Scalmane

Dal Vocabolario Treccani:

Scalmana: denominazione popolare del raffreddore, del mal di gola o di altre manifestazioni di perfrigerazione (prendersi una scalmana); vampa di calore che sale al viso (avere le scalmane, andare soggetta a scalmane); in senso figurato, infatuazione momentanea, entusiasmo improvviso (si è preso una scalmana per quella ragazza). Derivato di calma, con il prefisso s- e la terminazione -ana (come in caldana).

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Perdere la trebisonda

Sempre dal Vocabolario Treccani:

Perdere la bussola, l’orientamento, cioè restare disorientato, frastornato, o anche perdere le staffe, cioè il controllo di sé. È parola di formazione popolare, forse marinara, per assunzione fonosimbolica del nome della città di Trebisonda, sul Mar Nero, nota nel tardo medioevo per le vicende che la opposero agli Ottomani.

“Assunzione fonosimbolica”, niente di meno!

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Chance

Aczel, Amir D, (2004). Chance. A Guide to Gambling, Love, the Stock Market, & Just About Everything Else. New York: Thunder’s Mouth Press. 2004.

Ha un grandissimo pregio, quello di essere chiarissimo. Soprattutto nei capitoli iniziali.

Andando più avanti, il prezzo che si paga alla chiarezza viene a galla: alcuni argomenti sono appena sfiorati, tanto da farti chiedere se non sarebbe stato meglio non parlarne per niente (in nessun caso si sarebbe potuto essere esaustivi su un argomento come questo in 160 pagine). In qualche caso, la troppa semplificazione rischia di dare per assodati punti ancora problematici e discussi.

Ho però molto apprezzato che non si rinunci agli esempi numerici, che rendono la trattazione accessibile a tutti, senza costringere a inutili atti di fede. È proprio nelle rare occasioni in cui Aczel si allontana da questo principio che il libro delude.

Ho apprezzato in modo particolare gli aneddoti, anche se alcuni sono molto noti. La storia di Pascal, Fermat e del Chevelier de Méré ve la racconterò un’altra volta, se non la sapete già. Quello che proprio non sapevo è che le “code” di una distribuzione si chiamano così grazie a un disegno di Gosset del 1908, che Aczel riporta a p. 110 – non l’ho trovato sul web e quindi sono costretto a descriverlo: ci sono due canguri un di fronte all’altro, le teste “affrontate” al centro e le code a destra e sinistra). William Sealy Gosset (e non Gossett, come scrive erroneamente Aczel) lavorava alla birreria Guinness di Dublino e perciò firmava i suoi articoli scientifici con lo pseudonimo di Student (l’articolo fondamentale pubblicato nel 1908 su Biometrika è qui). E per la serie “eroi della statistica”, eccolo qui (proprio nel 1908):

Nei boschi eterni

Vargas, Fred (2006). Nei boschi eterni (Dans les bois éternels). Torino: Einaudi. 2007.

Siamo arrivati, per il momento, alla fine di questa fatica. Ci pensate, nel giro di poco più di una settimana sono arrivato a concludere due cicli, Harry Potter e la Vargas (L’uomo a rovescio, Chi è morto alzi la mano, Io sono il Tenebroso, Parti in fretta e non tornare e Sotto i venti di Nettuno).

Per quanto riguarda la Vargas, ne valeva la pena? Direi proprio di sì, anche se – come vi ho detto subito – non sono un appassionato di polizieschi.

Come la Vargas costruisce il suo meccanismo narrativo è abbastanza chiaro: parte, per così dire, dal fondo. Anche se, mi pare, rispetta tutte le regole canoniche (a differenza di Gianni Mura). Il personaggio su cui tutti i sospetti si accumulano non può essere il colpevole; resta soltanto quel “qualcun altro” di cui non si spiegherebbe, altrimenti, la presenza nel romanzo. La vecchia storia che se, all’inizio del libro, c’è un’arma letale appesa a una parete, prima o poi dovrà sparare…

Ma i pregi della Vargas non stanno tanto nella vicenda, quanto nei personaggi, che prendono libro dopo libro più spessore. Adamsberg, la mitica Violette Retancourt, Danglard; persino gli altri comprimari. Ci siamo affezionati, ci sembra di conoscerli, ognuno di noi lettori affezionati (l’ho verificato) li proietta su qualche amico o conoscente: mi sembra un gran bel risultato per uno scrittore.

In più ci sono dei piccoli aforismi memorabili, disseminati qua e là. Una cosa così francese, da grande scrittore dell’Ottocento o del primo Novecento. La mia scelta:

Come tutti i duri, non ha resistenza. È il principio della noce. Premi, e si rompe. Provi, invece, a rompere del miele. [p. 170]

– L’amore, Ariane, è l’unica battaglia che si vince indietreggiando.
– Chi è l’idiota che l’ha detto? Tu?
– Bonaparte, e non era l’ultimo degli strateghi.
– E tu, tu cosa fai?
– Indietreggio. C’è poco da scegliere. [p. 120]

Amore inalterabile, come lo sono gli amori non consumati. [p. 100].

Quest’ultima è così bella che ve la metto anche in francese (anche se la traduttrice, Margherita Botto, questa volta à bravissima):

Amour inaltérable, comme il en va de celles qui ne sont pas consommées.

Di sapore veramente proustiano (l’amore non corrisposto, cioè l’amore… – se non ricordo male). E mi accorgo anche che si legge sempre un libro con le sensibilità del momento (We don’t see things as they are, we see things as we are).