Un concerto di Peter Gabriel è sempre un evento, per la qualità del musicista e dei gruppi che riesce a mettere insieme, ma anche per la cura della musica, degli arrangiamenti e dello spettacolo. Per me è stata la quarta volta, e prometto di raccontarvi le altre occasioni e anche di come sono diventato, assai tardivamente, un ammiratore di PG (si dice così, ma non esprime bene il mio rapporto con l’uomo e la sua musica).

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Avevo un’occasione speciale da festeggiare e per questo ho comprato, per me e mia moglie, un pacchetto vip. Il che, in parole povere, significa che arriviamo al Forum di Assago quasi 6 ore prima del concerto e assistiamo alle prove e al sound-check. Saremo stati in 40, seduti su 5 file di sedie a ridosso del palco. L’acustica non era certo delle migliori (un palazzetto dello sport di cemento, quando è vuoto, rimbomba di echi soprattutto sulle frequenze più alte, rimandando alle tue spalle una sorta di bordone metallico) ma il processo delle prove è davvero interessante, non poi così diverso (per chi ha avuto occasione di seguirle) dalle prove di un concerto classico, con il direttore che spiega che cosa vuole esattamente e che cosa si può migliorare. Il resto – le photo-opportunity alla fine del sound-check e una specie di happy hour nella saletta vip – si può tranquillamente dimenticare.
Veniamo al concerto, preceduto da una breve esibizione delle 2 giovani musiciste scandinave (brave davvero) aggiunte al line-up storico dei musicisti che hanno inciso la versione originale di So (questa tournée, iniziata lo scorso anno negli Stati Uniti, celebra il 25° anniversario dell’uscita, nel 1987), inizia alle 9 in punto. Ai miei tempi (oddio che frase da vecchio) si stava una vita ad aspettare che il concerto iniziasse. Adesso la puntualità regna sovrana (l’avevo già notato con The Wall di Roger Waters) e PG introduce lo spettacolo con il suo italiano un po’ traballante (ha una casa in Sardegna). Non mi soffermerò su quello che ormai tutti sanno: che il concerto è diviso in 3 parti (una acustica, una elettrica e tiratissima e la riproposizione integrale di So nella sequenza del disco) con gli immancabili bis (e, come sempre, si finisce con Biko).
L’acustica, ora che il palazzetto è gremito e che siamo in posti veramente perfetti (davanti a noi i veri vip, tra i quali riconosco Maurizio Vandelli e Renato Zero), è precisa e compatta. PG non ha più la voce di 25 anni fa, ma durante le prove (in cui evidentemente si risparmiava) mi aveva fatto preoccupare. Invece ora se la cava egregiamente, con qualche aiuto di Jennie Abrahamson e Linnea Olsson nelle note più acute. Stellare, come abbiamo detto, il line-up: oltre a PG alla voce e alle tastiere, Tony Levin al basso e al Chapman stick, David Rhodes alle chitarre, David Sancious alle tastiere (fisarmonica compresa) e Manu Katché alla batteria. Per una vera recensione vi consiglio quella di Alfredo Marziano su rockol.it che condivido largamente.
Ecco la setlist del concerto, durato poco più di 2 ore e un quarto:
- [Acustico] OBUT
- Come Talk to Me
- Shock the Monkey
- [Prima parte acustica, seconda elettrica] Family Snapshot
- [Elettrico] Digging in the Dirt
- Secret World
- The Family and the Fishing Net
- No Self Control
- Solsbury Hill
- Why Don’t You Show Yourself
- [So] Red Rain
- Sledgehammer
- Don’t Give Up
- That Voice Again
- Mercy Street
- Big Time
- We Do What We’re Told (Milgram’s 37)
- This Is the Picture (Excellent Birds)
- In Your Eyes
- [Bis] The Tower That Ate People
- Biko
Ho trovato molto bello lo spettacolo delle luci, effettuato usando massicciamente la nuova tecnologia LED (PG è un appassionato di tecnologia). Potete averne un’idea guardando le foto dello show milanese raccolte da onstage.
Meglio ancora: su youtube ci sono molti clip tratti dall’edizione americana del tour.
Considerazione finale: ma Matteo Renzi ha copiato l’idea di logo e slogan da PG?
martedì, 15 luglio 2014 alle 19:00
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