Donne informate sui fatti – Ti trovo un po’ pallida

Fruttero, Carlo (2006). Donne informate sui fatti. Milano: Mondadori. 2006.

Dove passa il confine tra la letteratura alta e la letteratura “bassa” o forse “media” (non ricordo abbastanza di quel vecchio libro di Eco per arrischiare un parallelismo con la classifica delle sopracciglia – ricordate? high-brow, mid-brow eccetera?). Dove passa il confine tra la sperimentazione e il mestiere virtuosistico? Qual è la differenza – tanto per capirsi – tra Queneau e Perec da una parte, e Fruttero e Lucentini dall’altra?

Leggere questo romanzo di Fruttero può aiutare a capirlo, ma consentitemi, prima, una lunga digressione.

Fruttero e Lucentini, anzi Fruttero & Lucentini (o F&L) sono stati un caso singolare di sodalizio artistico di grande successo. Ho letto La donna della domenica quando uscì, 35 anni fa (non avevo 20 anni, ero un lettore onnivoro come ora, ma più di ora ideologizzato e sussiegoso lettore di saggi ponderosi): mi sembrò un divertissement riuscito ma un po’ leggero (ma potevo capirlo fino in fondo con la testa e l’esperienza di allora?). Il giudizio non entusiasta non mi impedì di gettarmi, qualche anno dopo (era il 1979) su A che punto e la notte?, che mi piacque molto di più: si cominciava a parlare di Torino come di una città dell’occultismo; c’erano i riferimenti gnostici e misterici, oltre che biblici, che mi affascinavano; non erano ancora usciti né Il nome della rosa (1980) e soprattutto Il pendolo di Foucault (1988) di Eco, né tanto meno Il codice Da Vinci. Soprattutto c’era la grandissima trovata del topos!

Ho letto, poi, Ti trovo un po’ pallida (1981), su cui tornerò; Il palio delle contrade morte (1983), che non mi entusiasmò; e La prevalenza del cretino (1985), sostanzialmente una raccolta d’articoli. Libri ben scritti, ma irrimediabilmente leggeri e anche un po’ fatui. Ci misi, in definitiva, una pietra sopra.

Nel 1985 scoprii Roccamare: prima il residence e poi – dal 1989 – affittavo una casa d’inverno. Sapevo che Fruttero aveva una villa lì e dunque, quando uscì Enigma in luogo di mare (che vi era ambientato), lo divorai da insider, divertito e con entusiasmo; senza per questo cambiare il mio giudizio critico, però.

Di recente ho riletto la riedizione di Ti trovo un po’ pallida, dicevo. L’originale era firmato, diversamente dagli altri, Lucentini e Fruttero e ora, dopo la morte di Lucentini (2002), Fruttero ha “confessato” di averlo scritto da solo. È un libro di grandissima abilità verbale: l’io narrante interpreta alla perfezione i tic, le mode, i vezzi, i pettegolezzi di un’alta borghesia torinese, milanese e romana perennemente in giro per la Toscana estiva tra feste, festival e occasioni più o meno culturali, ma sempre mondane. Il fatto che si tratti di un racconto di genere, cioè di una ghost story, stride efficacemente con l’iperrealismo dell’ambientazione e della caratterizzazione dei personaggi, e soprattutto della protagonista. Al tempo stesso, rende l’intento satirico ancora più penetrante: lo spessore dei personaggi che si muovono in quel mondo e la realtà delle loro interazioni sono così evanescenti da non permettere a nessuno, e nemmeno all’ectoplasma stesso, di accorgersi di avere un fantasma tra loro. L’espediente dell’autore per darci un piccolo indizio, quello di far impercettibilmente cambiare di colore l’abito della protagonista, è un tocco di grande efficacia e finezza. Anche soltanto per questo, il racconto è e resta dopo anni un piccolo capolavoro.

Donne informate sui fatti è forse più ambizioso. C’è una storia gialla, che forse è soltanto un pretesto: è raccontata correttamente (cioè senza violare le regole del genere), ma resta abbastanza in superficie (inoltre, non cercate sorprese perché, almeno a grandi linee, si capisce tutto subito: movente, mandante, esecutori materiali…). C’è un intento virtuosistico: raccontare la storia da una pluralità di voci e di punti di vista, tutti femminili. Ma – mi pare – più con un intento barocco (“è del poeta il fin la meraviglia”) che sperimentale (gli Esercizi di stile di Queneau). Le voci narranti restano un po’ convenzionali e si nota che Fruttero non ha assimilato tutti i linguaggi nella stessa misura. Fa eccezione, anche perché compare una sola volta, la voce – decisiva – della vecchia contessa.

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Primo Levi – Agli amici – 16 dicembre 1985

Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purché fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita.Dico per voi, compagni d’un cammino
Folto, non privo di fatica,
E per voi pure, che avete perduto
L’animo, l’anima, la voglia di vita.
O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
Che mi leggi: ricorda il tempo,
Prima che s’indurisse la cera,
Quando ognuno era ancora un sigillo.
Di noi ciascuno reca l’impronta
Dell’amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.

Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l’augurio sommesso
Che l’autunno sia lungo e mite.

* * *

Primo Levi, il più prosaico dei nostri poeti: la fatica della parola, la goffaggine vinta (e non sempre). Eppure, questa poesia è bellissima.