Anocrazia

Non suona molto bene in italiano, devo ammetterlo. E non compare su dizionari, nemmeno sul ricchissimo Vocabolario Treccani. E nemmeno il suo corrispondente inglese, anocracy, che pure è il termine che ho trovato leggendo un libro (The Better Angels of Our Nature: Why Violence Has Declined di Steven Pinker), l’ho trovato su prestigiosi dizionari come il Webster o l’OED.

Eppure la parola esiste. L’ha creata, per quello che sono riuscito a ricostruire, uno storico e fisico americano,  Spencer R. Weart, in una sua opera pubblicata nel 1998,  Never at War: Why Democracies Will Not Fight One Another. Nell’esaminare il succedersi di conflitti politici e militari nella storia umana, Weart giunge alla controversa conclusione che le democrazie liberali non entrano in guerra tra loro e che, oltre a questa “pace democratica”, esiste anche una “pace autocratica” e una “pace oligarchica.”

Per sostenere questa tesi, Weart introduce questa tassonomia delle forme di governo (traduco liberamente dall’articolo di Wikipedia dedicato al libro):

  • Le anocrazie sono società in cui l’autorità centrale è debole o inesistente. Le relazioni principali sono legami di parentela estesi da alleanze personali con leader in vista. Una società può essere definita uno Stato in teoria, ma se le si attagliano i caratteri ora descritti, Weart la classifica come anocrazia. Ne sono esempi le società tribali, l’attuale Somalia, le città italiane medievali dove le famiglie influenti si affrontavano in battaglie per strada e vivevano in case fortificate. La cosa importante è che non esiste un’autorità centrale in grado di porre freno alla violenza individuale, di modo che i comportamenti violenti si estendono a parenti e amici in una sequela di vendette e guerre. [Penso a Capuleti e Montecchi nella Verona shakespeariana – nota mia]. Alcune tribù anocratiche possono avere una forma di democrazia limitata al gruppo di parentela esteso, ma nessun controllo della violenza diretta verso gruppi non connessi da legami di parentela. [Ama il prossimo tuo come te stesso, ma fa quello che ti pare di chi non ti è prossimo!].
  • Le autocrazie sono Stati in cui l’opposizione al regime vigente è oppressa. Ci possono essere transizioni frequenti tra anocrazia e autocrazia, se un singolo leader conquista temporaneamente un potere sufficiente a sopprimere tutti gli oppositori in un determinato territorio.
  • Le oligarchie sono Stati in cui la partecipazione al potere è limitata a un’élite. Le politiche sono decise dal voto e l’opposizione è accettata, ma soltanto all’interno dell’élite. Il diritto di voto è in genere limitato a 1/3 dei maschi adulti. Un esempio classico è l’antica Sparta.
  • Le democrazie sono Stati simili alle oligarchie, ma senza una distinzione chiara e netta tra l’élite e il resto della popolazione. In genere, il diritto di voto è esteso ad almeno i 2/3 dei maschi adulti.

Secondo la Direzione dello sviluppo e della cooperazione del Dipartimento federale svizzero degli affari esteri (dati 2006):

  • le democrazie sono 77 dall’inizio degli anni Novanta
  • 34 paesi vivono ancora sotto regimi autocratici
  • dall’inizio del XXI secolo si assiste a un aumento in potenza delle anocrazie, che mescolano in modo caotico elementi democratici e autocratici
  • 49 paesi vivono attualmente sotto un regime anocratico, il che rende questi Stati più esposti all’instabilità politica, ai conflitti armati, agli attacchi terroristici e alle crisi internazionali.
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Country – Keith Jarrett e Jan Garbarek

Sì sì, lo so, oltre a Keith Jarrett (al pianoforte e alle percussioni) e Jan Garbarek (ai sassofoni) c’è anche Palle Danielsson (al basso). Ma, appunto, che palle.

Questa bellissima canzone è del 1977. È stata per decenni lo “stacchetto” per eccellenza del canale nazionale della radio (quello che ormai si chiama Rai Radio Uno), e penso che ben pochi italiani non la conoscano, anche se magari non ne sanno il nome.

Il perché non lo so, e mi farebbe piacere se qualcuno me lo dicesse. Magari per una misteriosa e fortunatissima congiunzione astrale. Magari è stata la scelta di un programmista innamorato del jazz e di Garbarek e Jarrett. Magari avrà dovuto combattere una battaglia senza quartiere con burocrati oscurantisti. Magari è passata liscia come l’olio senza che se ne accorgesse nessuno.

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D’Ippoliti-Roncaglia – L’Italia: una crisi nella crisi

Per comprendere meglio che cosa è successo, che cosa sta succedendo, che cosa potrebbe succedere ancora e qualche suggerimento su come venirne fuori, suggerisco di leggere questo bell’articolo di Carlo D’Ippoliti e Alessandro Roncaglia uscito su Moneta e Credito [vol. 64 n. 255 (2011), 189-227]. Non è una lettura facile, ma nemmeno questi tempi lo sono.

L’Italia: una crisi nella crisi | Insight

[…] la speculazione finanziaria ha scelto gli spread sul debito pubblico
dei paesi dell’area dell’euro, e non gli altri, come obiettivo operativo
intermedio per una scommessa di carattere più generale, relativa alla
solidità dell’euro in quanto moneta sovranazionale […]

La cosa poteva essere facilmente prevista: se non sono più possibili le
speculazioni sui cambi tra le valute dei vari paesi dell’Unione Europea,
assumendo che tali paesi mantengano un andamento non convergente nel
tempo, le tensioni sono destinate a scaricarsi sulla valutazione di solidità
dei titoli del debito pubblico dei vari paesi, quindi sugli spread.

[…]

Come notava già Keynes riguardo al sistema di Bretton Woods, un
sistema a cambi fissi (e a maggior ragione un’unione monetaria) che lasci
tutto il peso della correzione degli squilibri macroeconomici sui soli paesi
in deficit è prono alla deflazione e difficilmente genera piena
occupazione, sia nei paesi in surplus sia in quelli in deficit. Dunque, la
strategia di uscita dalla crisi dell’euro dovrebbe consistere nel rilancio
della crescita economica, con strumenti di politica attiva a livello
continentale (iniziando dai cosiddetti eurobond e dalla realizzazione di
progetti europei di infrastrutture, oltre che da una politica monetaria che
persegua, come la Fed, sia la stabilità dei prezzi sia la piena occupazione
e non il primo obiettivo soltanto, come invece prevede l’attuale statuto
della BCE). Dovrebbe invece essere limitata allo stretto indispensabile
l’imposizione di misure di austerità, rinunciando all’imposizione di rigide
tabelle di marcia per la riduzione del debito in proporzione del PIL. Tali
misure, peraltro, difficilmente potranno garantire la solvibilità di alcuni
paesi (come la Grecia) o la sostenibilità del debito di altri […]

10 modi per essere più felici

  1. Fare ginnastica
  2. Seguire una dieta anti-infiammatoria
  3. Integrarla con olio di pesce e vitamina D
  4. Assumere erbe anti-depressive (tipo l’iperico, non quella cui stavate pensando)
  5. Fare esercizi di respirazione
  6. Tentare una terapia cognitivo-comportamentale (CBT)
  7. Ridere
  8. Evitare l’esposizione ai media (il data smog fa male!)
  9. Perdonare
  10. Praticare la gratitudine.

Bastasse questo!

Dr. Andrew Weil: 10 Ways to Have a Happier Life

In my new book, “Spontaneous Happiness,” I write about lifestyle practices that can help people achieve and maintain happy lives. Bear in mind that by “happy,” I am not referring to endless bliss. Despite what many in the media proclaim these days, such a state is neither achievable nor desirable. Instead, these practices are designed to help most people reach and maintain a state of contentment and serenity. From there, a person can still experience appropriate emotional highs and lows, but knows that he or she will soon return to a pleasant state that might be termed emotional sea level.