Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger), 1983, di Tony Scott, con Catherine Deneuve, David Bowie e Susan Sarandon.
Un film visto molti anni fa, e ora rivisto in originale (c’è il DVD in edicola).
Non è un capolavoro, ma è un film cult. Si rivede volentieri, e ci si rende conto di quanto siano debitori a questo film – per le atmosfere, le scenografie e in generale l’ambientazione – film successivi come Intervista con il vampiro.
Sono proprio quelle riprese nel film di Neil Jordan le cose che mostrano più l’usura: le luci sempre sparate, le atmosfere sempre polverose, le tende che svolazzano, il lusso sfrenato nel cuore di New York… La stessa scena della seduzione lesbico-vampiresca, che tanto scalpore aveva suscitato all’epoca, mi è sembrata piuttosto datata. Sarà che abbiamo visto ben altro.
Invece è folgorante il montaggio, soprattutto nella scena iniziale. Ed è incredibile il cast: tutti e tre i personaggi principali sono perfetti. Ovvio che di Bowie avevamo sempre pensato che fosse un vampiro glam (soprattutto ora, che è invecchiato molto meglio di John Blaylock). Ma la Deneuve, gelida e perfetta. E la Sarandon, fragile ma fortissima.
Ma non è di questo che volevo parlare. Rivedendo il film ieri sera, mi sembra di aver capito perché le storie di vampiri ci interessano tanto. O almeno, perché interessano tanto a me, che sui vampiri ho letto e visto quasi tutto quello che c’era da leggere e vedere, da Bram Stoker ai romanzi di Anne Rice, dal Nosferatu di Murnau a quello di Herzog passando da Per favore non mordermi sul collo di Polanski.
L’immortalità non c’entra nulla. È una parabola dell’amore, invece. Dell’amore distruttivo, naturalmente. Perché i vampiri sono inevitabilmente una coppia, tenuta insieme non dall’attrazione sessuale, ma da un’aspirazione al possesso assoluto dell’altro, dall’aspirazione a rendere l’altro identico a sé. E questo implica che per vivere, per durare, ogni membro della coppia debba divorare l’altro, succhiarne il fluido vitale. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, era dopo era. “Forever and ever.” E che poi questo non basti ancora, a che si debbano immolare e consumare tutte le persone che si incontrano, perché l’esistenza dell’altro, di qualunque “altro” da sé non è tollerabile. Il vampiro è solo, di una solitudine peggiore della morte. Il non-morto è anche inevitabilmente non-vivo.
martedì, 29 aprile 2008 alle 22:14
non ho apprezzato l’inizio di questo post, mi offendi il film preferito, non a ragione. Vedi, questo film ha un significato molto più profondo di un semplice film sui vampiri. Va apprezzato, e per apprezzarlo bisogna capirlo completamente. Verissimo ciò che dici nell’ultima parte, bel commento tutto sommato. -divin@-
lunedì, 20 agosto 2012 alle 11:40
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Tony Scott – In memoriam
domenica, 16 giugno 2019 alle 11:33
[…] Il piccolo colpo di reni di Jarmusch è che gli zombie sono ossessionati da morti (o, più esattamente, da non-morti) da ciò che li ossessionava in vita: lo chardonnay nel caso della vecchia ubriacona, il caffè nel caso dello zombie interpretato da Iggy Pop, i telefonini… Non sono un esperto di zombie, che ho sempre considerato inferiori ai vampiri e ai lupi mannari, ma mi sembra che questa trovata di Jarmusch possa aiutare a dare spessore alla loro mitologia. I vampiri sono la metafora vivente (oddìo, vivente…) dell’amore che vuole rendere il suo oggetto identicamente eguale a sé stesso (ne ho parlato molte volte e mi permetto un’auto-citazione con riferimento è a Miriam si sveglia a mezzanotte): […]