Gerontocrazia: il decalogo anti-Pagliaccio | Solferino 28 anni

Solferino 28/anni ospita un’altra testimonianza esclusiva di giovane scrittore italiano. Dopo Giusi Marchetta e il suo Tutto il niente che rimane, tocca ad Alcìde Pierantozzi confrontarsi con il disagio generazionale. In maniera ironica e “sovversiva”. Nato a San Benedetto del Tronto nel 1985, Alcìde vive a Milano. Ha pubblicato i romanzi Uno in diviso (Hacca, 2006) e L’uomo e il suo amore (Rizzoli, 2008). Ecco qua i suoi Dieci consigli per evitare il Pagliaccio. Buona lettura.

Alcide Pierantozzi

vivimilano.corriere.it

Gerontocrazia: il decalogo anti-Pagliaccio | Solferino 28 anni

Dieci consigli per evitare il Pagliaccio

«It di Stefano King! It di Stefano King! Me lo compri, nonno?».

Non parlavo ancora l’italiano, tantomeno l’inglese, ma sapevo che in quel volume dalla copertina grigiastra, il cui titolo spiccava per un rosso particolarmente acceso, si nascondeva qualcosa di… come dire? Sì, qualcosa di molto “mio”. Non era un’impressione inesatta, era la stessa che avrebbe avuto un qualsiasi ragazzino cresciuto negli anni ’90, per sempre provato dalla faccia del raccapricciante pagliaccio. Nel film per la tv che ne aveva tratto un certo Tommy Lee Wallace, e che nessuno della mia età riuscì a guardare fino alla fine, un gruppo di adolescenti molto affiatati nel dare la caccia al mostro (o, ben più probabile, nell’evitarlo) lasciava presagire uno sfondo romantico. Uno sfondo “nostro”.

Insomma, voi ve lo ricordate che fine faceva il Pagliaccio? Anzi, il Mostro? Ecco, più che stendere l’elenco dei problemi che riguardano la mia generazione (alla quale questo film, e il celebre libro da cui è tratto, fece da déjà vu), preferirei compilare un catalogo di tipo sovversivo. I miei sono solo i consigli di chi, in un modo o nell’altro, si è ritrovato molto presto ad avere il Pagliaccio davanti, a volte nelle vesti di un professore, altre in quelle di un editore, altre ancora di un amico; molto spesso si è trattato di un Pagliaccio gerontosauro. Sono dieci suggerimenti che ho appuntato con schietto linguaggio campagnolo. Ecco a voi.

Caro amico,

  1. Fidati solo delle persone che stimi. Avere un immediato ritorno economico non è fondamentale, ammesso che il tuo tempo sia a disposizione di un maestro, e non di un Pagliaccio. Se credi che stare alle dipendenze di un Pagliaccio prima o poi ti gioverà, facendoti salire di grado, allora sei destinato a fallire. Sarai un servo a vita.
  2. Tratta male il Pagliaccio che non ti rispetta. Mettigli i bastoni tra le ruote. Umilialo davanti a tutti. Cariche di potere enormi spesso sono gestite da Pagliacci che se la fanno sotto dalla paura. Approfittane.
  3. Mostra al Pagliaccio la tua cultura. La cultura è l’unica cosa che spaventa il Pagliaccio. Ricordati che il 90% dei Pagliacci con cui ti ritroverai a che fare ne sa meno di te. Se senti di non essere rispettato, umiliali con la tua cultura. Ricorda loro che devono cambiare mestiere, che non li vuoi lì dove sono.
  4. Non aspettarti che una mano santa scenda dall’alto e venga a pescarti dal tuo squallido monolocale. Lavora con il massimo impegno e alza il telefono, chiama direttamente le persone con cui vuoi lavorare e, senza troppi giri di parole, chiedi un incontro.
  5. Scarica tutti i film che vuoi guardare, e guardali. Ruba tutti i libri di cui hai bisogno, e leggili. Lascia i pochi soldi che hai solo per il cibo e per le sigarette.
  6. Non vergognarti di chiedere. A volte il Pagliaccio si maschera da servo, e ti dice che è il discendente di un sistema più grande, e che quindi non può fare nulla per te. Non è vero: il sistema più grande ignora l’esistenza stessa del Pagliaccio.
  7. 7vita di lavorare con chiunque faccia il proprio lavoro senza correre alcun rischio, vivendo 24 ore su 24 con l’unico obiettivo di mantenere il proprio culo al caldo. Costui è un Pagliaccio, e durerà poco. Dedica il tuo tempo solo agli ardimentosi.
  8. Se lavori nel campo della cultura, e ti ritrovi davanti un Pagliaccio che non sa dirti niente della Metafisica di Aristotele, alzati e vattene. E non dimenticarti di ridergli in faccia.
  9. Se hai inclinazioni artistiche, e credi di possedere un qualche talento, lascia perdere l’Università. Studia da solo, lasciati contaminare da tutto quello che ti circonda. Tuttavia, se hai inclinazioni culturali di altro tipo (ad esempio: traduzione, editoria, filosofia, scienza) resta nell’ambito dell’accademia. Se sei bravo, eviterai l’incontro diretto con i Pagliacci, ritrovandoti subito – e con qualche fortuna – a lavorare al grado più alto.
  10. Ricordati che sei vivo, e non lo sarai per molto. Sembrerebbe un monito alla Coelho, o una minaccia Maya, invece (e tu lo sai) è la verità.

Alcìde Pierantozzi

twitter@alciterribile

Perché il Bayern ha perso la finale di Champions’ League

Olaf Storbeck è il corrispondente da Londra dell’Handelsblatt, il principale quotidiano economico tedesco, e l’autore (insieme a Norbert Häring) di Economics 2.0: What the Best Minds in Economics Can Teach You About Business and Life (tradotto anche in italiano: Economics 2.0).

Dopo la sconfitta subita dal Bayern di Monaco nella finale di Champions’ League contro il Chelsea ha pubblicato un articolo sul suo blog Economics IntelligenceAn economic explanation of Bayern’s failure – cercando di capire le ragioni economiche della sconfitta della squadra tedesca (e anche le ragioni della sua previsione errata: sempre ricorrendo al ragionamento economico, aveva infatti previsto, pochi giorni prima, la vittoria del team bavarese – The Economics of Success – Why Bayern Munich will beat Chelsea).

La prima previsione era stata basata su una stima della forza relativa delle due squadre: il valore di mercato dei giocatori del Bayern era circa del 30% superiore a quello del Chelsea (291 contro 203 milioni di euro). La metodologia in questione era già stata adottata con successo dal think-tank tedesco DIW, che in questo modo aveva previsto i vincitori degli Europei del 2008 e dei Mondiali del 2006 e del 2010.

Penalty

wikipedia.org

Il pensiero economico, per fortuna, ha più di una freccia nella sua faretra. Oltre a spiegare perché il Bayern avrebbe dovuto vincere, può spiegare anche perché abbia perso.

Secondo la teoria proposta da Thomas Dohmen, un economista tedesco che insegna all’Università di Maastricht nei Paesi Bassi, il Bayern ha perso ai rigori proprio perché giocava in casa. In un suo paper del 2005 (Do Professionals Choke under Pressure?), Dohmen ha analizzato 3.619 rigori tirati tra il 1963 (1ª stagione della Bundesliga) e la stagione 2003-2004 nel massimo campionato tedesco. In media, non vengono realizzati 26 tiri dal dischetto su 100 (19 sono parati dal portiere, 7 mancano lo specchio della porta). Nella finale di coppa, il Bayern ne ha sbagliato la metà (3 sui 6 tirati, 1 nei supplementari e 5 nella “lotteria dei rigori”).

Questo, secondo Dohmen, è un problema tipico della squadra di casa, ed è particolarmente evidente nei casi in cui il rigore è tirato fuori o si stampa sui legni:  succede nel 5,6% dei casi alla squadra in trasferta, ma nel 7,5% dei rigori tirati dalla squadra che gioca in casa. In altre parole, i professionisti soccombono alle aspettative dei tifosi.

Penalty

Dohmen 2005

Argomenta Dohmen:

The evidence suggests that the social environment has an impact on the performance of individuals. In particular, players of the home team are more likely to choke. This is a very robust finding in the data. It provides evidence against the social support hypothesis, but in support of the hypothesis that positive public expectations induce choking.

E conclude:

The finding, which is consistent with the hypothesis that positive public expectations or a friendly environment induce individuals to choke, has ramifications for questions of workplace design and performance measurement. The empirical result of this paper implies, for example, that workers who might feel being observed, especially by well disposed co-workers or spectators, perform worse than they otherwise would.

Come evitare di farsi infinocchiare: un decalogo anti-bùbbole

Essere curiosi è alla base del progresso scientifico, oltre che dell’arricchimento delle conoscenze personali. Ma ha i suoi rischi. Il principale è quello di essere indotti a credere a delle bubbole. Ecco, dunque, che un po’ di sano scetticismo non guasta e che il direttore dello Skeptic Magazine, Michael Shermer, ci propone un decalogo per stabilire la credibilità di un’asserzione, senza cadere nel cinismo.

Michael Shermer

wikipedia.org

Ecco il decalogo anti-panzane:

  1. Quanto è attendibile la fonte dell’asserzione?
  2. La stessa fonte fa altre asserzioni simili?
  3. Le asserzioni sono state validate da qualcun altro?
  4. Quanto asserito concorda con quello che sappiamo di come funziona il mondo?
  5. Qualcuno ha provato a “falsificare” l’asserzione?
  6. In che direzione punta la maggior parte delle prove?
  7. Chi sostiene l’asserzione opera secondo le regole della scienza?
  8. Chi sostiene l’asserzione porta a sostegno della sua tesi delle prove positive?
  9. La nuova teoria dà conto dello stesso numero di fenomeni di cui dava conto la vecchia?
  10. L’asserzione è motivata da credenze personali?

Il video è realizzato dalla Richard Dawkins Foundation for Reason and Science e io l’ho trovato sul sempre prezioso Brain Pickings di Maria Popova: The Baloney Detection Kit: A 10-Point Checklist for Science Literacy.

Piazza della Loggia

La ferita quest’anno sanguina più che mai

Avatar di borislimpopoSbagliando s'impera

Stiamo ancora discettando, alla luce del film di Marco Tullio Giordana (e all’ombra del libro di Paolo Cucchiarelli), della strage di Piazza Fontana, e oggi si riapre un’altra ferita, quella della strage di Brescia del 28 maggio 1974. Una strage fascista al di là di ogni ragionevole dubbio, mi verrebbe da dire: la bomba scoppia durante una manifestazione antifascista mentre parla un sindacalista della CGIL. Nessun colpevole per la giustizia italiana (che continuo a rispettare, beninteso, come ogni bravo cittadino).

Cito da un intervento di Riccardo Venturi, che ho trovato qui ma che rinvia a un documento non facilissimo da trovare, Canzoni e stragi di Stato:

Esaurita la lunga sezione sulla strage di Piazza Fontana e sugli episodi ad essa collegati, è necessario seguire la scia di sangue di morte che, da Milano, porta alla vicina Brescia. Una strage i cui “protagonisti” sono gli stessi. Lo stesso stato…

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10 miti tecnologici da non prendere sul serio

Ti hanno mai detto – in genere è uno che si spaccia per molto più esperto e aggiornato di te – che per prolungare la vita della tua batteria devi scaricarla completamente? che è illegale modificare il telefonino, magari comprato all’estero, affinché funzioni con qualunque gestore? che è meglio aspettare la prossima generazione di processori?

Bubbole. Inutili nella migliore delle ipotesi, nella peggiore dannose per te e per i tuoi aggeggi tecnologici.

Lifehacker ha messo insieme una classifica dei miti più diffusi e persistenti. L’originale è qui: Top 10 Pervasive Tech Myths That Are Only Wasting Your Time.

  1. Aspetta a comprare il nuovo modello, il prossimo avrà un processore più potente, più RAM, un nuovo chip … Oggi le specifiche tecniche non contano poi molto. E poi c’è sempre l’annuncio di un nuovo modello che sarà meglio di quello lanciato 15 giorni fa. Compra quello che ti serve quando ti serve.
  2. La musica lossless ha una resa migliore dell’MP3. In effetti, è il bitrate che conta. Ma la differenza tra MP3 e formati lossless è impercettibile, a meno che tu non abbia un impianto super (e sto parlando di soldi veri) e di un orecchio educato e funzionante (se hai più di 30 anni, lascia perdere). Se non ci credi, puoi fare la prova tu stesso qui.
  3. I task killer sono necessari a migliorare la performance. Stiamo parlando di applicazioni che chiudono le app aperte in background: non è vero che prolungano la durata della batteria, né che migliorano le prestazioni. Ma è vero che possono danneggiare irreparabilmente le app stesse o il sistema operativo.
  4. Il jailbreaking del tuo telefono è illegale. Annulla la tua garanzia, questo sì. Ma non è illegale. Sei il proprietario dell’apparecchio e puoi farci quello che vuoi. Negli USA lo ha confermato ufficialmente il Copyright office.
  5. Chi usa il Mac non si deve preoccupare del malware. Per prima cosa non è vero: ce ne è meno per il Mac, ma gli esempi non mancano. Ma soprattutto: non è bello che soltanto perché quel virus che hai ricevuto per e-mail non ha infettato te è una cosa commendevole passarlo al malcapitato utente Windows che corrisponde con te!
  6. Comprare una garanzia estesa per il tuo nuovo aggeggio è una buona idea. In genere le garanzie estese non coprono tutto tutto tutto, e poi ci pensa la legge di Murphy a fare il resto. Fatti un piccolo fondo imprevisti da solo.
  7. Dovresti sempre far scaricare completamente le batterie. Era vero per le vecchie batterie al nickel/cadmio, che soffrivano del cosiddetto effetto memoria. Le attuali batterie agli ioni di litio non ne soffrono.
  8. Le reti wifi pubbliche, se protette da password, sono al sicuro dagli hackers. Certo, sono più sicure. Ma sono pur sempre reti pubbliche. Non si può escludere che un hacker abbia la password, magari lecitamente.. E quindi, continua a proteggerti da chi potrebbe sbirciare il tuo traffico e le tue transazioni.
  9. PeerBlock copre le tue tracce su BitTorrent. PeerBlock e software analoghi criptano il tuo traffico e quindi, nella migliore delle ipotesi, impediscono al tuo ISP di vedere che cosa stai facendo ed eventualmente di limitarti. Ma se quello che cerchi è l’anonimato, ti serve un VPN o quantomeno un proxy service come BTGuard.
  10. Il software X (inserisci a tuo piacere) migliora drammaticamente la performance del tuo computer. Uno dei miti più difficili da sradicare. In genere non fanno niente, talora peggiorano la performance. Nulla è meglio di non mettere troppe porcherie sul pc e di fare una regolare manutenzione. E ve lo dice uno che di schifezze ne installa moltissime!

Quanto è lontano nel futuro il futuro della fantascienza?

È una domanda che vi è passata spesso per la testa e cui non sapevate rispondere? Oppure è una domanda che vi sembra così oziosa che vi chiedete come qualcuno possa perderci del tempo?

A entrambe queste domante la risposta c’è. La domanda se l’è posta in un tweet del 17 aprile 2012 Tom Coates:

Detto fatto. Stephanie Fox di io9 (una rivista online che si presenta così: io9 is entertainment, science, and futuristic culture for people who want to escape the everyday) l’ha accontentato con il grafico qui sotto:

Il futuro della fantascienza

io9.com

Per prima cosa 2 ricercatori di io9, Ben Vrignon e Gordon Jackson, hanno costruito il loro dataset con un campione di 250 opere di fantascienza (libri, film, serie tv e fumetti) in lingua inglese, facilmente reperibili negli Stati Uniti e relative al periodo 1880-2010.

Le opere sono state suddivise per decenni (li vedete rappresentati nelle righe del grafico) e per “tipo di futuro” cui l’opera stessa fa riferimento. Qui è stato necessario un po’ d’arbitrio. Si è definito “futuro prossimo” (near future nel grafico) quello immaginato in un arco temporale da 0 a 50 anni dopo l’anno in cui l’opera è stata scritta; “futuro medio” (middle future) quello tra i 51 e i 500 dopo la creazione dell’opera; “futuro remoto” (far future) quello oltre i 500 anni (501 e oltre).

La classificazione è arbitraria nelle soglie temporali adottae, ma non nel criterio di fondo: il futuro prossimo è quello di opere che estrapolano il presente, riflettendo sui contenuti del presente che sono già (per così dire) fantascientifici. 2 esempi, uno dal passato e uno dal presente: 1984 di George Orwell e tutta l’opera di William Gibson, i cui ultimi romanzi sono ambientati in un futuro del dopodomani (meno di così c’è solo il presente alternativo di 1Q84 di Murakami Haruki). il futuro remoto, per contrasto, è quello in cui gli essere umani sono scomparsi e divenuti irriconoscibili per come si sono evoluti (l’esempio classico, direi, è La macchina del tempo di H. G. Wells); lo stesso vale per il pianeta Terra. Il futuro medio è, appunto, quello che sta in mezzo tra questi 2 estremi: il tempo della fantascienza classica alla Star Trek, per capirsi.

Come leggere il grafico? Nel grafico, come abbiamo detto, le righe rappresentano singoli decenni. Le 3 barre colorate rappresentano l’incidenza delle 3 tipologie di opere in ciascun decennio, posto a 100 il totale. Così, ad esempio, negli anni Ottanta del secolo XIX il 13% delle opere considerate tratta del futuro prossimo, il 52,2% nel futuro medio e il restante 34,8% nel futuro remoto.

io9 azzarda anche qualche prima lettura:

  1. Ci sono soltanto 2 decenni in cui i tre periodi (futuro prossimo, medio e remoto) sono grosso modo equivalenti: gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento: entrambi, almeno negli Stati Uniti, periodi di boom economico e di forte dinamismo sociale, che possono aver spinto l’interesse dei lettori tanto alle prospettive immediate quanto al lontano futuro delle utopie (e distopie).
  2. È curioso che entrambi i decenni considerati si siano chiusi con una recessione (la prima molto più grave, ovviamente), ma che i lettori abbiano reagito apparentemente in modo opposto, nel primo caso privilegiando il futuro remoto (gli anni Trenta detengono il record di incidenza delle storie ambientate lontano nel tempo), nel secondo all’opposto ripiegando su quello più vicino (gli anni Settanta segnano anche il minimo delle storie ambientate nel futuro remoto).
  3. In altri decenni il futuro sembra essere proprio dietro l’angolo: accade così all’inizio del Novecento e nei suoi anni Ottanta, decenni in cui le storie ambientate nel futuro prossimo sono più della metà del totale del decennio. Quello che hanno in comune questi due periodi è l’accelerazione del progresso tecnologico: i primi del Novecento sono stati gli anni della diffusione di massa del telefono, del cinema, dell’elettricità in casa e dell’automobile (la Ford modello T è del 1908). Gli anni Ottanta sono quelli del personal computer.
  4. Il futuro ha teso ad avvicinarsi (crescita sistematica della quota di storie ambientate nel futuro prossimo) per tutto il dopoguerra: verosimilmente un effetto dell’accelerazione e della pervasività del cambiamento tecnologico.
  5. A partire dagli anni Novanta si registra però un’inversione di tendenza e cresce la quota delle storie del futuro remoto, spesso post-umane. Un effetto della grande incertezza – anche economica – di questi anni e dell’insicurezza seguita, soprattutto negli Stati Uniti, all’11 settembre? Risorge la tentazione di rifugiarsi nel futuro remoto, un surrogato secolare dell’aldilà, come prospettiva consolatoria?

L’articolo di io9 è qui: A Chart that Reveals How Science Fiction Futures Changed Over Time.

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L’aquila con il coltello: Hitchcock e Jannacci avevano ragione

Non è un fotomontaggio. Almeno così ci assicura il Daily Mail.

Il fotografo olandese Han Bouwmeester, a Västerbotten in Svezia per un reportage fotografico sulle aquile, aveva usato il coltello per preparare dei pezzi di carne come esca. Il coltello – dimenticato a terra dal fotografo (eppure la mamma glielo diceva sempre che chi è disordinato si mette nei guai) – si è dimostrato per l’aquila un’esca più attraente della carne. Doveva aver sentito famoso apologo del pesce e della canna da pesca: aiuti più una persona insegnandogli a pescare che non fornendogli ogni tanto un pesce da mangiare.

Golden eagles: Picture shows bird of prey soaring away clutching a KNIFE | Mail Online

A forgetful photographer had the shock of his life when this soaring golden eagle made off with his knife.

Dutch snapper Han Bouwmeester had been using the utensil, in Västerbotten, Sweden, to carve up chunks of meat in a bid to attract the birds of prey.

But, busy with the task in hand, the wildlife aficionado clumsily dropped it in the snow.

L'aquila e il coltello

dailymail.co.uk

Il coltello

dailymail.co.uk

Hitchcock aveva ragione:

E anche Enzo Jannacci, naturalmente (qui in una versione aggiornata nelle immagini rispetto a quella che ho già messo altrove):

Le lucciole di Pasolini

Chi legge questo blog con qualche regolarità sa che nutro un’epidermica antipatia per Attilio Scarpellini, uno dei conduttori della trasmissione mattiniera di RadioTre Qui comincia. La trasmissione peraltro la seguo da anni, nelle sue diverse incarnazioni, e accompagna i miei rituali del mattino. E ho molta simpatia e addirittura affetto per gli altri che si alternano al microfono: di Paolo Terni adoro i raffinati borbottii, il suo proporre con pudore e modestia pensieri molto profondi; di Anna Menichetti (una delle voci più sexy di Radio Rai, assieme a quella di Marina Flaibani) mi piace la sensibilità trasognata; di Arturo Stàlteri ho addirittura un album di qualche anno fa (Syriarise) e conservo memoria di un suo incontro con Brian Eno, raccontato da quest’ultimo in A Year With Swollen Appendices: Brian Eno’s Diary. Spero che l’interessato non me ne voglia, ma con Scarpellini, invece, mi scatta solo l’irritazione e la voglia di cambiare canale.

ppp

radio3.rai.it

Ma non lo faccio. E così la mattina del 16 maggio 2012  ho ascoltato la puntata che parlava di Pier Paolo Pasolini e, in particolare, un riferimento che Scarpellini ha fatto al famoso tema della scomparsa delle lucciole come di una “metafora” di Pasolini.

Ecco, mi sono detto, subito prevenuto contro Scarpellini: quando PPP scrisse della scomparsa delle lucciole tutti a dire: “Pasolini, poeta e profeta, ma soprattutto grande intellettuale a tutto tondo, capace di cogliere i più profondi cambiamenti non solo della società ma anche dell’ambiente planetario.” Poi qualcuno ha fatto la scoperta: le lucciole erano tornate. Ancora una volta è stato il Corriere della sera (che aveva smesso da tempo di essere un quotidiano autorevole per trasformarsi definitivamente in un quotidiano di sussiegose nullità) a fare lo scoop (l’articolo di Lilli Garrone è del 28 maggio 2006 e ha meritato la prima pagina!):

SONO RICOMPARSI GLI INSETTI RIMPIANTI DA PIER PAOLO PASOLINI IN UN CELEBRE ARTICOLO

Villa Borghese, il ritorno delle lucciole

Mancavano da così tanto tempo che nessuno le aspettava più. Ormai erano entrate nei racconti di chi arrivava da una vacanza ai tropici o da una campagna sperduta. E invece, all’ improvviso, eccole qui. Le lucciole sono tornate a illuminare le primaverili notti romane. Sono tornate anche in un luogo così centrale e inaspettato come Villa Borghese. Si intravedono nel boschetto urbano dietro via di Villa Ruffo, lampeggiano tra gli alberi accanto la fontana Rotonda. Si accendono e si spengono per gli sguardi increduli e stupiti anche delle persone adulte, non solo dei bambini. Chissà cosa avrebbe detto Pier Paolo Pasolini se fosse stato ancora vivo. Se avesse potuto rivederle in questa città. Perché proprio sulle colonne del Corriere della Sera, il primo febbraio del 1975, con un articolo titolato «Coscienze al buio senza lucciole» il famoso poeta lanciò la sua guerra contro il modello di sviluppo degli anni Sessanta e parlò con grande nostalgia della loro scomparsa. Eccone un brano: «Nei primi anni Sessanta a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua… sono cominciate a sparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante… Sono ora un ricordo, abbastanza straziante del passato». Così, di certo la loro rinnovata presenza è una buona notizia. Perché le lucciole, dicono gli esperti, sono un indicatore della salute dell’ecosistema. Almeno per quanto riguarda il loro habitat: prati, cespugli e siepi. Siccome non se ne parlava da un po’ , forse non tutti sanno che le lucciole sono insetti (coleotteri), e non pizzicano l’ uomo. Quando luccicano non lo fanno per noi: lo fanno perché sono in amore e quello è il loro modo di cercare un compagno. L. Gar.

Garrone Lilli

Pagina 1
(28 maggio 2006) – Corriere della Sera

Qualcuno ha provato a dire, sommessamente, che le lucciole non erano mai scomparse. La voce era troppo flebile, gli amplificatori dei media assenti: la verità “ufficiale” è quella della scomparsa e del ritorno. Per maggiore sicurezza però – mi dicevo l’altra mattina – meglio declassare il punto di vista di Pasolini da osservazione a metafora.

A questo punto, però, mi è sembrato doveroso andare a rileggere l’articolo di Pasolini del 1° febbraio 1975. Il titolo (mi viene da scrivere “naturalmente”, dato il livello dell’articolo di Lilli Garrone, che non si è degnata di andare a controllare – la buona notizia è che le lucciole sono davvero coleotteri) non è «Coscienze al buio senza lucciole», ma «Il vuoto del potere».

Che dire? Non mi sembra che Pasolini parli della scomparsa delle lucciole in senso metaforico, ma certo utilizza questo “evento” come spartiacque all’interno di un’analisi delle metamorfosi del potere, fascista e democristiano. Ma io qui non voglio parlare di questo, ma di come un uomo come Pasolini (certamente intellettuale e poeta per sua scelta, anche se forse profeta sua malgrado) possa costruire un’argomentazione su un fattoide (o fattizio, cioè un “fatto che non esiste prima di apparire in una rivista o un giornale”, secondo la definizione di Norman Mailer), senza prendersi la briga di verificare se fosse vero o falso che le lucciole erano scomparse.

Questo ci dice molto sulla cultura italiana, che da quasi 40 anni discute sulle implicazioni della scomparsa delle lucciole con assoluto disprezzo delle circostanze di fatto: dice, secondo me, molto sul conformismo, molto sulla disposizione e sulla disponibilità a credere ai dogmi, molto sul groupthink eletto a sistema di pensiero. Purtroppo, temo, ci dice molto anche su Pasolini come pensatore e maestro del pensiero: perché a me, a rileggerlo, sembra che l’articolo sia veramente debole. Non nella polemica con Franco Fortini su “fascismo aggettivo e fascismo sostantivo”, che si può largamente condividere, ma proprio sul ruolo di pietra miliare assegnato alla presunta e largamente fittizia (o fattizia) “scomparsa delle lucciole”, spartiacque tra un “prima” e un “dopo”, in cui il “prima” è nonostante tutto meglio del “dopo”: una nostalgia che, spiace dirlo, è il sigillo del pensiero di destra.

Dal momento che l’articolo di Pasolini potete andarvelo a leggere integralmente con un click su un link, mi concederò la licenza di tagliuzzarlo e ricostruirne la sequenza per meglio chiarire la parte che vi recitano le lucciole e i limiti (a mio parere, naturalmente) della mitologia precapitalistica e premoderna di Pasolini.

Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).
Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”.

[…] una decina di anni fa, è successo “qualcosa”. “Qualcosa” che non c’era e non era prevedibile non solo ai tempi del “Politecnico”, ma nemmeno un anno prima che accadesse (o addirittura, come vedremo, mentre accadeva).

Durante la scomparsa delle lucciole […] sia il grande paese che si stava formando dentro il paese – cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI – sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che “le lucciole stavano scomparendo”. Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia (che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell’analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l’immediato futuro; né identificare quello che allora si chiamava “benessere” con lo “sviluppo” che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il “genocidio” di cui nel “Manifesto” parlava Marx.

I “valori” nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. […] A sostituirli sono i “valori” di un nuovo tipo di civiltà, totalmente “altra” rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. […] si tratta della prima “unificazione” reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una certa logica alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriale. Il trauma italiano del contatto tra l'”arcaicità” pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione dell’industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste.

Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola.

Pasolini passa poi a raccontare il “vuoto del potere” realizzatosi quando i democristiani “sono passati dalla ‘fase delle lucciole’ alla ‘fase della scomparsa delle lucciole’ senza accorgersene.” Questo racconto dà il titolo all’articolo, ma qui ci interessa meno. Mi preme piuttosto sottolineare 2 passaggi che mi sembrano cruciali:

  1. L’unificazione dell’Italia sarebbe – secondo Pasolini – intervenuta soltanto con l’accelerata industrializzazione del boom economico, e attraverso una “mutazione” antropologica più evidente nel Centro-Sud (come infatti è da attendersi per un Paese non ancora unificato): gli italiani “sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo.” Coerentemente marxista (più di tanti intellettuali organici), Pasolini antepone il cambiamento strutturale (l’industrializzazione) a quello sovrastrutturale (l’omologazione culturale trasmessa dalla televisione, ad esempio). Trovo molto bella e pertinente l’osservazione sulla “sociologia che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell’analisi marxista.”
  2.  Nel passaggio benessere → sviluppo → genocidio (un passaggio agghiacciante, se vi fermate a riflettere anche solo qualche istante) c’è tutta la radice premoderna e reazionaria del pensiero di Pasolini: lo sviluppo è una perversione del benessere che conduce allo sterminio (penso che PPP avesse in mente il passo del Manifesto di Marx sulle crisi da sovrapproduzione: “Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche precedenti sarebbe apparsa un assurdo: l’epidemia della sovraproduzione. La società si trova all’improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l’industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio.”). Pasolini legge Marx come un teorico della decrescita: condizione del benessere vero è rinunciare al progresso, cioè ad andare avanti. Se possibile, anzi, tornare indietro, nell’Arcadia dove ci sono ancora lucciole. Una riflessione che dovrebbe farci guardare con cautela anche alla voga corrente che ci invita a guardare al di là della crescita economica e dello sviluppo (magari l’avessimo!) e perseguire il “benessere” o addirittura la “felicità”.

Giusto per farvi passare quello sguardo romantico e quell’espressione un po’ ebete (che ho anch’io, perché anch’io da bambino subivo il fascino delle lucciole e me le facevo mettere in un bicchiere – senza toccarle io perché gli insetti mi fanno orrore), qualche fatto (e non fattoide) sulla vita delle larve di lucciola: si nutrono prevalentemente di lumache e di chiocciole, grandi fino a 200 volte più di loro (ma ovviamente non velocissime nella fuga); le attaccano a morsi e poi iniettano loro (mentre ancora sono vive) un liquido tossico, che distrugge lentamente i tessuti della vittima e li digerisce trasformandoli in un fluido marrone, che la larva di lucciola può succhiare. Certo, la Montedison operava su un’altra scala, ma nel loro piccolo anche le lucciole …

A complicare le cose, in Italia ci sono due generi di lucciole (nessuno dei due è scomparso), entrambi della famiglia Lampyris: la Luciola (Laporte, 1833) e la Lampyris noctiluca:

Lampyris noctiluca

Lampyris noctiluca / http://www.acquariodesign.com

Il futuro del web secondo Google

Google annuncia Knowledge Graph.

Ecco il video di presentazione:

Qui la pagina di presentazione:

Knowledge – Inside Search – Google

When you search, you’re not just looking for a webpage. You’re looking to get answers, understand concepts and explore.

The next frontier in search is to understand real-world things and the relationships among them. So we’re building a Knowledge Graph: a huge collection of the people, places and things in the world and how they’re connected to one another.

This is how we’ll be able to tell if your search for “mercury” refers to the planet or the chemical element–and also how we can get you smarter answers to jump start your discovery.

See it in action

When you search for things, people, or places that Google knows about, we can use the Knowledge Graph to enhance your search results.Find the right thing
The words you search with can often have more than one meaning. With the Knowledge Graph we can understand the difference, and help you narrow your results to find just the answers you’re looking for.

Get the best summary
See key facts about your search with the most useful and interesting information for that particular topic, based on the questions other people have asked.

Go deeper and broader
Make unexpected discoveries and explore a topic more deeply with a springboard of information at your fingertips. What you find may surprise you!

See where your curiosity will take you. Give it a try.

Get answers no matter where you search

This feature is available on desktop, tablet and your smartphone. So wherever you search on Google, you’ll find that answers and discovery are at your fingertips.Learn more.

Knowledge Graph

Un centauro artificiale italiano

Vi ricordate l’Istituto italiano di tecnologia? Il MIT italiano? Istituito da un Governo Berlusconi nel 2003, localizzato a Genova Bolzaneto (per attrazione gravitazionale di Scajola, o ricordo male?). Chiacchierato e criticato da subito. Poi dimenticato.

A me fa piacere venire a sapere – da un articolo sulla newsletter KurzweilAI – che vi si lavora e vi si sperimenta qualche cosa che attira l’attenzione di qualificati osservatori stranieri. E poi, il video è molto divertente. Giudicate voi stessi.

HyQ

HyQ robot outdoor test (credit: Italian Institute of Technology)

Italian quadruped robot goes for a walk | KurzweilAI

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Researchers from the Italian Institute of Technology took their quadruped robot HyQ for a test run outside the lab for the first time to test new tricks HyQ has learned, including the ability to trot over obstacles without falling, IEET Spectrum Automaton reports.

The robot is still a strange headless creature, and though a sensor head is in the works, this quadruped might get even weirder with a new hardware addition: arms.

The goal: an autonomous, versatile machine capable of running, jumping, and negotiating rough terrain that could find applications in search-and-rescue operations and exploratory missions.

E tra un po’ avrà le braccia, e sarà il primo centauro artificiale.

Il centauro artificiale

IIT

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