Gomorra

Gomorra, 2008, di Matteo Garrone, con Toni Servillo (e molti altri).

Un bel film, diciamolo subito. Un film sinceramente neo-realista, per molti versi. Un film fedele al libro da cui è tratto.

Proprio quest’ultimo aspetto, però, mi permette di chiarire i motivi della mia parziale insoddisfazione. Sono uscito dal cinema un po’ perplesso, dicendomi: “Il libro è meglio”. Ma, al tempo stesso, chiedendomi perché. Nessuno dei motivi che, in genere, ti fanno manifestare questo tipo di insoddisfazione mi sembrava all’opera.

Come dicevo, infatti, il film è molto fedele al libro. E non a caso, perché l’autore del libro, Roberto Saviano, è anche autore del soggetto e uno degli autori della sceneggiatura. Gli attori, in buona parte presi dalla strada (com’è, appunto, nelle tradizioni del neo-realismo) sono perfetti; più che perfetti, veri. Il suono in presa diretta cattura la lingua e i rumori di Napoli e del suo hinterland senza compiacimenti oleografici. Le “storie” (come le chiamano gli stessi autori nei titoli di coda) sono proprio quelle. E allora?

Penso che la differenza di fondo, a questo punto, sia nella diversità dei mezzi. Nel film, mi pare, prevale sempre il coinvolgimento emotivo, perché tutti i tuoi sensi sono “ingannati” dal mezzo. Nel libro, mezzo freddo per eccellenza, il lettore ha lo spazio per “riempire” i vuoti di informazione non trasmessa con la sua informazione a priori, e quindi per “tenere le distanze”. Gomorra, poi, è un testo sui generis: romanzo, lo chiama lo stesso Saviano; romanzo storico, direi io, nel senso in cui lo sono I promessi sposi; o forse docu-fiction.

Ecco, penso che la differenza fondamentale tra libro e film, e il mio principale motivo di insoddisfazione sia questo. Il libro mi ha provocato un colpo di fulmine. Quando ho cominciato a leggerlo mi sono detto: “ahah, ecco, questa è la camorra, così funziona la camorra”. E il secondo pensiero è stato: devo farlo leggere ai miei studenti. Il contrario di quando, da ragazzo, milanese, cercavo di capire che cosa fosse la mafia e non lo capivo (se l’ho capito è grazie a Falcone). Provo a spiegarmi: Il giorno della civetta, o A ciascuno il suo, di Sciascia, presuppongono che tu sappia già che cos’è la mafia e come funziona. Gomorra no, Gomorra te lo spiega. Fin dal primo capitolo. E il primo capitolo è essenziale alla comprensione, alla collocazione nel tempo e nello spazio, nella storia, nelle relazioni economiche e sociali, di tutto il resto del libro, romanzo o reportage che sia.

Questo incredibile, sconvolgente viaggio nel mondo affaristico e criminale della camorra si apre e si chiude nel segno delle merci, del loro ciclo di vita. Le merci “fresche”, appena nate, che sotto le forme più svariate – pezzi di plastica, abiti griffati, videogiochi, orologi – arrivano al porto di Napoli e, per essere stoccate e occultate, si riversano fuori dai giganteschi container per invadere palazzi appositamente svuotati di tutto, come creature sventrate, private delle viscere. E le merci ormai morte che, da tutta Italia e da mezza Europa, sotto forma di scorie chimiche, morchie tossiche, fanghi, addirittura scheletri umani, vengono abusivamente “sversate” nelle campagne campane, dove avvelenano, tra gli altri, gli stessi boss che su quei terreni edificano le loro dimore fastose e assurde – dacie russe, ville hollywoodiane, cattedrali di cemento e marmi preziosi – che non servono soltanto a certificare un raggiunto potere ma testimoniano utopie farneticanti, pulsioni messianiche, millenarismi oscuri.
Questa è oggi la camorra, anzi, il “Sistema”, visto che la parola “camorra” nessuno la usa più: da un lato un’organizzazione affaristica con ramificazioni impressionanti su tutto il pianeta e una zona grigia sempre più estesa in cui diventa arduo distinguere quanta ricchezza è prodotta direttamente dal sangue e quanta da semplici operazioni finanziarie. Dall’altro lato un fenomeno criminale profondamente influenzato dalla spettacolarizzazione mediatica, per cui i boss si ispirano negli abiti e nelle movenze a divi del cinema e a creature dell’immaginario, dai gangster di Tarantino alle sinistre apparizioni de Il corvo con Brandon Lee. Figure come Gennarino McKay, Sandokan Schiavone, Cicciotto di Mezzanotte, Ciruzzo ‘o Milionario, se non avessero provocato decine di morti ammazzati potrebbero sembrare in tutto e per tutto personaggi inventati da uno sceneggiatore con troppa fantasia. In questo libro avvincente e scrupolosamente documentato Roberto Saviano ha ricostruito sia le spericolate logiche economico-finanziarie ed espansionistiche dei clan del napoletano e del casertano, da Secondigliano a Casal di Principe, sia le fantasie infiammate che alle logiche imprenditoriali coniugano il fatalismo mortuario dei samurai del medioevo giapponese. Ne viene fuori un libro anomalo e potente, appassionato e brutale, al tempo stesso oggettivo e visionario, di indagine e di letteratura, pieno di orrori come di fascino inquietante, un libro il cui giovanissimo autore, nato e cresciuto nelle terre della più efferata camorra, è sempre coinvolto in prima persona. Sono pagine che afferrano il lettore alla gola e lo trascinano in un abisso dove davvero nessuna immaginazione è in grado di arrivare. [dalle note di copertina]

Questo è quello che mi è mancato nel film, nonostante la storia di Angelina Jolie sia raccontata anche lì.

Qui il trailer:

Merita una citazione a sé la bellissima Herculaneum (composta da Robert “3D” Del Naja e Neil Davidge dei Massive Attack) che accompagna i titoli di coda.

Pubblicato su Recensioni. 1 Comment »