Il gioco del mondo

Cortázar, Julio (1963). Il gioco del mondo (Rayuela). Torino: Einaudi. 2005.

Davanti a un capolavoro, non ci si dovrebbe sentire in obbligo di scrivere una recensione. Dovrebbe essere sufficiente scrivere: un capolavoro del romanzo contemporaneo. Anzi, un capolavoro del romanzo di tutti i tempi. Uno di quei libri rispetto ai quali c’è un prima e un dopo, come per l’Ulysses di Joyce, o la Recherche di Proust, o L’uomo senza qualità di Musil.

Il problema è che, per quel poco che so, Il gioco del mondo è stato un romanzo largamente frainteso. La maggior parte dei commentatori ne ha colto lo sperimentalismo, il suo essere un romanzo ipertestuale ante litteram (l’autore ne suggerisce, accanto alla lettura sequenziale, che si limita ai primi 56 capitoli, una lettura guidata dai rinvii numerici alla fine dei ogni capitolo, che integrano nella lettura altri 99 capitoli “sovrannumerari” e che, per di più, porta a saltare il capitolo 55 – che ha un suo “doppio” nei capitoli sovrannumerari – e poi conduce a un loop infinito degli ultimi due capitoli).

In realtà, Rayuela è molti romanzi in uno solo.

Partiamo dalle parentele che ci ho trovato io. Henry Miller, per prima cosa (prima nel senso epidermico del termine, come se sbucciassimo una cipolla), per il clima degli expats a Parigi e anche per l’erotizzazione della città – anche se la Maga è un personaggio molto più profondo e complesso delle donne di Miller (Cortázar, sospetto, ha un rapporto con le donne molto più profondo e complesso e maturo e simpatetico di quanto Miller possa sognarsi di avere). Robert Musil (che prima non ho citato a caso) per la capacità di scrivere insieme un romanzo e un mondo enciclopedico, senza penalizzare né l’uno né l’altro dei due versanti, e senza mai essere né pedante né didascalico nelle digressioni filosofiche e di estetica. Il Joyce del Portrait of the Artist as a Young Man per l’uso del monologo interiore e, ancora di più, per essere anche Rayuela un Künstlerroman.

Il gioco del mondo è soprattutto un gioco di specchi e di doppi: di qua e di là dell’oceano, Oliveira e Traveler, la Maga e Talita. Un gioco di ponti precariamente gettati. Un mondo di gioco e di giochi. Il circo e la follia. Il dolore irrisolto. L’abiezione.

Non so chi ha scritto la quarta di copertina della mia edizione Einaudi, ma è stato un genio con il dono della sintesi:

Un capolavoro del Novecento che ha cambiato la storia del romanzo e la vita di molte persone che lo hanno letto.

Concordo in pieno. Non è un’esagerazione, nemmeno nell’affermazione che cambia la vita del lettore che vi si abbandoni, come ho fatto io. Leggetelo.

Su Wikipedia (inglese) c’è una bella voce (Hopscotch, il nome inglese del gioco).

Su YouTube c’è una bella intervista di Cortázar rilasciata alla televisione spagnola nel 1977.

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