Gottlieb, Eli (2012). The Face Thief. New York: HarperCollins. 2012.
ISBN 9780061735059. Pagine 256. 11,33 €

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Avrei voluto iniziare la mia recensione levando il calice alla nascita di un’altra indimenticabile dark lady, come non ne incontravo da tempo. Ma poi una mia giovane amica, dotata di antica saggezza e cultrice della materia, mi ha domandato: “Dark lady, o gatta morta?” E, davanti alla mia espressione sconcertata, ha subito chiarito: “Dark lady è Barbara Stanwick in La fiamma del peccato, gatta morta è Anne Baxter in Eva contro Eva.”
Giusto per capire meglio le differenze, ecco la dark lady (La fiamma del peccato l’ho recensita qui: vi voglio anche segnalare che su YouTube è disponibile qui per intero, naturalmente nella versione originale):
PHYLLIS (Standing up again) Mr. Neff, why don’t you drop by tomorrow evening about eight-thirty. He’ll be in then.
NEFF Who?
PHYLLIS My husband. You were anxious to talk to him weren’t you?
NEFF Sure, only I’m getting over it a little. If you know what I mean.
PHYLLIS There’s a speed limit in this state, Mr. Neff. Forty-five miles an hour.
NEFF How fast was I going, officer?
PHYLLIS I’d say about ninety.
NEFF Suppose you get down off your motorcycle and give me a ticket.
PHYLLIS Suppose I let you off with a warning this time.
NEFF Suppose it doesn’t take.
PHYLLIS Suppose I have to whack you over the knuckles.
NEFF Suppose I burst out crying and put my head on your shoulder.
PHYLLIS Suppose you try putting it on my husband’s shoulder.
NEFF That tears it.
Neff takes his hat and briefcase.
NEFF Eight-thirty tomorrow evening then, Mrs. Dietrichson.
PHYLLIS That’s what I suggested.
They both move toward the archway.
NEFF Will you be here, too?
PHYLLIS I guess so. I usually am.
NEFF Same chair, same perfume, same anklet?
PHYLLIS (Opening the door) I wonder if I know what you mean.
NEFF I wonder if you wonder.
He walks out.
Anche la protagonista del romanzo di Gottlieb, Margot Lassiter, ha questa grande capacità dialettica, di contrastare e battere l’antagonista maschile sul suo stesso terreno e al suo stesso gioco (Margot, professionista dell’inganno, si fa beffe di un professionista della lettura e del disvelamento dell’inganno, Lawrence Billings, autore di un manuale di successo intitolato The Physique of Finance: The Art of Face Reading and Body Language for Professional Advantage), di fare del predatore la sua preda.
La gatta morta, invece, agisce diversamente. Si finge umile, indifesa, cedevole, ma alla fine micidiale. La gatta morta ottiene ciò che vuole. Chiara Moscardelli, che ci ha scritto un libro (che io però non ho letto: Volevo essere una gatta morta) la descrive così:
La gatta morta è una categoria poco conosciuta, nascosta, silenziosa ma micidiale.
Ha pochi pensieri, chiari, semplici. Nessuna dietrologia, nessuna complicazione. Ha una vita serena perché ha un unico scopo: il matrimonio.
A diciotto anni ha le idee chiare su tutto ed è in grado di realizzare una cena completa per otto persone con sedici portate. Voi non ne siete capaci? Imparate alla svelta.
A venti ha deciso quale sarà l’uomo che sposerà. Magari non è un uomo in carne e ossa ma è comunque la categoria a cui appartiene che inizia a prendere di mira: l’avvocato, l’architetto, il notaio, il dottore. Le qualifiche sono importanti.
[…]
Io le ho studiate a fondo e me ne sono fatta un’idea ben precisa. Le gatte morte sono geniali.
Dietro la loro apparente passività si nasconde una forza, un’aggressività senza pari. Sono burattinaie che muovono i fili di marionette inconsapevoli. Non c’è niente da fare. Contro di loro non esistono armi. Ve lo dico con tutto il cuore, arrendetevi! Perché gatta morta si nasce, non si diventa.
L’idealtipo della gatta morta è la Eva Harrington di Eva contro Eva, che fingendo una smisurata ammirazione per l’attrice Margo Channing (Bette Davis) si intrufola nella sua vita e le porta via la parte, il successo, il critico teatrale di riferimento (di cui diviene amante) e (poco ci manca) il fidanzato. Qui di seguito la scena memorabile in cui la nostra santarellina racconta a ciglio asciutto come abbia perso il marito in guerra e come la sua fervida adorazione l’abbia portata a seguire per anni la diva ad ogni suo spettacolo. Non c’è bisogno di capire l’inglese: guardate gli occhi e le posture.
Per completare il quadro delle tassonomie ci sarebbe anche la femme fatale, affine alla dark lady, ma a differenza di questa fatale, appunto, ma non necessariamente malvagia. Non necessariamente, cioè, infligge il male volontariamente, per conseguire un obiettivo o per desiderio di annientamento dell’altro. Anche qui, nella mia mente, c’è un idealtipo, ed è la Lola Lola (Marlene Dietrich) dell’Angelo Azzurro di Sternberg (qui in edizione integrale).
Un altro vocabolo che ha continuato a frullarmi per la testa durante la lettura del romanzo di Gottlieb è stato predatrice. E questo aspetto è quello che alla fine mi fa pensare che Margot Lassiter è soprattutto una dark lady. Margot persegue i suoi obiettivi e distrugge le sue vittime (perché in una certa misura potrebbe conseguire i suoi obiettivi anche senza annientare la vittima – come nel caso di John Potash – oppure indulge nella distruzione della vita di Lawrence Billings anche senza grande tornaconto economico) e lo fa reificandole, trattandole come oggetti, utilizzando la prevedibilità del corteggiamento maschile come arma contro i corteggiatori stessi, come accade per il principio dell’attacco-difesa proprio dello judo:
Yawara significa adeguarsi alla forza avversaria al fine di ottenere il pieno controllo. Esempio: se vengo assalito da un avversario che mi spinge con una certa forza, non devo contrastarlo, ma in un primo momento debbo adeguarmi alla sua azione e, avvalendomi proprio della sua forza, attirarlo a me facendogli piegare il corpo in avanti […] La teoria vale per ogni direzione in cui l’avversario eserciti forza. [Jigorō Kanō, (2005). Fondamenti del Judo. “Cos’è il Kodokan Judo”: pp. 23-24. Citato in Wikipedia]
Per scrivere di dark ladies è necessaria una buona dose di misoginia, perché la rappresentazione della dark lady (e delle sue varianti richiamate in precedenza) si pone all’estremo opposto della scala di idealizzazione della donna che vede all’estremo opposto la donna angelicata di Dante e l’eterno femminino di Goethe, ma anche di fascinazione. È necessario anche quel distacco dialettico che permette di comprendere che il comportamento che ci inorridisce in queste eroine femminili al negativo è la pratica quotidiana e la moneta corrente del comportamento maschile nei confronti delle donne, e non sarebbe nemmeno pensabile senza la premessa dell’atteggiamento maschile (ancora una volta il punto di vista dello judo).
Resta da dire che il romanzo, senza essere un capolavoro, è anche ben scritto e ben costruito: ben costruito, perché 4 storie e 4 piani temporali sono alternati e ricostruiti in flashback (in 3 casi su 4, per la verità) a partire dal rovinoso ruzzolone iniziale, mantenendo sempre vivissima l’attenzione (e la voglia di andare avanti) del lettore. Ben scritto, perché è evidente il divertimento dello scrittore nello sfottere un certo mondo (quello dei pomposi manuali per top manager, ad esempio) e nel mantenere la distanza dai suoi personaggi e dalla sua materia.
Di seguito, qualche piccolo esempio del suo stile e qualche curiosità (senza rovinare nulla del thriller):
Her nails were ridgeless and attested to a diet rich in vitamin B and iron, but the moons, he noticed, were invisible: pituitary problems? [616]
The science of touch is called haptics. [1297]
And it was at that moment, for the very first time, that Lawrence Billings felt old. He’d felt mature before; he’d felt accomplished; he’d felt at midcareer, midpoint, midlife before. But at the moment, beached on the sound of that word dear, he simply felt dusty. [1675]
Sex and curiosity occupied the same part of the brain. [2988]
martedì, 6 marzo 2012 alle 14:12
hi boris–i speak italian and i wanted to thank you for this piece–one of the most intelligent and interesting things written about ‘the face thief” in any language. impressive! all best, eli