Manhattan

Manhattan (Manhattan), 1979, di e con Woody Allen.

Film molto bello (in questi casi si scrive: fotografato in un sontuoso bianco e nero…), ma anche molto narcisista.

Quando l’ho visto alla sua uscita, più giovane di una quindicina d’anni del protagonista, lo compativo per i suoi problemi patetici di rapporto con le donne e mi dicevo: speriamo di non diventare così. Rivedendolo ieri, ormai più grande di lui, mi dicevo: per fortuna ne sono venuto fuori! Quando avevo l’età del protagonista, ero talmente impelagato nella mia crisi di mezza età da non avere il tempo d’andare al cinema.

Nonostante Manhattan sia considerato anzitutto un film su New York e su un’epoca, è uno dei film più ricchi di battute (del tipico auto-compiacimento agrodolce di Woody Allen). Ecco un  florilegio:

[Looking at old meat]: Corn beef should not be blue

I think people should mate for life, like pigeons or Catholics.

My ex-wife left me for another woman.

[Yale]: You are so self-righteous, you know. I mean we’re just people. We’re just human beings, you know? You think you’re God.
[Allen]: I… I gotta model myself after someone.

[Keaton]: Well tell me, why did you get a divorce?
[Allen]: Why? I got a divorce because my ex-wife left me for another woman.
[Keaton]: Really? God, that must have been really demoralizing.
[Allen]: Well, I dunno, I thought I took it rather well under the circumstances. I tried to run them both over with a car.

Il monologo più famoso è quello delle cose per cui vale la pena vivere:

Why is life worth living? It’s a very good question. Um… Well, There are certain things I guess that make it worthwhile. uh… Like what… okay… um… For me, uh… ooh… I would say… what, Groucho Marx, to name one thing… uh… um… and Wilie Mays… and um… the 2nd movement of the Jupiter Symphony… and um… Louis Armstrong, recording of Potato Head Blues… um… Swedish movies, naturally… Sentimental Education by Flaubert… uh… Marlon Brando, Frank Sinatra… um… those incredible Apples and Pears by Cezanne… uh… the crabs at Sam Wo’s… uh… Tracy’s face…

Ma la mia battuta preferita (al momento) è questa:

[Allen]: I got a kid, he’s being raised by two women at the moment.
[Keaton]: Oh, y’know, I mean I think that works. Uh, they made some studies, I read in one of the psychoanalytic quarterlies. You don’t need a male, I mean. Two mothers are absolutely fine.
[Allen]: Really? Because I always feel very few people survive one mother.

La musica è bellissima. Qui vi metto il dialogo finale e i titoli di coda, con Rhapsody in Blue di Gershwin.

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10 agosto – Pascoli

Il 10 agosto 1867 (esattamente 140 anni fa) fu assassinato con un colpo di schioppo alla fronte Ruggero Pascoli, il padre del poeta Giovanni (che aveva all’epoca 12 anni). Si ignora il motivo dell’esecuzione, ma si sospetta il movente politico, dal momento che Ruggero faceva l’amministratore dei poderi agricoli (oltre 100) della tenuta della nobile famiglia Torlonia. Pare siano stati i repubblicani, tuttora ben rappresentati in Romagna (non i comunisti, che non c’erano ancora e che comunque avrebbero mangiato il nostro Giovannino e le sue sorelle; si esclude anche la pista islamica).

Gli alunni di una scuola hanno ricostruito la vicenda e io saccheggerò il loro testo, concedendomi qualche libertà:

La mattina del 10 agosto Ruggero Pascoli sta per partire per uno dei suoi viaggi quotidiani.

Oggi non va a visitare uno dei poderi della tenuta: la mietitura e la trebbiatura sono appena terminate e il grano è al sicuro nei sotterranei della Torre. Ora i contadini sono impegnati nell’aratura delle stoppie e i buoi da lavoro sono insufficienti. Ruggero va per mercati per acquistarne altri. Prima va a Gatteo alla fiera di San Lorenzo e poi a Cesena al mercato.

Sella la sua cavallina preferita, la storna (dal mantello nero a macchie di peli bianchi disposti a grappolo), e la aggioga a un calessino leggero e scoperto: il cielo è sereno, la giornata calda.

Le due figlie, Margherita e Mariù, fanno i capricci: hanno fatto un brutto sogno, piangono e supplicano il padre di portarle con sé o di non partire. Ruggero le tranquillizza con una carezza e la promessa di un “bilin” (regalino).

Arriva a Gatteo e compie i suoi affari di amministratore, tratta l’acquisto del bestiame da lavoro. A una bancarella della fiera compra due bambole di pezza variopinta per le figlie e le mette sul calesse. Niente per Giovanni (e se fosse lui, il mandante?).

Da Gatteo a Gambettola per strade interne e di qui a Cesena per la Via Emilia. Arrivato in città lascia la storna alla stalla dietro la Rocca. Dopo il giro al mercato torna alla stalla: fieno, acqua fresca e una bella strigliata per la storna; trippa, pane fresco e Sangiovese per Ruggero. Anche la cavalla si sente discriminata, e infatti non alzerà uno zoccolo per difendere il padrone.

Infine torna verso casa. Deve andare a Savignano a sbrigare un’ultima faccenda e percorre quindi la via Emilia. Ecco la Villa di Gualdo, poi c’è la pieve di San Giovanni in Compito dove la Via Emilia fa una piccola curva proprio sul bivio che a destra porta verso Longiano e a sinistra passa davanti alla chiesetta per poi proseguire per Gatteo. Davanti, in lontananza, le case di Savignano.

All’improvviso, l’agguato. Uno o due sicari. Unica testimone, la cavallina storna.

Anche senza guida, prosegue verso Savignano sulla strada ben nota, mentre il suo padrone si sta spegnendo. Arrivata al ponte romano sul Rubicone, all’ingresso di Savignano, un passante lo riconosce. Docilmente la storna si lascia condurre all’ospedale “Santa Colomba”, vicino alla chiesetta della Madonna Rossa. All’arrivo Ruggero Pascoli è già morto.

Sul calesse le bambole sono intrise di sangue.

 

X agosto

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

 

La cavallina storna

Nella torre il silenzio era già alto,
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.
Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla”.
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia…”
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole”.
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera
“O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona… Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fisse.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome… Sonò alto un nitrito.