Coetzee, John Maxwell (2007). Diary of a Bad Year. London: Vintage Books. 2008.
Coetzee ha vinto il Nobel nel 2003 (e prima aveva vinto 2 volte il Booker Prize) e sono, a parer mio, tutti premi meritati. Coetzee ha una scrittura secca e precisa, e un modo inconfondibile di guardare in faccia la realtà.
Non ho letto tutti i suoi romanzi, ma soltanto 2 prima di questo: per pura coincidenza, le 2 opere che gli hanno guadagnato il Booker Prize nel 1983 e nel 1999.
The Life & Times of Michael K. (La vita e il tempo di Michael K. pubblicato da Einaudi) è la storia di un moderno Ulisse devastato nel corpo e nella mente, che percorre un paese sconvolto da un governo autoritario e da una violenza apparentemente cieca (immediato pensare al Sudafrica dell’apartheid) insieme alla vecchia madre inferma nella speranza di raggiungere la fattoria della sua infanzia. La madre muore, e Michael continua da solo. Ma la violenza lo raggiunge anche nella fattoria natale e Michael è costretto a una vita selvatica e disperata, in cui conserva integri il suo sguardo e la sua paradossale lucidità.
Disgrace (Vergogna, anch’esso pubblicato da Einaudi – ma è a Carmine Donzelli che va riconosciuto il merito di aver portato per primo i libri di Coetzee sugli scaffali italiani) è la storia di un professore cinquantenne accusato (ingiustamente) di molestie sessuali, ma la sua fuga in campagna dalla figlia non gli offre che nuova violenza. Parabola amara e coraggiosa sul Sudafrica post-apartheid.
Sono libri bellissimi e raggelanti.
Lo è anche questo Diario di un anno difficile (sempre tradotto da Einaudi: ma perché difficile e non cattivo?). L’anziano scrittore John C., trasparente alter ego di Coetzee stesso che vive ora in Australia, è invitato da un editore tedesco a partecipare con alcuni saggi a un progetto intitolato Strong Opinions, in cui potrà dare sfogo alle sue preoccupazioni etiche sullo stato di diritto, sulla guerra al terrore, sulla sospensione dei diritti umani e su molto altro ancora. Incontra nella lavanderia del palazzo dove abita una donna giovane ed esotica e la invita ad aiutarlo nella battitura dei testi. Benché Anya sia impegnata sentimentalmente (con un malfattore, in realtà) e sia completamente disinteressata alle questioni di cui tratta il libro, tra i due nasce lentamente un contatto …
Ogni riassunto è banale. E io, che non sono Coetzee, ho difficoltà a trovare le parole per dire che cosa poco a poco avviene tra i due: due esseri umani si toccano realmente, evento ormai così raro nel mondo dell’apparenza e della superficialità? Ognuno dei due colma un “bisogno” dell’altro? Anya è l’angelo della morte? John le fa il regalo estremo della consapevolezza di sé?
Il romanzo (227 intense pagine in tutto) è complesso anche sotto il profilo strutturale. La parte alta di ogni pagina è dedicata alle Strong Opinions, cioè al testo che (nella finzione) John C. sta scrivendo. Ma questi testi da soli meriterebbero la nostra attenzione, tanto che si parli di arte (Dostoevsky, Bach), quanto che si parli di teoria politica (pagine che ho trovato illuminanti). Sono 24 saggi brevi, tutti stimolanti. La parte inferiore della pagine, divisa in due sezioni, è dedicata ai monologhi interiori di John e poi anche di Anya. Le tre parti procedono a grandi linee, ma non precisamente, in parallelo, e costringono il lettore a fare delle scelte che (ovviamente) fanno sì che ogni lettore legga un libro diverso (ho scritto ovviamente perché questo è vero sempre, come ci ricorderebbero Derrida e compagnia cantante, ma qui è un po’ più vero o almeno ci costringe a rifletterci). In questa struttura, Diary of a Bad Year può ricordare un po’ (ma direi soltanto superficialmente) Il gioco del mondo di Cortázar.