Carrère, Emmanuel (2011). Limonov (trad. F. Bergamasco). Milano: Adelphi. 2012. ISBN 9788845973291. Pagine 356. 11,99 €

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I miei lettori – qualcuno più dei 25 che con ironica modestia si attribuiva Manzoni, a dare retta alle statistiche di WordPress – e soprattutto il diretto interessato sanno che ho, in un paio di occasioni (qui e qui), reso nota su questo blog la mia insofferenza per lo stile di conduzione di Attilio Scarpellini della trasmissione mattutina di Rai Radio3 Qui comincia.
E invece qui voglio ringraziarlo pubblicamente per aver segnalato questo libro nella trasmissione dello scorso 3 gennaio 2013 (se volete, potete ascoltare il podcast).
Avevo già incontrato una volta Carrère nelle mie letture, e ancora prima nelle mie visioni cinematografiche. Carrère, infatti, è l’autore di L’avversario (L’adversaire), da cui è stato tratto nel 2002 l’omonimo bellissimo film di Nicole Garcia interpretato da un grandissimo Daniel Auteuil.
Jean-Marc Faure vive in Franca Contea, nei pressi del confine con la Svizzera, assieme alla moglie Christine e i piccoli Alice e Vincent. Da parecchi anni finge di essere ciò che non è: un medico e ricercatore presso l’OMS di Ginevra. Anche i genitori, i suoceri, gli amici e tutti quelli che lo conoscono lo pensano tale, e lui, apparentemente insospettabile, gode di una stima indiscussa.
In realtà ha smesso di dare esami al secondo anno di Medicina, e da allora ha mentito trascinando se stesso e gli altri in un vortice della menzogna da cui non può ormai più uscire. Ogni mattina parte “per il lavoro”, salvo poi sostare per ore in parcheggi fuori mano o affittare stanze d’albergo quando simula improvvise partenze per l’estero, o farsi vedere a Ginevra nei rari casi in cui ha dovuto concordare un appuntamento. Nei frequenti momenti di solitudine cresce in lui il tormento per una vita fittizia che comincia a condurlo, già fragile ab origine, nel baratro della pazzia.
I pochi soldi che è riuscito ad ottenere con la truffa (prevalentemente prestiti) stanno volgendo al termine e la moglie comincia ad avvicinarsi alla verità. Jean-Marc, allora, decide: un giorno di gennaio stermina la famiglia, qualche ora più tardi sopprime i genitori e durante la sera tenta di uccidere anche l’amante Marianne. Poi, per completare il folle disegno, dà fuoco alla casa e ingerisce barbiturici scaduti. Nello sconcerto generale vengono rinvenuti i cadaveri mentre i pompieri portano in salvo lo sventurato pseudo-dottore. (Wikipedia)
Per quanto agghiacciante (anche climaticamente) sia la trasposizione cinematografica, la storia vera raccontata da Emmanuel Carrère lo è ancora di più. E lo è, secondo me, non tanto perché – a differenza di quanto accade nel film – Carrère con cambia nessun nome e nessuna circostanza, ma aderisce con scrupoli da giornalista investigativo a ogni dettaglio, che cerca di ricostruire e chiarire quanto meglio è possibile, ma soprattutto perché “entra” personalmente nella storia che racconta, raccontandoci che cosa stava facendo quando ha sentito per la prima volta del tragico fatto di cronaca, confrontando la sua vita ed esperienza personale con le vicende narrate (come quando si mette un oggetto conosciuto vicino a un manufatto archeologico e a uno scheletro di dinosauro per farcene apprezzare meglio le dimensioni), seguendo da vicino il processo. Diamogli la parola.
Il 9 gennaio 1993, Jean-Claude Romand ha ucciso moglie, figli e genitori. Poi ha tentato, invano, di suicidarsi. L’indagine ha rivelato che non era un medico come aveva sempre sostenuto e, cosa ancor più difficile da credere, non era nient’altro. Mentiva da diciotto anni, ma la sua menzogna non copriva nulla. Quando stava per essere scoperto, ha preferito sopprimere tutte le persone di cui non avrebbe mai potuto reggere lo sguardo. E’ stato condannato all’ergastolo. Io sono entrato in contatto con lui, ho assistito al suo processo. Ho tentato di raccontare con precisione, giorno dopo giorno, questa vita di solitudine, d’impostura e d’assenza. Di immaginare cosa gli passava per la testa durante le lunghe ore vuote, senza progetti né testimoni, che avrebbe dovuto trascorrere al lavoro e invece passava nei parcheggi autostradali o nel boschi del Jura. Di capire che cosa, in un’esperienza umana tanto estrema, mi ha toccato cosi da vicino. E tocca, credo, ciascuno di noi. [dalla quarta di copertina]
Ecco, con Limonov Carrère realizza un’operazione simile. Eduard Limonov è anche lui una persona vera e vivente, non un personaggio da romanzo (qui sotto la vediamo quando, non più tardi del 31 dicembre 2012, viene arrestato dalla polizia russa in una manifestazione contro Putin).

L’arresto di Limonov, il 31 dicembre 2012 (radio3.rai.it)
Ma Carrère ne fa un ritratto iperrealistico, una statua più grande del vero. Penso che si possa inventare per questo libro il termine meta-iperrealismo, perché Ed Limonov stesso è un’invenzione di Eduard Savenko, un’invenzione prima biografica che letteraria. Bigger than life, si dice in inglese. E perché lo stesso Limonov è autore di oltre 50 volumi e biografo di sé stesso: e questo mi sembra tutt’altro che secondario. Anzi è probabilmente la vera sfida che ha stimolato Carrère: scrivere qualche cosa di nuovo e di diverso, se non di definitivo, su un uomo che di sé ha scritto (e vissuto) tutto e il suo contrario. Diamo, ancora una volta, la parola allo stesso Carrère:
Limonov […] è stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio. Comunque, […] ho pensato che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale. [357]
Il libro è – secondo me – molto bello: si legge d’un fiato e la scrittura di Carrère mi piace. Mi piace anche la traduzione di Francesco Bergamasco, salvo che per 2 dettagli cui, da incorreggibile pedante, attribuisco la massima importanza: l’uso dell’orrendo e burocratico prosieguo (pos. 4465: eppure poteva scrivere “nel resto della serata”) e una curiosa frase in cui i pesci si puliscono asportandone le branchie [pos. 4653: non sarebbe stato più igienico e ragionevole “asportarne le interiora”? Che cosa aveva scritto Carrère?). La cosa migliore che potete fare è andarlo a leggere direttamente, lasciando perdere le mie elucubrazioni.
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Nel caso invece siate rimasti qui: se gironzolate un po’ su YouTube, le interviste a Carrère e al suo Limonov non mancano. Il 16 dicembre 2012 è anche stato intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa?
Ma mi sembra più divertente sentire come the one and only Ed Limonov ha commentato il Premio Renaudot vinto da Carrère per il libro su di lui:
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Qualche citazione (riferimento come sempre alle posizioni sul Kindle).
[…] questa storia dell’opposizione democratica in Russia è come l’arrocco nella dama: un espediente non contemplato dalle regole del gioco, che non ha mai funzionato e non funzionerà mai. [262]
Eduard non ne conosce altri: le famiglie di ufficiali e sottufficiali che abitano nel palazzo dell’NKVD, in via dell’Armata Rossa, si frequentano solo tra loro e hanno scarsa considerazione per i civili, individui frignoni e indisciplinati che si fermano senza preavviso in mezzo al marciapiede, costringendo a modificare la sua traiettoria il soldato che invece cammina con andatura regolamentare, costante e sostenuta: sei chilometri all’ora. Così camminerà Eduard sino alla fine dei suoi giorni. [445: anch’io, per quello che conta, ho fatto dei 6 km/h una regola di vita…]
Eduard capisce allora una cosa fondamentale, ossia che ci sono due categorie di persone: quelle che si possono picchiare e quelle che non si possono picchiare, non perché siano più forti o meglio allenate, ma perché sono pronte a uccidere. È questo il segreto, l’unico, e il bravo piccolo Eduard decide di passare nella seconda categoria: sarà un uomo che nessuno colpisce perché tutti sanno che è capace di uccidere. [537]
«Agisci con coraggio e decisione, senza aspettare che ci siano tutte le condizioni ideali, perché le condizioni ideali non esistono» [590]
Nel mondo dei «decadenti» di Char’kov, infatti, il genio ha il dovere di essere non soltanto misconosciuto ma anche avvinazzato, eccentrico, disadattato. [856]
Il grande adagio dell’epoca, equivalente al nostro «lavorare di più per guadagnare di più», era: «Noi facciamo finta di lavorare e loro fanno finta di pagarci». Non è uno stile di vita esaltante, ma comunque funziona: si tira avanti. Non ci sono pericoli reali, a meno che uno non sia un vero piantagrane. Tutti se ne sbattono di tutto e, chiusi in cucina, rifanno dalle fondamenta un mondo che, a meno di non chiamarsi Solženicyn, si è certi resterà immutato per secoli, perché la sua ragion d’essere è l’inerzia. [974]
Il fatto è che a Eduard non piacciono i culti di cui non sia lui il destinatario. [1257: ne conosco più d’uno…]
A Saltov nessuno ha mai visto né vedrà mai un posto come quello. Nessuno tra gli invitati dei Liberman ha la più pallida idea di che cosa sia Saltov. Lui solo conosce entrambi i mondi, ed è questa la sua forza. [1562]
Uno dei migliori ricordi della vita di Eduard è quello di avere inculato Tanja davanti alla televisione, alla faccia del profeta che arringava l’Occidente e ne stigmatizzava la decadenza. [1610]
Per come la vede Eduard, in amore c’è chi dà e chi riceve, e lui ritiene di aver già dato abbastanza. [1809]
[…] la botte schifosamente piena e la moglie completamente ubriaca […] [2265]
[…] penso che quest’idea – ripeto: «L’uomo che si ritiene superiore, inferiore o anche uguale a un altro non capisce la realtà» — rappresenti il vertice della saggezza e non basti una vita a farsene permeare, ad assimilarla, a interiorizzarla in modo che cessi di essere un’idea e plasmi invece il nostro modo di vedere e di agire in ogni situazione. [2522]
Si sono separati più volte, e più volte rimessi insieme, secondo il classico schema: né con te, né senza di te. [2618]
E non a George Orwell, ma a Pjatakov, un compagno di Lenin, si deve questa frase straordinaria: «Se il partito lo richiede, un vero bolscevico è disposto a credere che il nero sia bianco e il bianco nero». [2699]
[…] c’era dentro di lui un pagliaccio amaro e autolesionista che boicottava l’opera delle fate buone che si erano chinate sulla sua culla. [2787]
Se mi considero incapace di ogni violenza gratuita, riesco pure a immaginare facilmente – forse troppo – le ragioni o le concatenazioni di eventi che in altre epoche avrebbero potuto spingermi al collaborazionismo, allo stalinismo o alla rivoluzione culturale. Forse tendo anche troppo a chiedermi se fra i valori accettati senza discutere dal mio ambiente – i valori che le persone del mio tempo, del mio paese e della mia classe sociale giudicano irrinunciabili, eterni e universali – non possa essercene qualcuno che un giorno risulterà grottesco, scandaloso o semplicemente sbagliato. [3428]
I moldavi erano talmente poveri che sognavano di ridiventare romeni, il che è tutto dire. [3816]
sabato, 19 gennaio 2013 alle 12:17
[…] Emmanuel Carrère – Limonov […]
mercoledì, 23 gennaio 2013 alle 9:46
[…] Emmanuel Carrère – Limonov […]
mercoledì, 23 gennaio 2013 alle 19:43
Sono tornata indietro a controllare e neanche qui si menziona il traduttore
sabato, 26 gennaio 2013 alle 11:40
Ho integrato anche qui.
domenica, 14 aprile 2019 alle 20:03
[…] Limonov, di cui ho scritto la recensione su questo blog alcuni anni fa (se volete leggerla, è qui). Ne ho letto anche altri, per la verità, ma vi sarete accorti che sono rimasto un po’ […]