Wasik & Murphy – Rabid: A Cultural History of the World’s Most Diabolical Virus

Wasik, Bill & Monica Murphy (2012). Rabid: A Cultural History of the World’s Most Diabolical Virus. London: Viking Penguin. 2012. ISBN 9781101583746. Pagine 287. 14,41 €

Rabid

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Ci sono libri che leggo, e cose che faccio, come una forma di cura violenta a mie paure e fobie. Sono stato nella selva amazzonica non soltanto per la curiosità di vedere un ambiente così interessante e così citato da molti libri e resoconti scientifici che avevo letto, da Claude Lévi-Strauss a Fitzcarraldo, ma anche per il terrore che leggendo quei libri e quei resoconti mi aveva ispirato quella natura così insidiosa e misteriosa (e vi assicuro che, per quanto ospite di un resort di lusso, la fauna di artropodi che ogni giorno e soprattutto ogni notte riusciva a entrare in camera era abbastanza impressionante). Lo stesso vale per la mia fascinazione per i libri e i film dell’orrore, anche se in quel caso sono abbastanza razionale da non avere realmente paura.

Ho sempre avuto un sacro terrore dei cani – anche se crescendo ho imparato a far buon viso a cattivo gioco e sono perfino capace di accarezzarli sulla testa, se la situazione sociale me lo impone – e ho anche sempre pensato che questa paura fosse giustificata: nella mia infanzia (parzialmente) campagnola i cani erano feroci cani da guardia, legati a una lunga catena; quando ti avvicinavi cominciavano a latrare come forsennati, correvano aggressivi verso di te per quanto la lunghezza della catena glielo consentiva e poi restavano lì, eretti sulle sole zampe posteriori, con il muso paonazzo e gli aguzzi denti in mostra, con un latrato se possibile ancora più terrificante per l’effetto strangolante della catena. Quelli un po’ più piccoli di taglia, che non erano considerati “da guardia” erano lasciati liberi di inseguirti per strada, quando passavi in bici, sempre abbaiando come ossessi e quei dentini bianchi pericolosamente vicini ai tuoi malleoli. Io pedalavo a più non posso con il cuore che batteva all’impazzata. E vi giuro che se ci fosse stato l’EPO e ne avessi conosciuto l’esistenza l’avrei assunto per scappare ancora più in fretta.

Della rabbia sapevo, ma non era al primo posto nelle mie paure. Le mie paure erano molto più elementari e primordiali: erano la paura del morso. Anzi, erano la paura della prospettiva, della possibilità stessa del morso. [Ma non è poi così per tutte le paure, anche per quella – la Ur-paura – della morte? Nonostante gli stupidi filosofi ti dicano che non la devi temere perché quando c’è lei tu non ci sei più, e quando ci sei tu lei non c’è ancora: ma c’è la sua prospettiva, la sua possibilità; ed è quella che ti terrorizza.]

Della rabbia sapevo anche che, se eri morso, dovevi fare una vaccinazione che – a differenza di quelle che si esaurivano in una pastiglia o uno zuccherino, o persino in un’iniezione o un taglietto – era lunga e dolorosa: una serie di iniezioni nella pancia.

Non sapevo, per fortuna, che se dopo il morso non vieni vaccinato o lo sei troppo tardi, la rabbia ti uccide tra atroci dolori, e soprattutto ti uccide sempre (i sopravvissuti sono così pochi e così discussi che questo è uno dei pochi casi in cui la terribile parola sempre significa inesorabilmente sempre).

Sapevo che altri animali, oltre ai cani, possono ammalarsi di rabbia e vivere abbastanza a lungo da trasmettertela (questo è uno degli sporchi segreti del simpatico virus, che altrimenti sarebbe condannato all’estinzione proprio dalla sua efficienza nell’uccidere i suoi ospiti). Ma pensavo che si limitassero ad altri canidi: i lupi, le volpi, i coyote, gli sciacalli, i dingo australiani… Non sapevo dei procioni, dei gatti (aaargh!) e persino degli asini, dei maiali e delle miti pecorelle. Soprattutto, non sapevo nulla degli insidiosi pipistrelli, il cui morso è così lieve che possono infliggertelo nel sonno (spesso sul naso!) senza che tu ti svegli e senza che tu, la mattina dopo, dia importanza a quella feritina che nel giro di qualche settimana ti ucciderà, e malamente.

Sì, perché – dimenticavo – tutti gli orrori associati alla rabbia, inclusa l’idrofobia e la schiuma alla bocca, la follia furiosa e gli spasmi incontrollabili, sono reali e non esagerazioni. Così, adesso che ho letto questo libro, ho anche più paura di prima.

* * *

Un altro motivo d’interesse, per me, scaturisce proprio dalla circostanza che le due specie più soggette alla rabbia siano in canidi e i pipistrelli. La rabbia, dunque, è la naturale candidata a rappresentare l’anello mancante tra vampiri e lupi mannari, miti che (come dovrebbe ormai essere noto ai miei lettori) mi affascinano entrambi e cui ho dedicato molti post (da ultimi, per esempio, questo e questo).

* * *

La lettura mi ha fatto tornare alla mente un film dei fratelli Taviani della fine degli anni Settanta, Il prato. Il Morandini ne parla così:

Giovanni (Marconi), avvocato che s’avvia a fare il magistrato, s’innamora a San Gimignano (Siena) di Eugenia (Rossellini), antropologa che s’occupa di teatro di animazione, già legata sentimentalmente a Enzo (Placido), intento al progetto di una comune agricola su terre abbandonate. Si ritrovano anni dopo. Tolti pochi momenti di grazia (l’intermezzo fantastico del pifferaio di Hammelin; la notte sull’aia dopo la caccia; il ritorno dalle terre occupate), è tormentoso e opaco, persino qua e là banale, come non era mai successo in un film dei Taviani. In questo film poco rosselliniano, la presenza di Rossellini incombe con la citazione del finale di Germania anno zero, mediata sul volto della Rossellini che, a sua volta, e non soltanto per la somiglianza fisica, evoca il ricordo di sua madre Ingrid Bergman.

ComingSoon racconta un po’ di più la trama:

Avendo appena concluso gli studi e attendendo l’assegnazione di un posto come magistrato, Giovanni, che vive a Milano, viene mandato da suo padre Sergio a San Gimignano dove potrà seguire il passaggio di proprietà di una vecchia casa colonica e nello stesso tempo godersi una meritata vacanza. Il giovanotto incontra casualmente Eugenia, una laureata in antropologia che si è dovuta accontentare di un impiego burocratico presso il municipio di Firenze ma che cerca ugualmente una realizzazione personale dedicando il tempo libero al teatro nelle strade e nelle piazze della cittadina toscana. L’amore che nasce immediatamente tra i due non cancella quello della ragazza verso Enzo, al quale è legata già da quattro anni. Enzo, un perito agrario disoccupato, giunge poco dopo a San Gimignano per tentare una “comune” agricola che fallirà per le reazioni dei padroni. Il triangolo che così si è formato si dimostra precario dal punto di vista sentimentale e anche dal punto di vista professionale: Giovanni ha ottenuto il posto presso il Palazzo di Giustizia di Milano, ma vi annaspa irrequieto; Eugenia; viene osteggiata nel suo innocente lavoro di teatrante; Enzo; coinvolto in una sparatoria, vive nel timore di un arresto. Eugenia, allora, decide di andare in Algeria come insegnante presso la colonia degli Italiani; ed Enzo la seguirà per evitare le persecuzioni politiche. Giovanni, accorso in Toscana, si sente smarrito per le due partenze e, morso dal cane idrofobo di Eugenia, rifiuta le cure del padre e della madre Giuliana, accorsa al suo letto, e si lascia morire.

In effetti, la parabola del film è fin troppo elementare e non mi era certo sfuggita quando l’avevo visto a suo tempo: la fine delle speranze – pubbliche e private – di una generazione (Saverio Marconi e Michele Placido avevano entrambi 30 anni, l’intensa Isabella Rossellini 26), “il personale è politico” che ti si ritorce contro, il famigerato riflusso, la rabbia che – impossibilitata a diventare motore del cambiamento – ti consuma e ti soffoca.

La scena della morte di Giovanni però era intensissima, ed è un peccato che su YouTube non si trovi. Godetevi il trailer con la medievale scena del pifferaio nelle strade e nei prati di San Gimignano.

E un’interessante (anche se poco pertinente) intervista dell’indimenticato Beniamino Placido ai 3 giovani protagonisti (si scopre anche che Michele Placido era un insopportabile presuntuoso già da giovane):

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Nonostante questi miei interessi specifici e fin troppo reali, mi sono chiesto, apprestandomi a leggere il libro di Wasik e Murphy: ma come si fa a scrivere un libro di quasi 300 pagine su un argomento tutto considerato così limitato e specifico?

Menando il can per l’aia, naturalmente e letteralmente.

Ecco alcuni esempi, tratti dalle mie annotazioni, con i riferimenti numerici all’edizione Kindle.

With most zoonotic leaps in disease, animal contact is the spark, but urbanization is the bone-dry tinder; a newly evolved pathogen can’t spread from person to person, after all, unless people run across one another in the first place. [491]

His best-known cure — to “insert in the wound ashes of hairs from the tail of the dog that inflicted the bite” — lives on today in our expression “hair of the dog,” referring to a not-quite-so-dubious hangover remedy. [514: la cura è proposta da Plinio il Vecchio]

The French aristocrat Gaston III, Count of Foix, writes in his widely read (and imitated) hunting book Livre de chasse — written circa 1388 — about the ideal running hound, the chien baut, in which commingle all the finest canine attributes: not just beauty and obedience, but a nearly supernatural ability to track prey and to communicate with human masters. “The chien baut must not give up on its beast, not for rain nor wind nor heat nor any other weather,” writes Gaston, “and it must hunt its beast all day without the aid of man, just as if man were with it always.” (Gaston said he had encountered only three chiens bauts during his long life of hunting.) [667: questo Gastone III di Foix-Béarn è parente ma non antenato in linea diretta del Gastone di Foix-Nemours eroe della battaglia di Ravenna dell’11 aprile 1512, sepolto nel Castello sforzesco di Milano]

[…] the expression “six feet under” originated from a London health ordinance during the plague of 1665 there, with the famous prescription intended to keep men from being unearthed by man’s best friend. [707]

A tractate from the medical faculty of the University of Paris held that the air had been corrupted by noxious vapors, brought on by the movement of the planets but exacerbated by the southerly winds of late. Alfonso of Córdoba likewise blamed astronomic happenings for the plague’s onset […] [727: si sta parlando della peste, e non possono non tornare a mente le teorie del Don Ferrante dei Promessi sposi, che  «su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle.»]

In practice, the Inquisition in Spain took a stance toward the saludadores that one might call benign neglect. One intriguing reason for this, as the Spanish historian Marí Tausiet has documented, is that saludadores also had a reputation as crackerjack witch-hunters. [897: vengono in mente i benandanti di Carlo Ginzburg]

Immediately upon the creation of vaccine came the birth of the antivaccine movement, scientists and laypeople who claimed (much as in our present day) that vaccine was “poison.” […]
Pasteur’s new vaccine soon attracted naysayers on several fronts: those who fought against all science based upon the germ theory; the anti-vaccinists (who had already honed their rhetoric against the Jennerian vaccine); and those scientific rivals who would have invented the chicken-cholera vaccine themselves if their own methodology had been more sound. Pasteur was in the midst of preparing his findings for the Académie Nationale de Médecine when his arguments with his rivals in that body became so heated that he received an invitation to duel from the aging surgeon Jules Guérin. (The sixty-year-old, hemiplegic Pasteur was delicately extricated from the challenge by friends in the Académie.) […]
Meanwhile, the researchers were forced to weather the public fury of the antivivisectionists, who denounced their work as senseless torture of innocent creatures. [1788-1808-1911: niente di nuovo sotto il sole, poveri mentecatti]

[…] Joseph Meister, who, years after being the first to be vaccinated successfully against the horror of rabies, became the concierge of the institute. When the Nazis, on occupying Paris, attempted to visit the Pasteur crypt in 1940, Meister bravely refused to unlock the gate for them. Soon after this discouraging event, he took his own life. [2134]

In Democratic-leaning times, when (so the theory ran) popular rhetoric tends to demonize bloodsucking plutocrats, the Byronic vampire will find himself ascendant; in conservative periods, by contrast, the fear is heaped on mobs of shadowy masses—whether they be criminals or welfare recipients or Muslims—and so zombies naturally rise again to become the undead bugbear of choice. This theory, too, fails to convince […] [2314]

David Mitchell – Cloud Atlas

Mitchell, David (2004). Cloud Atlas. London: Hodder & Stoughton. 2008. ISBN 9781844568819. Pagine 545. 6,04 €

Cloud Atlas

wikipedia.org

Di David Mitchell ho parlato non molto tempo fa, per parlare dell’unico suo romanzo che avevo letto, The Thousand Autumns of Jacob de Zoet, che mi era piaciuto moltissimo. Mi ripromettevo, ovviamente, di leggera altre opere di Mitchell, e soprattutto questo Cloud Atlas che è il suo romanzo più famoso. Avrei però lasciato passare più tempo (non mi mancano, per fortuna, né le cose da leggere né la voglia di farlo), non fosse che è imminente l’uscita del film tratto dal romanzo. Mia moglie aveva letto un post che invitava a leggere subito il romanzo e anch’io l’ho fatto subito dopo.

Nel frattempo è uscito il trailer del film dei fratelli due Wachowski (quelli di Matrix, per capirsi). Non guardatelo, se pensate vi possa impoverire il gusto della lettura.

Il talento di Mitchell è fuori dal comune: questo si capiva anche nei Mille autunni di Jacob de Zoet, ma qui siamo al limite, e forse al di là del virtuosismo. Il romanzo è costruito su 6 storie che si dispiegano fino a un certo punto, per poi interrompersi e cedere il passo alla successiva. soltanto la sesta storia si sviluppa integralmente. Conclusa la sesta storia si torna (e si conclude) la quinta, e così via fino alla conclusione della prima e dell’intero romanzo. Ogni storia si svolge in un periodo diverso, dal 1850 al lontano futuro, ed è scritta in uno stile e in un linguaggio differente. Alcuni fili tengono insieme le storie, dall’artificio abbastanza ovvio per cui i personaggi di una storia temporalmente successiva vengono in possesso del “testo” della precedente, a collegamenti più sottili come la “voglia” a forma di cometa sulla spalla dei protagonisti, al riferimento (polisemico) all’atlante delle nuvole del titolo, a una riflessione filosofica (e tensione morale) che è il vero connettivo del romanzo.

È un gioco abbastanza facile e piuttosto sterile cercare le somiglianze di famiglia del romanzo di Mitchell. Ma per quanto sterile e forse trito, è pur sempre un gioco, e si è mai visto che io mi perda un’occasione per giocare?

La prima cosa che viene in mente è Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, per l’inanellarsi delle storie. Ma qui, a differenza che in Calvino (che ho letto quando uscì, nell’estate del 1979, ad Acquafredda di Maratea, ma che non ricordo bene e dovrei rileggere) in cui ognuna delle storie si interrompe e il romanzo-cornice si sviluppa linearmente, in Mitchell e nella Weltanschauung di questo suo romanzo la ciclicità, e dunque la permanenza delle pulsioni umane, è assolutamente essenziale.

Quest’ultimo aspetto è anche collegato a una simbologia ricorrente nei vari episodi, quella dell’ascesa e della discesa, dal senso abbastanza trasparente.

Un altro tema importante e ricorrente, come abbiamo accennato, è quello della voglia a forma di cometa che suggerisce che i protagonisti siano reincarnazioni l’uno dell’altro e che i temi della Storia (e delle storie che ne sono gli avatar contingenti) si ripetano, anche se in configurazioni sempre mutevoli, che impediscono di realizzare una mappa statica, un atlante delle nuvole. Ha detto lo stesso Mitchell, in un’intervista alla BBC:

All of the [leading] characters are reincarnations of the same soul […] identified by a birthmark. […] The “cloud” refers to the ever-changing manifestations of the “atlas”, which is the fixed human nature. […] The book’s theme is predacity […] individuals prey on individuals, groups on groups, nations on nations.

Non penso di essere il primo a dirlo, ma il tema della “voglia” come rinvio alla reincarnazione è il connettivo utilizzato nel capolavoro di Mishima Yukio, Il mare della fertilità, in cui il protagonista Honda Shigekuni insegue per tutta la vita (e per tutta la tetralogia) le reincarnazioni di Matsugae Kiyoaki, con le sue 3 voglie sul fianco. Lo stesso Mishima, che terminò la tetralogia il giorno stesso del suo suicidio, lascia aperto il dubbio se la reincarnazione sia realtà o illusione. [Che Mishima si sia suicidato ritualmente (seppuku) il giorno del mio diciottesimo compleanno è soltanto una coincidenza e io non ho nessuna “voglia”.]

Ma più che Calvino e Mishima, a me Cloud Atlas ha fatto pensare a Chapter 24, una canzone di Syd Barrett (a sua volta ispirata agli I-Ching, direi) che compare sul primo album dei Pink Floyd, The Piper at the Gates of Dawn.

All movement is accomplished in six stages,
and the seventh brings return.
The seven is the number of the young light.
It forms when darkness is increased by one.
Change return success.
Going and coming without error.
Action brings good fortune…
Sunset.

The time is with the month of winter solstice,
when the change is due to come.
Thunder in the Earth, the course of Heaven.
Things cannot be destroyed once and for all.
Change return success.
Going and coming without error.
Action brings good fortune…
Sunset.
Sunrise.

All movement is accomplished in six stages,
and the seventh brings return.
The seven is the number of the young light.
It forms when darkness is increased by one.
Change return success.
Going and coming without error.
Action brings good fortune…
Sunset.
Sunrise.

Se volete leggere altre recensioni oltre alla mia, vi rimando alla pagine dedicata al romanzo da the complete review , che trovate qui. Ho anche preparato una pagina di recensioni su Storify.

* * *

Fine della recensione. Di seguito le mie annotazioni, che non siete obbligati a leggere. Riferimenti numerici all’edizione Kindle.

That love loves fidelity, she riposted, is a myth woven by men from their insecurities. [1182]

[…] pretty frightful at 1st sight, still worse at the 2nd. [1410]

Several dead bottles of Trappist beer later, I asked Elgar about the Pomp & Circumstance Marches. ‘Oh, I needed the money, dear boy. But don’t tell anyone. The King might want my baronetcy back.’ Ayrs went into laughter-spasms at this! ‘I always say, Ted, to get the crowd to cry Hosanna, you must first ride into town on an ass. Backwards, ideally, whilst telling the masses the tall stories they want to hear.’ [1415]

I’ve never loved anyone except myself and have no intention of starting now […] [1453]

Anything is true if enough people believe it is. [1668]

[…] every scientific term you use represents two thousand readers putting down the magazine […] [1691]

[…] every conscience has an off-switch hidden somewhere. [1734]

“‘Power.” What do we mean? “The ability to determine another man’s luck.” [2232]

Yet how is it some men attain mastery over others while the vast majority live and die as minions, as livestock? The answer is a holy trinity. First: God-given gifts of charisma. Second: the discipline to nurture these gifts to maturity, for though humanity’s topsoil is fertile with talent, only one seed in ten thousand will ever flower – for want of discipline.’ Grimaldi glimpses Fay Li steer the troublesome Luisa Rey to a circle where Spiro Agnew holds court. The reporter is prettier in the flesh than her photograph: So that’s how she noosed Sixsmith. He catches Bill Smoke’s eye. ‘Third: the will to power. This is the enigma at the core of the various destinies of men. What drives some to accrue power where the majority of their compatriots lose, mishandle, or eschew power? Is it addiction? Wealth? Survival? Natural selection? I propose these are all pretexts and results, not the root cause. The only answer can be, “There is no ‘Why’. This is our nature.” “Who” and “What” run deeper than “Why.” [2236]

‘A piece of advice, Richter, on how to succeed in the security business. Would you like to hear this piece of advice, son?’
‘I would, sir.’
‘The dumbest dog can sit and watch. What takes brains is knowing when to look away. […]’ [2467]

Normandy: Cornwall with something to eat. [2899]

“‘Unlimited power in the hands of limited people always leads to cruelty.”’ [3117: è una citazione di Solženicyn]

If that sounds unlikely, Hae-Joo said, I should remember that many major events in the history of science were the results of similar serendipitous accidents. [3951]

‘What if the differences between social strata stem not from genomics or inherent xcellence or even dollars, but differences in knowledge?’
The professor asked, would this not mean that the whole Pyramid is built on shifting sands? [3981]

Prejudice is permafrost. [3994]

All revolutions are the sheerest fantasy until they happen; then they become historical inevitabilities. [6005]

Every nowhere is somewhere. [6065]

My fifth Declaration proposes how the law was subverted. It is a cycle as old as tribalism. In the beginning there is ignorance. Ignorance engenders fear. Fear engenders hatred, and hatred engenders violence. Violence breeds further violence until the only law is whatever is willed by the most powerful. What is willed by the Juche is the creation, subjugation and tidy xtermination of a vast tribe of duped slaves. [6337]

How lazily ‘xperts’ dismiss what they don’t understand! [6374]

Seneca’s warning to Nero: No matter how many of us you kill, you will never kill your successor. [6419]

Amateurs talk strategy, professionals talk logistics. [6555]

‘We – by whom I mean anyone over sixty – commit two offences just by existing. One is Lack of Velocity. We drive too slowly, walk too slowly, talk too slowly. The world will do business with dictators, perverts and drug barons of all stripes, but being slowed down, it cannot abide. Our second offence is being Everyman’s memento mori. [6564]

‘The most singular difference between happiness and joy is that happiness is a solid, and joy a liquid’ [6601: è una citazione di J. D. Salinger]

It’s true, reading too many novels makes you go blind. [6610]

(Know thine Enemy trumps Know thyself.) [6687]

[…] Chelsea Hotel in Washington Square […] [6732: curioso errore, non so se di Mitchell o di Timbo Cavendish. C’è un altro errore alla posizione 8343, quando Frobisher attribuisce a Franz Schubert un incidente alla mano intervenuto suonando, che è invece accaduto a Robert Schumann]

[…] from insider to liability. [7381]

Eva. Because her name is a synonym for temptation: what treads nearer to the core of man? Because her soul swims in her eyes. Because I dream of creeping through the velvet folds to her room, where I let myself in, hum her a tune so – so – so softly, she stands with her naked feet on mine, her ear to my heart and we waltz like string-puppets. After that kiss, she says, ‘Vous embrassez comme un poisson rouge!’ and in moonlit mirrors we fall in love with our youth and beauty. Because all my life, sophisticated, idiotic women have taken it upon themselves to understand me, to cure me, but Eva knows I’m terra incognita, and explores me unhurriedly, like you did. Because she’s lean as a boy. Because her scent is almonds, meadow-grass. Because if I smile at her ambition to be an Egyptologist she kicks my shin under the table. Because she makes me think about something other than myself. Because even when serious she shines. Because she prefers travelogues to Sir Walter Scott, prefers Billy Mayerl to Mozart and couldn’t tell C-major from a sergeant-major. Because I, only I, see her smile a fraction before it reaches her face. Because Emperor Robert is not a good man – his best part is commandeered by his unperformed music – but she gives me that rarest smile, anyway. Because we listened to nightjars. Because her laughter spurts through a blow-hole in the top of her head and sprays all over the morning. Because a man like me has no business with this substance ‘beauty’, yet here she is, in these soundproofed chambers of my heart. [8130-8140]

Reputation is everything. [8168]

Reputation is king of the public sphere, not private. [8181]

Not quite déjà vu, more jamais vu. [8205]

To wit: history admits no rules; only outcomes.
What precipitates outcomes? Vicious acts & virtuous acts.
What precipitates acts? Belief. [9023]

Yet what is any ocean but a multitude of drops? [9046: le parole conclusive, e la chiave, di tutto il romanzo]