: l’Italia aveva attraversato la crisi del 1992 ed era ancora in difficoltà; c’era, anche allora, un governo “tecnico”; con Cassese c’erano spinte per l’ammodernamento della pubblica amministrazione; io avevo passato i 40 anni. Partecipai a un concorso per dirigente, direttamente per la posizione più elevata prevista in quella amministrazione. Era un concorso per titoli, in cui sono stato giudicato soltanto sulla base di quanto avevo prodotto, in modo documentato, nei 15 anni di attività precedenti. Non lo dico per autoincensarmi, ma per far capire che le possibilità di truccare la partita erano abbastanza poche, o meno dell’ordinario. Almeno spero. Per di più, ero uno che veniva da fuori e concorreva con persone che in quell’amministrazione ci lavoravano da anni e avevano un percorso di carriera tutto interno. Un outsider.
Ho vinto. Meritatamente? Io penso di sì, ma non è essenziale per gli sviluppi della storia.
Dopo 6 mesi mi è stata affidata la responsabilità di una struttura. Dopo 6 anni sono diventato un direttore (si poteva essere direttore a due livelli, e io lo ero al livello più basso; ma ero comunque nei top twenty di un’organizzazione di oltre 2.000 persone), e lo sono ancora adesso. Ma non sono stato abbarbicato al mio scoglio come una patella. Il contratto privatistico che mi veniva fatto periodicamente firmare era a tempo determinato (2 o 3 anni, mai di più) e l’amministrazione avrebbe potuto interromperlo ad nutum (cioè senza dovermi spiegare il perché) anche soltanto perché si riorganizzava. Ma non l’ha fatto. Nei 12 anni intercorsi dalla mia promozione a direttore, il contratto è stato valutato e rinnovato più volte: l’amministrazione, cioè, pur rinnovandosi e ristrutturandosi, e pur ritenendo di affidarmi aree di responsabilità diverse, mi ha sempre confermato come direttore. Inoltre, fin dall’inizio una parte del mio stipendio era legato alla valutazione della mia performance: all’inizio di ogni anno mi venivano (e mi vengono tuttora) formalmente assegnati degli obiettivi e il loro conseguimento veniva (e viene tuttora) valutato da un Organismo indipendente per la valutazione. Ho sempre conseguito il massimo. Una burletta, direte voi. Possibile; ma una valutazione regolata dalle leggi di questo Paese e, quella sì, al di fuori della mia responsabilità.
Adesso che abbiamo visto un caso particolare, allarghiamo lo sguardo all’insieme dei dirigenti delle altre amministrazioni pubbliche sottoposte al procedimento di decimazione, o meglio di “quintazione”: hanno tutti storie simili da raccontarvi. Da una quindicina d’anni, infatti, dalla riforma Bassanini in avanti, si lavora così nelle posizioni di responsabilità della pubblica amministrazione.
Comunque sia gestita, questa operazione – su cui nessuno ritiene di dover sprecare un commento o una lacrima – sarà sommamente ingiusta.
Anche perché, ditemi: perché mai una pubblica amministrazione che ritenete sia stata incapace di selezionare dei dirigenti efficienti, dovrebbe miracolosamente essere capace di selezionare correttamente quelli inefficienti?
As obvious as it sounds, nothing does more to prevent problems than knowing the subject you are discussing. The more you know, and the more insight you can provide based on your own experience, the less likelihood that you will misspeak or state an incorrect position. Even more important, knowing the material will give you confidence, and that confidence will show in the tone of your voice and in your body language. Do you know how to reduce the chances of being burned while working with a particular product? Don’t be afraid to share that knowledge.
2: Think three steps ahead of the other person(s)
This point relates to the first one. Not only must you know what you’re talking about, you also must anticipate the most likely questions you will get and prepare answers. In other words, you must do more than simply repeat information. You must be able to analyze it and show how it relates to the objectives and concerns of your listeners. If you are talking about a software implementation, what are the most likely areas where a problem will occur? What combination of hardware and software will be the most difficult to troubleshoot? If you have these answers, your listeners will appreciate your information more.
3: Don’t fake an answer
No matter how much you prepare, you might get a question for which you don’t know the answer. In such a case, resist the urge to guess. You might be right, but the chances are greater that you will be wrong, and an initial wrong answer followed by a correction will be worse than stating that you do not know the answer. Of course, if the question involves a complicated situation, people will be more understanding of your inability to answer than if you lack an answer to a basic question.
At the same time, try to answer what you can. If the question involves the interaction of multiple software products, for example, answer what you can about the individual products, then simply state that explaining the way they interact would take additional analysis.
4: Put a positive spin on lack of knowledge
Even though you might not know the answer, try to avoid saying so. Instead, try the old standard “That’s a good question.” Then explain the issues involved. If the answer will vary depending on different sets of circumstances or system configurations, you could talk about one specific circumstance or configuration and explain that one in detail. Then caution your listener that the results might be different in other circumstances.
5: Mention what steps you already took
Let’s say that you are a level one help desk analyst and you are escalating an issue to level two or beyond. When discussing the issue with the next analyst, make it clear what initial troubleshooting steps you already took and that they failed to work. If you don’t, that level two person might think that you neglected those steps and will think that you are incompetent. Better to be in front of the situation and explain what you already did than to have to react to the other analyst’s questions.
6: Incorporate alternatives when you ask a confirming question
If you are unclear about something you heard, incorporate into your question the possible alternatives. The person who is explaining might not be aware of those other alternatives and mistakenly believe your question is stupid.
For instance, suppose someone is explaining that a supplier is based in Arlington, and that person is aware of only the Arlington in Virginia. If you were to ask, “Do you mean Arlington, VA?” that person, and possibly others, might consider it a stupid question. If you instead ask, “Do you mean Arlington, Virginia, Texas, or Massachusetts?” you subtly make it clear that your question is not stupid at all. In the same way, rather than asking, “Do we need PowerPoint to run the presentation?” consider instead “Do we really need PowerPoint or just the viewer?”
7: Be clear in your answer about assumptions and limitations
Any answer you give will depend on specific facts and circumstances. Therefore, be clear about them, because in other cases the answer might be different.
For example, let’s say that you are vendor management person for your IT organization, and an issue has arisen with a vendor. Suppose someone in the organization asks you about the timeframe your company has in which to sue a vendor, and you know the answer. In giving it, you probably would want to qualify your answer to say, “In state X, the time limit to sue is y years, but in other states it might be different.”
8: Remember that “definitely [not]” can come back to haunt you
As soon as you say something “definitely” will or won’t happen, events will prove you wrong. As a result, you will end up with the proverbial egg on your face. A better alternative to “definitely will happen” is a response such as, “It might not happen, but the chances of that are really small.” An alternative to “definitely won’t happen,” might be, “It’s possible but extremely unlikely.”
9: Consider the Captain Renault “would be shocked” response
In the immortal movie Casablanca, Captain Renault declared that he was, “shocked, shocked I tell you” to find that gambling was occurring at Rick’s Café. You can use this dialog yourself to avoid looking foolish.
While the previous answers of “possible but unlikely” are better than the “definitely” or “definitely not,” they still carry an element of uncertainty. For that reason, my own preference is to answer so that the answer does have certainty. However, the certainty is not about the result, but about my reaction if the result is different. It also lets people know that you’re already aware that you might get egg on your face, so if you’re wrong, you don’t look quite as foolish.
So, for example, in response to the question “Does this Microsoft product have security issues?” I might answer, “If it doesn’t, I would be shocked.” If I am positive that a project will be late, I might say, “If this project comes in on time, I will be shocked.”
10: Have data and citations in writing
If you are using data to support your points, have that data with you in writing or least have a citation to it. That way, you are not seen as making up numbers. Furthermore, people who disagree with you also have to disagree with data that came from someone other than you. Having the data and the citations gives you added credibility.
Con questa infografica, nel febbraio del 2012 Drake Mortimer ha chiesto alla sua fidanzata Stacy Green di sposarlo. L’infografica è diventata virale (si stima sia stata vista 50 milioni di volte) e, sì, Stacy e Drake si sono sposati.
Oggi, 19 giugno 2012, il Mediatore europeo (forse più noto come European Ombudsman) ha presentato i principi deontologici dei funzionari europei. Il rischio è che, nella bufera che l’Unione europea sta attraversando, passino inosservati. E invece, al di là del tono a tratti un po’ roboante, sono un passo importante: perché è difficile immaginare che i cittadini europei non chiedano anche ai civil servant nazionali di aderire ai principi che guidano il comportamento dei funzionari delle istituzioni europee.
1. Impegno verso l’Unione europea e i suoi cittadini
I funzionari sono consapevoli che le istituzioni dell’Unione esistono per servire gli interessi dell’Unione e dei suoi cittadini ai fini della realizzazione degli obiettivi dei trattati.
I funzionari adottano raccomandazioni e decisioni al solo scopo di servire tali interessi.
I funzionari svolgono le loro funzioni al meglio delle loro capacità e si adoperano per rispettare sempre i più elevati standard professionali.
Sono consapevoli di ricoprire una posizione che gode della fiducia dei cittadini e dimostrano di essere un buon esempio per gli altri.
2. Integrità
I funzionari s’ispirano a un principio di ragionevolezza e si comportano sempre in modo tale da sostenere il più rigoroso esame pubblico. Tale obbligo non è assolto comportandosi semplicemente secondo la legge.
I funzionari non assumono obblighi finanziari o di altra natura che potrebbero ripercuotersi sullo svolgimento delle loro funzioni, ivi incluso il ricevimento di donativi e dichiarano con sollecitudine eventuali interessi privati connessi alle loro funzioni.
I funzionari si adoperano per evitare i conflitti di interesse e il loro insorgere. Intervengono rapidamente per risolvere gli eventuali conflitti di interesse. Tale obbligo perdura anche dopo la fine del loro incarico.
3. Obiettività
I funzionari assumono un atteggiamento imparziale, aperto, basato sulla concretezza e incline all’ascolto di punti di vista differenti. Sono pronti a riconoscere e correggere gli errori.
Nel procedere con valutazioni comparative, i funzionari basano le proprie raccomandazioni e decisioni unicamente sul merito e su ogni altro fattore espressamente previsto dalla legge.
I funzionari non operano discriminazioni né consentono che simpatie e antipatie personali influenzino il proprio comportamento professionale.
4. Rispetto per gli altri
I funzionari agiscono nel rispetto reciproco e dei cittadini. Sono educati, disponibili, tempestivi e cooperativi.
Si impegnano seriamente a comprendere le affermazioni altrui e si esprimono con chiarezza, utilizzando un linguaggio semplice.
5. Trasparenza
I funzionari sono pronti a spiegare le proprie iniziative e a motivare il proprio operato.
Tengono registri idonei e sono disponibili per l’esame pubblico della loro condotta e del rispetto di questi principi del servizio pubblico.
/www.europarl.europa.eu
Ed ecco il breve commento del Mediatore europeo, Nikiforos Diamandouros.
Come Mediatore europeo, è mia opinione che sia i cittadini sia i funzionari dell’Unione ritengono che questi cinque principi siano quelli a cui si dovrebbe ispirare il servizio pubblico dell’UE. […]
Conoscerli può aiutare i funzionari a comprendere e ad applicare le norme in maniera corretta nonché orientarli verso la decisione giusta laddove siano chiamati a operare in base al proprio giudizio.
Non sono principi nuovi. Al contrario, rappresentano le attuali aspettative dei cittadini e dei funzionari. Inoltre, sono già racchiusi, esplicitamente e implicitamente, nello statuto dei funzionari e in altri documenti quali il regolamento finanziario e il Codice europeo di buona condotta amministrativa.
Il valore aggiunto rappresentato dal presente documento risiede nell’enunciazione semplice e concisa di tali principi, frutto di un’ampia fase di riflessione e consultazione. Un primo progetto è stato elaborato nel corso del 2010, al termine di una consultazione con i difensori civici nazionali della rete europea dei difensori civici. Successivamente, è stata avviata una consultazione pubblica, che si è svolta tra febbraio e giugno 2011. I documenti correlati sono disponibili sul sito web del Mediatore (www.ombudsman.europa.eu), insieme alla relazione sui risultati della consultazione pubblica. Desidero esprimere la mia sincera gratitudine a tutte le istituzioni, le organizzazioni e le persone che hanno risposto alle consultazioni. Il loro contributo è stato decisivo per la formulazione definitiva di tali principi.
I principi costituiscono la quintessenza delle norme etiche dei funzionari dell’Unione. Come tali, rappresentano anche una componente essenziale della cultura del servizio a cui l’amministrazione pubblica dell’UE aderisce. Fissare norme dettagliate è un modo per rendere operativi tali principi in situazioni concrete. Norme di questo tipo esistono, per esempio, nel campo della prevenzione e della regolamentazione dei conflitti di interesse. Come rilevato da alcuni partecipanti alla consultazione pubblica, servirebbero probabilmente norme migliori e in numero più elevato. I principi della funzione pubblica non sono intesi in sostituzione di tali norme. Allo stesso tempo, vi sono tre ragioni per le quali simili norme, per quanto accuratamente definite, non esimono dalla necessità di mettere a fuoco anche alcuni principi etici di alto livello.
Innanzitutto, è probabile che l’elaborazione di tali norme dettagliate, legislative o amministrative che siano, risulti migliorata dalla definizione di una serie di principi di alto livello cui fare riferimento.
In secondo luogo, le norme non si interpretano né si applicano da sole. Per conoscere il loro significato in situazioni concrete, spesso è necessario esercitare il proprio giudizio.
In terzo luogo, non è possibile stabilire norme in grado di disciplinare tutto. Si considerino, ad esempio, il terzo e quarto paragrafo del principio 1:
I funzionari svolgono le loro funzioni al meglio delle loro capacità e si adoperano per rispettare sempre i più elevati standard professionali.
Sono consapevoli di ricoprire una posizione che gode della fiducia dei cittadini e dimostrano di essere un buon esempio per gli altri.
Risulta difficile immaginare norme dettagliate in grado di disciplinare ogni singola azione, effettiva o potenziale, a cui i paragrafi sopra riportati possono riferirsi, soprattutto perché essi prevedono non soltanto che i funzionari reagiscano in maniera appropriata a situazioni particolari, ma anche che si dimostrino proattivi.
Per citare un altro esempio, il principio 3 afferma, fra l’altro, che i funzionari non operano discriminazioni. Secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, la non discriminazione si compone di due aspetti: (i) situazioni analoghe non sono trattate in maniera diversa e (ii) situazioni diverse non sono trattate in maniera uguale, a meno che, in ambo i casi, tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Non operare discriminazioni, quindi, non significa trattare tutti allo stesso modo senza tenere conto delle differenze tra le diverse situazioni. Al contrario, l’esercizio del giudizio è necessario per distinguere fra differenze pertinenti e non pertinenti.
Prima di concludere, è importante chiarire l’ambito di applicazione dei principi enunciati. Il termine «funzionario» è una comoda abbreviazione di ciò che lo statuto dei funzionari definisce «funzionari e altri agenti dell’Unione europea». Lo statuto dei funzionari prevede, inoltre, la categoria dei consulenti speciali, anch’essi considerati come funzionari al fine di definire l´ambito di applicazione dei principi del servizio pubblico.
Il mio proposito era quello di formulare i principi in modo tale che risultassero pertinenti per tutti i funzionari, non solo per quanti rivestono responsabilità gestionali o di leadership. In tale contesto, occorre inoltre ricordare che i membri delle istituzioni, ad esempio della Commissione, della Corte dei conti e del Parlamento europeo, così come i giudici della Corte di giustizia non sono «funzionari» né «altri agenti» ai sensi dello statuto dei funzionari. Né lo statuto dei funzionari è applicabile a detti membri o giudici. Essi non sono, quindi, «funzionari» ai fini dei principi del servizio pubblico. Tuttavia, queste categorie di soggetti hanno la facoltà di considerare i principi pertinenti al loro incarico e fonte di ispirazione per le loro particolari responsabilità.
Ho evitato di includere tra i principi elementi che, a mio giudizio, riguardano principalmente le responsabilità delle istituzioni e non le responsabilità dei singoli funzionari. Mi riferirò, tuttavia, a tali principi ogniqualvolta risulterà opportuno durante le mie future indagini su presunti casi di cattiva amministrazione nelle attività delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione europea.
Credo fermamente che l’esplicitazione dei principi del servizio pubblico possa contribuire a generare e a definire un dialogo continuo e costruttivo tra i funzionari e tra questi e i cittadini. La diversità culturale, celebrata dal motto «Unita nella diversità», è uno dei punti di forza più importanti dell’Unione europea. Significa anche che il dialogo è uno strumento essenziale per consolidare e approfondire una lettura condivisa dei valori etici del servizio pubblico tra i funzionari e i cittadini di diversa provenienza culturale.
Negli Stati Uniti, il partito repubblicano sta combattendo una battaglia per l’abrogazione dell’American Community Survey, una rilevazione del Census Bureau che produce a cadenza annuale dati con un buon dettaglio territoriale.
L’American Community Survey è considerato universalmente (repubblicani esclusi, naturalmente) un grande successo e un modello da seguire. Se ne è discusso anche in Italia, come una prospettiva da adottare dopo il Censimento generale del 2011.
In questo video, il professor William Frey dell’Università del Michigan spiega perché abrogare l’American Community Survay sarebbe un errore.
Alla presentazione da parte dei media di storie che contengono informazione statistica o scientifica, a meno di essere creduloni, è facile reagire con il cinismo. Noi incoraggiamo piuttosto lo scetticismo. Per questo, vi proponiamo una cassetta degli attrezzi per l’interpretazione dei dati e delle informazioni in cui ci imbattiamo nella vita quotidiana.
Interesse particolare: Chi ha fatto quella specifica affermazione? Poteva avere un suo interesse? Ci ha detto tutto?
Espressioni ambigue: Dovrebbero far scattare subito un campanello d’allarme – soprattutto quelle fortemente connotate emotivamente, come “peste”, o quelle che sembrano indicare una strada senza ritorno verso la catastrofe, come “inevitabile”. È inevitabile che dopo il giorno venga la notte, ma non che ci sarà un attacco terroristico. Puoi essere in “irreparabile in ritardo” per una riunione iniziata un’ora fa, ma un’eruzione vulcanica, un terremoto o un’epidemia può essere “in ritardo” soltanto sulla base di un’argomentazione basata sul calcolo delle probabilità. Altre parole potrebbero avere un significato “tecnico” diverso da quello corrente. Quando le statistiche ufficiali parlano delle “forze di lavoro” contano tutti quelli che hanno lavorato almeno un’ora nella settimana di riferimento, e dunque un boom degli occupati potrebbe dipendere dall’impiego di studenti come baby-sitter o come barman una sera alla settimana. Voi lo considerate lavoro?
Rilevazioni e sondaggi: Chi li ha fatti? Sono attendibili? Hanno una motivazione ovvia? Chi li ha finanziati? Interi ambiti di studio possono diventare pericolosamente dipendenti dal finanziamento da parte di una sola fonte, sia essa commerciale, governativa o di un gruppo di pressione. I quesiti sono formulati in modo neutrale? Quanto è grande il campione? Troppo piccolo e i risultati saranno distorti; troppo grande e gli autori potrebbero cercare di persuadervi schiacciandovi sotto una mole di dati. La dimensione del campione e i margini d’errore sono pubblicati? Quando un produttore di cibo per gatti afferma che 4 gatti su 5 preferiscono il suo prodotto, lo ha fatto assaggiare solo a 5 gatti? Come sono stati raccolti i dati?
Dati: Confrontateli tra loro. Guardate a tutti i possibili effetti di un cambiamento, non soltanto a uno. Confrontate passato e presente. Confrontate tra loro i Paesi. E se non ci sono i dati per fare questi confronti così ovvi, chiedetevi il perché: qualcuno vi sta nascondendo qualche cosa?
Percentuali e valori assoluti: Chi ha una storia da raccontare o una tesi da sostenere sceglie sempre il modo più impressionante di presentare le cose.
Aneddoti e statistiche: I timori si diffondono per passaparola e per notizie televisive e di stampa che riprendono vicende individuali strazianti; le autorità spesso rispondono con statistiche roboanti. Un confronto sensato tra aneddoti e statistiche è molto difficile. In un certo senso, possono entrambi essere “veri”.
Grafici: Come i testi e le cifre, possono essere soggetti a errori o a distorsioni deliberate. Non date loro credito acriticamente soltanto perché tecnici all’apparenza.
Scala temporale: Questa è una cosa importante, che parole come “inevitabile” confondono. Il livello del mare sta salendo, ma in un arco temporale molto più lungo di quello della pianificazione urbanistica: quindi c’è tutto il tempo per adattarsi e porvi rimedio. Molte serie di dati hanno 3 componenti: una tendenza di lungo periodo, variazioni cicliche di più breve durata e le singole osservazioni (spesso erratiche). È importante esserne avvertiti, in modo da non cadere in inganno.
Perché adesso?: Chiedetevi perché la notizia viene divulgata proprio ora e se sarebbe stato altrettanto degna di pubblicazione in un diverso momento. Gli articoli sul riscaldamento globale sono più frequenti d’estate; quelli sui pericoli dei viaggi alla vigilia delle vacanze; i sondaggi sul sesso per San Valentino.
Disfattismo: State in guardia quando vi viene detto che a proposito di qualche cosa non c’è niente da fare: se così fosse, perché dircelo? Solo per allarmarci e per diffondere il panico?
Paure classiste: Diffidate dei timori legati a vantaggi di cui una qualche élite gode ma che si vogliono negare agli altri. Per esempio, quando si afferma che le crisi ambientali o sanitarie sono provocate o esacerbate dai voli low cost, dai cibi esotici, dall’automezzo privato, dalla scelta dei trattamenti sanitari, dall’istruzione universale e così via.
Scenari: Molti modelli di studio economici e scientifici producono una intera gamma di scenari futuri: accertatevi che quello che vi viene presentato non sia il solo scenario peggiore.
Considerate anche gli aspetti positivi: Non date per scontato che, se alcune cose vanno per il peggio, tutte seguano la stessa tendenza. Questo è il mestiere dei media sensazionalistici. Prendete il riscaldamento globale: è vero che tra 100 anni sarà più caldo, ma che cosa potrebbe aver escogitato l’intelligenza umana nel frattempo? Nuove fonti energetiche? Un metabolismo umano geneticamente modificato? Una fotosintesi più efficiente? Fantascienza, direte. Certo, ma guardate che cosa è stato fatto negli ultimi 100 anni.
Il senso delle proporzioni: È un male se 100 persone muoiono di influenza aviaria, ma in un Paese di 50 milioni di abitanti è una frazione molto piccola. Quanti sono morti per altre cause?
Il senso del ridicolo: Cercate di tenere i piedi per terra, anche se i personaggi pubblici non lo fanno. Il ministro dell’interno tedesco Wolfgang Schaeuble insiste che il terrorismo islamico è la più grande minaccia alla stabilità tedesca. Vi sembra anche solo remotamente credibile o sta semplicemente cercando di dare importanza al suo ruolo nel governo?
wikipedia.org
* * *
In questo modo si conclude Panicology, il libro di Aldersley-Williams e Briscoe che ho recensito un paio di giorni fa. È, a parer mio, la parte migliore del libro e merita di essere meditata da tutti, indipendentemente dalla recensione (lo so che molti di voi, quando vedono che il post è una recensione, dicono «Che palle!» e cliccano su un’altra pagina). Sopra c’è la mia traduzione ma, poiché mi sono preso qualche libertà, propongo qui sotto ai più volonterosi l’originale.
For those not inclined to credulousness, it is easy to be cynical about the media in its presentation of stories involving statistical or scientific information. We would rather encourage skepticism. With this in mind, we offer this toolkit for the interpretation of data or information that come our way.
Vested interest: Ask yourself who has made a particular statement. Why might they have done this? Are we being told the whole story?
Weasel words: These should ring alarm bells – especially emotive ones such as “plague,” or ones that put us on a one-way trip to disaster such as “inevitable” and “overdue.” It is inevitable that night follows day, but it is not inevitable that there will be a terrorist attack.You can be overdue for a meeting that started an hour ago, but a volcanic eruption, an earthquake, or an outbreak of disease is only ever overdue based on arguments of probability. Other words may not have the obvious meaning. Government surveys of the “work force” count anyone who has worked one hour or more in a week, so a boost in the numbers working could be down to children babysitting or students spending an evening behind a bar. Is this what you consider work?
Surveys: Who conducted it? Are they credible? Do they have an obvious motive? Who paid them? Whole fields of study can become unhealthily dependent on funds from one source, whether that source is commercial, governmental, or charitable. Were the questions neutrally worded? How big is the sample? Too small, and the result may be skewed; too big, and the authors may be trying to use sheer weight of numbers to persuade you. Is the sample size and margin of error shown? When a pet food manufacturer says that four out of five cats prefer their product, did they only feed five cats? How were the data collected?
Figures: Try to compare figures. Look at as many of the effects of a change as possible, not just one. Compare the present with the past. Compare one country with another. If the data aren’t there to make the obvious comparison, ask yourself what is being obscured.
Percentages and actual numbers: People with a story to tell will choose the more impressive way of putting things.
Anecdote and statistics: Fears are spread by word of mouth, press, and television reports based on harrowing individual stories; authorities frequently counter these with broad statistics. Meaningful comparison between the two is hard. Both may be “true”.
Graphs and charts: Like words and figures, these may be subject to error or deliberate distortion. Don’t automatically believe them because they look technical.
Timeframe: This is an important factor that words like “inevitable” gloss over. Sea levels are rising, but over a longer period than housing planning cycles, so there is time to adapt. Many data series have a long-run trend, a shorter cyclical variation, and then (often erratic) individual data points. Be aware of each so as not to be tricked.
Why now: Ask yourself why the story is appearing now, and whether it would be equally newsworthy at another time. Global warming stories appear more in the summer. Travel fears play well as people set off on their holidays. Sex surveys are often released in time for Valentine’s Day.
Defeatism: Be wary when told there is nothing we can do about something. Why then are we being told about it? Is it merely to alarm us, or to put us in a state of fear?
Scare snobs: Distrust scares where an elite is trying to deny others advantages they already enjoy, for example environmental and health crises exacerbated by cheap flights, exotic food, private modes of transport, choice in medicine and education.
Scenarios: Many economic and scientific studies model a range of future scenarios. Make sure that the outcome described is not just the worst-case scenario.
Accentuate the positive: Don’t discount the possibility that even if some things are getting worse, others may get better-which negative newspaper stories make it their business to do. It will get warmer in 100 years, but what might human ingenuity have devised by then? New energy sources? Genetically modified human metabolism? Improved photosynthesis? Science fiction, you might say, and so it is-for now. But think what has been achieved over the last 100 years.
The big picture: It’s bad if 100 people die of bird flu, but in a country of 50million, this is very few. How many died of everything else?
A sense of proportion: Try to keep one, even if the top brass won’t. Germany’s Interior Minister Wolfgang Schaeuble, insists that Islamic terrorism is the single largest threat to Germany’s stability. Does this seem remotely credible, or is somebody just bigging himself up?
RT @UsciItalia: #StatCities Verona
Prof. Giorgio Alleva, ex Presidente Istat
La pandemia e le rilevazioni statistiche sul territorio. Il mo… 11 months ago