6 agosto – Diego Velázquez

Morto il 6 agosto 1660.

Il suo dipinto più famoso sono Las Meninas, soprattutto per la reinterpretazione di Picasso.

Michel Foucault, in Le parole e le cose, sostiene che il “vero” soggetto del quadro è il concetto stesso di rappresentazione: schermi e specchi, e la disposizione stessa dei personaggi (il re e la regina sono riflessi nello specchio, e dunque rappresentati mentre osservano la scena, mentre il pittore stesso è rappresentato sulla sinistra, e dunque non può osservare la scena che sta rappresentando… se ci fate caso, è lo stesso gioco quasi escheriano di cui abbiamo già parlato).

Qualche anno fa sono stato, a Siviglia, a una bella mostra si Velázquez e ho scoperto che, da giovane, non sapeva dipingere i piedi di Cristo sovrapposti nella crocefissione, e quindi li dipingeva paralleli. Fateci caso in questi due esempi.

Quanto a Picasso, ecco una delle sue reinterpretazioni, al Museu Picasso di Barcellona.

Post-sessantottino 2

Un ragazzo e una ragazza, minorenni, si scambiano “effusioni amorose” in un parco di Modena.

Ne parlano tutti i giornali, forse anche per il vuoto di notizie d’agosto e per la tendenza in atto da qualche tempo sui telegiornali e sulla stampa, di dare notizie “leggere”. E ne parlano con un tono tra il morboso e il moralistico. Erano completamente nudi, ci tengono tutti a precisare (perché, i giornalisti fanno l’amore vestiti?). A quell’ora il parco è frequentato da mamme e bambini, ci spiegano. Sarà: a me, che ho guardato su Google Earth, sembra un’area vasta e non particolarmente ombreggiata all’estrema periferia sud della città, forse non frequentatissima a inizio agosto…

È scattata una denuncia per “atti osceni in luogo pubblico” e i due sono stati riportati dai genitori. Troppa severità forse, penso. Vado avanti a leggere e capisco: erano entrambi “di origine africana”.

Sono troppo paranoico se ipotizzo che il colore della pelle abbia influenzato lo scandalo di chi ha chiamato la polizia e la severità delle forze dell’ordine? Che se non fossero stati figli di immigrati ci si sarebbe limitati a ignorarli, magari con un’ombra di invidia e di rimpianto per i 17 anni che abbiamo avuto tutti? O per le difficoltà che i ragazzi che non hanno una  stanza o un’automobile devono superare per avere un po’ d’intimità?

Ma io sono un post-sessantottino, e continuo a pensare che fare l’amore sia meglio che fare la guerra…

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Post-sessantottino

Sessantottino, secondo il De Mauro online, è “chi ha partecipato al movimento di contestazione giovanile del 1968; anche, ironicamente, chi ne continua le idee, gli atteggiamenti, eccetera”. Di post-sessantottino, il vocabolo utilizzato da Ignazio La Russa per indicare chi non vede di buon occhio il dispiegamento dell’esercito per compiti di ordine pubblico, nessuna traccia nei vocabolari.

Ma stia tranquillo La Russa, abbiamo capito lo stesso.

Io nel 1968 mi avviavo a compiere 16 anni. Per me il 1968, e gli anni che lo hanno preceduto e seguito, sono stati anni formativi. Ne continuo, per quanto posso, le idee e gli atteggiamenti, senza ironia e senza vergogna. Ringrazio i miei genitori, la mia scuola, i miei compagni e le disordinate letture di quegli anni per quello che mi hanno dato e mi hanno lasciato. Non mi nascondo le ingenuità e gli errori che ho commesso, da solo o dentro l’impegno politico e sociale. Ma quei valori e quegli atteggiamenti ho cercato, convinto, di trasmetterli anche ai miei figli.

La Russa, che è del 1947, nel 1968 di anni ne aveva 21. Studiava Giurisprudenza a Pavia, dopo aver fatto il liceo in un collegio svizzero, immagino perché la Statale di Milano era troppo rossa per lui, fascista e figlio di un senatore fascista. Però picchiava a Milano (“protagonista di tutte le battaglie politiche della Destra in Lombardia”, è la dizione eufemistica ed edulcorata della biografia sul suo sito): picchiava, confermo, con i suoi camerati. I fascisti a Milano in quegli anni picchiavano e basta (se non facevano di peggio). Dalla rete son scomparse – forse a suon di denunce – la maggior parte delle memorie sul La Russa di quegli anni.

Ma questi metodi tu li conosci bene, Ignazio La Russa. Io mi ricordo di te, sai? mi ricordo il picchiatore La Russa, mi ricordo cosa dicevi sulla pena di morte, sulle donne comuniste. Ti ho visto passare un mucchio di volte, e mi ricordo il coraggio, sempre in giro in branco, l’onore, sempre menare i più piccoli, e la lealtà, ti chiamavano Mennea, tanto eri bravo a dartela a gambe. [tratto da qui]

Ma non è di La Russa che voglio parlare. Siamo in un paese democratico, è stato eletto (anche se non scelto dai cittadini, ma dalle segreterie dei partiti), la sua coalizione ha vinto ed eccolo ministro. Nulla da eccepire. Parliamo invece dell’impiego dell’esercito per funzioni di pubblica sicurezza. In Italia operano 5 corpi nazionali, alle dirette dipendenze del governo, con funzioni di ordine pubblico:

  • La Polizia di Stato: 110.000 effettivi
  • L’Arma dei Carabinieri: 111.000 effettivi
  • La Guardia di Finanza: oltre 65.000 effettivi
  • La Polizia Penitenziaria: oltre 45.000 in organico
  • Il Corpo Forestale dello Stato (non sono riuscito a sapere quanti sono con esattezza, ma dovrebbero essere 8-10.000).

Alle forze nazionali di polizia (tutte quelle sopra elencate svolgono funzioni di pubblica sicurezza) si aggiungono quelle locali (la polizia municipale e quella provinciale).

Secondo una fonte internazionale citata anche nella rubrica di Beppe Severgnini, l’Italia è uno dei Paesi con il maggior numero di tutori dell’ordine in assoluto (322.483) e relativamente alla popolazione (5,6 per 1.000 abitanti: quasi il doppio della Germania e della Spagna, che ne hanno 2,9, mentre la Francia ne ha poco più di 2). I 3.000 militari messi in campo da La Russa incrementano il numero degli addetti alla pubblica sicurezza di meno dell’1%: penso sia ragionevole non aspettarsi risultati concreti, se non un po’ di pubblicità al governo e al ministro.

In Italia, i ricercatori (o meglio gli addetti alla ricerca e sviluppo, nel settore pubblico e in quello privato) sono 3 ogni 1.000 abitanti, valore che ci colloca agli ultimi posti in Europa e tra i paesi sviluppati.

Ma allora, le forze armate mettiamole a fare ricerca!

Tabe

Secondo il De Mauro online, 3 accezioni, tutte letterarie:

  1. pus che cola da piaghe o ferite
  2. grave e progressivo deperimento dell’organismo, consunzione: gl’infami avoli tuoi di tabe | marcenti o arsi di regal furore (Carducci)
  3. figurato, degradazione, corruzione morale.

La tabe dorsale è propriamente una malattia a eziologia luetica propria dell’età adulta, causata da fenomeni degenerativi del midollo spinale e dei tronchi sensitivi, che degenera in sclerosi e provoca dolori, parestesie, disturbi della sensibilità, crisi viscerali, perdita di riflessi nervosi e ipotonia muscolare, deficit motori e atrofia del nervo ottico.

Dal latino tabes, “il perdersi a poco a poco di una cosa per fusione o putrefazione”, dal verbo tabeo (“mi liquefaccio, mi struggo”). Esiste anche il sostantivo tabum (“marcio, sangue corrotto, peste”). La radice indoeuropea ta- è all’origine delle parole che fanno riferimento al disgelo, come l’inglese to thaw.

Dedicato a GPO.

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Here Comes Everybody – Clay Shirky

Shirky, Clay (2008). Here Comes Everybody. The Power of Organizing without Organizations. London: Allen Lane. 2008.

Sono un po’ deluso. Il libro di Clay Shirky (sì, in America ci si può chiamare “Argilla” di nome senza essere necessariamente de’ coccio, come si dice a Roma) è stato preceduto da un grande tam tam, non dalla pubblicità commerciale, naturalmente, ma dalla rete dei guru e dei digerati, proprio una delle reti sociali di cui il libro parla. Ne hanno parlato Edge e lo stesso Shirky, che è stato anche keynote speaker al Web 2.0 Expo di San Francisco (22-25 aprile 2008). Mi aspettavo quindi molto, e molto di innovativo. E invece…

Il nòcciolo del problema, secondo me, sta in quello che lo stesso Shirky racconta negli Acknoledgments alla fine del volume, ringraziando la moglie:

Finally, of course, is Almaz Zelleke, my wonderful wife, who looked across the dining room table one day and said, “Time for you to write a book,” …

Forse non gli avrebbe dovuto suggerire di scrivere un libro, perché i contenuti interessanti avrebbero potuto essere più efficacemente riassunti in uno o più articoli, una volta depurati dei numerosi esempi riportati in forma aneddotica. È vero che i temi e le osservazioni di Shirky sono spesso originali, e che le esemplificazioni sono indispensabili in un’opera di divulgazione, ma – ahimè – gli esempi sono quelli che abbiamo già letto un milione di volte, da Wikipedia alle smart mobs

Quella che sarebbe la mia recensione è ben riassunta da questa, di Stephen R. Laniel che ho trovato sulla pagina di Amazon dedicata al libro:

If you read enough, you just have to be wary of “Here Comes Everybody” and its ilk. If you’re the sort of person thinking of reading Shirky’s book, you’ve probably also read Larry Lessig (Code), Yochai Benkler (The Wealth of Networks, not to mention essays like “Coase’s Penguin”), Shapiro and Varian (Information Rules), maybe Weinberger (Everything is Miscellaneous), and on and on. You’ve used the Wikipedia. You may well use Linux. You’ve learned about “the wisdom of the crowds” (Surowiecki). You’ve got “the long tail” in there somewhere too.

What does Shirky add to this cacaphony? He adds one important special case of all of the above: the Internet lets us form groups effortlessly.

Leggetelo, comunque, soprattutto se non ricadete nelle categorie elencate da Laniel. I capitoli che ho trovato più interessanti sono il quarto (Publish, then Filter) e soprattutto il decimo (Failure for Free).

Qui sotto il discorso tenuto al Web 2.0 Expo.

Catacresi

Catacrèsi (o catàcresi): l’estensione usuale di una parola o di una locuzione oltre i limiti del suo significato proprio (ad esempio: la gamba del tavolo, il collo della bottiglia) (De Mauro online).

Dal greco κατάχρησις (κατα “giù, al di là” + χρησθαι “usare, adoperare”). È una figura retorica ormai entrata nell’uso comune, impiegata per designare qualcosa per cui la lingua non offre un termine specifico. Si tratta soprattutto di antiche metafore e metonimie non più avvertite come tali. Sono sinonimi di catacresi “abusio” e “acirologia”.

Sono forme comuni di catacresi:

  • L’uso di una parola per denotare qualcosa di radicalmente differente dal suo significato comune ( ‘Tis deepest winter in Lord Timon’s purse – Shakespeare, Timon of Athens)
  • L’uso di una parola per denotare qualcosa che non avrebbe altrimenti un suo nome (‘la gamba del tavolo’)
  • L’uso di una parola fuori contesto (‘Non hai sentito? Sei forse cieco?’)
  • L’uso di una logica paradossale o contraddittoria
  • L’uso di una metafora illogica (mixed metaphor) (‘To take arms against a sea of troubles…’ – Shakespeare, Hamlet)
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