Calligaris, Alberto (2006). Il volo delle anatre a rovescio. Roma: Newton Compton. 2006.
Spero che chi mi ha regalato questo libro (che comunque ringrazio per il gentile pensiero) non sapesse che cosa stava facendo, non l’avesse letto e si sia fidato della copertina o del consiglio di un libraio.
In poche parole, il romanzo non vale la carta su cui è stampato. Immagino che in qualche foresta del Canada o in Svezia una betulla, ancora dritta e fronzuta, pianga l’inutile sacrificio dei suoi figli, abbattuti per permettere la diffusione di massa del romanzetto di Calligaris.
Ero tentato di abbandonare la lettura dopo poche pagine, ma il senso di responsabilità verso i miei lettori mi ha indotto ad arrivare alla fine. Lo considero un servizio pubblico: non leggete questo libro e sconsigliatelo ai vostri amici (e persino ai vostri nemici, a meno che non abbiate gravi motivi per vendicarvi – io non riesco a pensare a più di tre persone cui lo consiglierei per pura cattiveria).
Il romanzo ha tutti gli ingredienti che servono a renderlo orrendo: gratuitamente sgradevole, violento, razzista, sessista. La storia non ha né capo né coda. Il tenue filo giallo-noir è talmente inconsistente che non ha nessun chiarimento o scioglimento finale. Il sesso – e non c’è pagina che non ne parli – non è mai eccitante (meglio i libretti che si comprano alla stazione).
Nemmeno lo stile è piacevole: una vaga scimmiottatura di Chuck Pahlaniuk (che pure non amo, ma che almeno è tecnicamente abile).
Non lo butterò, perché in una biblioteca personale servono anche i memento: lo metterò vicino a un libro di Gaia Servadio (Storia di R) che mi aveva fatto schifo alcuni anni fa (ma, onestamente, questo è peggio).