The Book of Lost Books

Kelly, Stuart (2005). The Book of Lost Books. London: Penguin Books. 2006.

Una brevissima recensione di un libro che ho deciso di non finire di leggere (troppo noioso! per me, almeno).

Leibniz (OK, Gottfried Wilhelm von Leibniz), che io adoro anche perché era un incredibile pignolo (affinità elettive), lavorò fino alla morte (1716) per la Casata dei Brunswick. Nel 1685 (Leibniz aveva 39 anni), il duca Ernst August gli chiese di scrivere un’opera che narrasse la storia di Casa Brunswick “dalle origini”. Gravissimo errore. Dopo aver speso 13 anni a raccogliere le idee e a preparare una scaletta (almeno, io avrei fatto così), nel 1698 Leibniz pubblicò un primo volume preparatorio, di documentazione d’archivio. Nei 13 anni successivi, videro la luce altri 8 volumi di fonti. Finalmente, nel 1711 era pronta la bozza del primo volume della storia dei Brunswick vera e propria: era intitolata Protogaea e trattava di geologia e della formazione dei fossili. Mi immagino la faccia dei duchi: “ma dalle origini doveva essere”, avrà risposto l’ormai canuto Leibniz…

Ho un collega esattamente così: dev’essere una reincarnazione.

Se avete coraggio e forza d’animo, vi consiglio una trilogia bellissima: The Baroque Cycle di Neal Stephenson. Ma vi avverto, i 3 volumi – Quicksilver (944 pagine), The Confusion (832) e The System of the World (912) – richiedono una bella forza di volontà. Molto ben ripagata, secondo me.

Primo maggio – per non dimenticare

Proprio il primo maggio, prima che scoppiassero tutte le polemiche sulle dicharazioni di Andrea Rivera, parlavo con un amico e gli ricordavo che, durante il governo Berlusconi, il concerto del Primo maggio era stato trasmesso in differita di circa un’ora (a me pareva di ricordare di una decina di minuti) per dare il modo ai censori della Rai di tagliare eventuali “dichiarazioni dal palco contro la guerra e Berlusconi”, in nome della par condicio (che nessuno ha capito bene che cosa sia e che quindi ognuno può stiracchiare dalla sua parte come la proverbiale pelle dei…). Anche quella volta i sindacati confederali acconsentirono, non so (né voglio sapere) se per realpolitik o codardia.

Nei giorni successivi ne ho parlato con altri amici, e nessuno se ne ricordava. Capisco che i media non hanno memoria, e noi con loro, ma se non vigiliamo ci troveremo privi delle libertà più elementari senza essercene accorti.

La notizia l’ho trovata sull’archivio de la Repubblica, ma ad ogni buon conto la riporto qui sotto integralmente.

L’anno scorso dal palco dichiarazioni contro il governo
Rai, il concerto del Primo maggio
andrà in onda in differita

“Evitare che si trasformi in una manifestazione politica”

Silvestri al concerto
 

ROMA – Il concerto del primo maggio non andrà in onda in diretta ma in differita di circa un’ora. La decisione è stata presa sulla base di una raccomandazione al direttore generale voluta dal consigliere Angelo Maria Petroni. E’ la prima volta che il concerto del primo maggio non viene trasmesso in diretta. La richiesta, a quanto si apprende, è stata fatta da Petroni affinché la trasmissione con la ripresa del concerto, in onda su Raitre, non si trasformi in una “manifestazione politica”.

L’anno scorso ci furono polemiche per le dichiarazioni dal palco contro la guerra e Berlusconi di molti cantanti, fra cui Daniele Silvestri, Meg dei 99 Posse e i Tiromancino. Dalla Rai dicono: “Una misura dettata anche dalla legge sulla “par condicio”.

La decisione è stata anche presa, secondo quanto si apprende alla Rai, per evitare che possano verificarsi episodi che mettano a repentaglio la vita degli ostaggi italiani in Iraq considerando che proprio il primo maggio scade l’ultimatum da parte dei sequestratori.

La raccomandazione non ha intenti censori ma è solamente di carattere cautelativo. Sugli eventuali interventi – è stato precisato – proprio per evitare censure ingiustificate saranno decisi di comune accordo dai dirigenti della Rai e dai sindacati.

(27 aprile 2004)

Fitzcarraldo

Fitzcarraldo, di Werner Herzog, con Klaus Kinsky (1982).

Un altro gioiello in edicola. Allegato al primo DVD ce n’è un secondo, con il film che Herzog girò sulla sua lunga collaborazione con Klaus Kinsky, qualche anno dopo la sua morte.

Fitzcarraldo è più un film di culto che un capolavoro. Non che non sia bello, e a me la lentezza non dà fastidio (penso che sia assolutamente funzionale al ritmo della storia raccontata), ma non mi piace la prima parte del film, in cui Fitzcarraldo/Kinsky sembra un matto semplice (sporco, maniaco dell’opera, arenato a Iquitos e circondato da bambini e maiali, disprezzato dalla “classe dirigente” locale, amato senza capirne a fondo la grandezza e la bellezza da Molly/Claudia Cardinale). Tutto cambia da quando Fitzcarraldo vede la fatale mappa dei due fiumi: da lì in avanti diventa un grande matto, un sognatore, un utopista, un profeta, un Jan van Leiden.

Non è la fede che sposta le montagne, è la speranza.

Ci riconosciamo in lui per i sogni e i desideri cui abbiamo rinunciato, senza rassegnarci alla rinuncia. In questo senso – e così l’abbiamo visto quando uscì – Fitzcarraldo chiude gli anni Sessanta e Settanta. L’edonismo reaganiano e la Milano da bere erano già arrivati tra noi.

Un battello che risale un fiume – in un paese possibilmente remoto, l’ignoto dietro ogni ansa, tribù ostili nascoste nella foresta primaria, la morte che t’aspetta alla meta – è una metafora dell’esistenza forse facile, ma sempre efficace: Heart of Darkness di Conrad è il vertice del genere (il suo figlio cinematografico, Apocalypse Now, è uscito nel 1979).

La natura, ostile, è un nemico da vincere, un ostacolo da superare: in questo Fitzcarraldo (il personaggio) è un uomo dell’Ottocento. Ma nell’imporre il suo sogno, come una religione, a tutti i suoi compagni e anche agli Jivaro, è senza tempo.

Quando vidi il film nel 1982 ero terrorizzato dalla giungla e sicuro che non ci avrei mai messo volontariamente piede. Qualche mese fa l’ho fatto, proprio in Amazzonia, e – senza poter dire onestamente che ci vorrei tornare più e più volte – devo dire che è assolutamente affascinante. Nel film si ritrova molto: gli insediamenti fangosi e pezzenti (diversamente pezzenti, adesso…), l’ampiezza dei fiumi, le piccole vie d’acqua e le paludi da percorrere in piroga, la penombra verde sotto la cortina degli alberi, i suoi continui, gli inquietanti silenzi, gli sterminati cieli, le notti dense d’insetti e di stelle… Mancano gli odori, però…

Non mi stupisce che Herzog ne sia rimasto affascinato. Le riprese durarono circa quattro anni. All’inizio, Fitzcarraldo doveva essere impersonato da Jason Robards e Mick Jagger era il suo aiutante; ma il primo cadde ammalato e il secondo abbandonò le riprese. Soltanto a questo punto la scelta cadde su Klaus Kinsky, da tempo amico di Herzog, e si dovettero girare di nuovo tutte le riprese in cui comparivano Robards e Jagger. Il capitano olandese (Orinoco Paul) doveva essere Mario Adorf, che si tirò indietro per paura delle rapide. Non ci sono effetti speciali: tre navi furono utilizzate nelle riprese e una (340 tonnellate) fu effettivamente spostata sulla collina con l’aiuto di bulldozer.

Belle le musiche dei Popol Vuh di Florian Fricke. Qui due video, Kyrie e Improvisation.

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