The Great Gatsby

Fitzgerald, Francis Scott (1926). The Great Gatsby. London: Penguin. 1998.

Sono un lettore onnivoro, ormai dovreste averlo capito. Ma ho delle lacune. Nessuno è completo, a tutto tondo, e comunque la simmetria non mi piace. Ci sono libri che uno non legge per antipatia istintiva, altri che vengono rinviati a tempi migliori, altri scartati proprio perché alla moda o comunque obbligatori. Fitzgerald mi era antipatico perché adorato da troppi, e perché collegato agli anni 20 di maniera dei balletti televisivi (Vecchia America dei tempi di Rodolfo Valentino, puah!).

Naturalmente, per quanto uno possa avere fiducia nel proprio istinto o nel proprio fiuto, il rischio di sbagliare è grande. O meglio, il rischio di sbagliare non è elevato, ma quando si sbaglia si sbaglia di grosso. Questo è il caso del romanzo di Fitzgerald: tutti dicono che è un capolavoro e lo è.

Mi aspettavo un romanzo americano di inizio secolo: vero, diretto, ma un po’ ingenuo. Il mio professore di greco, Pozzi, che era un cultore di Vico, avrebbe detto: Eschilo, non Sofocle né Euripide. Invece Fitzgerald è molto Euripide. Forse perché gli anni 20 non sono un’aurora ma un crepuscolo, o forse semplicemente perché Fitzgerald è uno scrittore colto, molto consapevole dei suoi mezzi. Il suo romanzo è studiato parola per parola, controllatissimo. Paradossalmente è molto più nativo, eschileo, The Catcher in the Rye.

Potrei proporvi molte letture del romanzo, che è molto complesso e molto stratificato (se fosse una torta, sarebbe una millefoglie). E anche molte citazioni. Ma vi toglierei il piacere di una lettura, o di una rilettura, e quindi mi limiterò a una sola citazione, che compare nelle ultime righe, ed è molto vicina ai miei umori di questi giorni:

Gatsby believed in the green light, the orgastic future that year by year recedes before us. It eluded us then, but that’s no matter—to-morrow we will run faster, stretch out our arms farther… And one fine morning –

So we beat on, boats against the current, borne back ceaselessly into the past. (pp. 171-172)

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