Spook Country

Gibson, William (2007). Spook Country. New York: Putnam. 2007.

Che cosa manca a William Gibson per essere un grande romanziere? La capacità di immaginare un plot, una trama, e di esserle fedele. Tutti i suoi romanzi “finiscono in pesce”, come la proverbiale sirena. Non è l’unico ad avere questo problema, ma in lui pesa particolarmente.

Nato in South Carolina nel 1948, Gibson si è trasferito in Canada nel 1967, come molti suoi coetanei, per evitare la coscrizione in Vietnam.

Gibson è famoso per avere inventato il genere fantascientifico cyberpunk, e il termine cyberspace, e tanto basterebbe a consegnarlo alla posterità. Il suo primo romanzo, Neuromancer, ha venduto quasi 7 milioni di copie. Gli ultimi suoi romanzi, però, sono ambientati nel presente.

Spook Country è un romanzo sull’America del dopo 11 settembre e sulla paranoia. Le atmosfere sono raggelate: un effetto anzitutto dello stile e della scrittura. Un’era glaciale che ti stringe il cuore, che ti fa voglia di mettere via il libro prima che ti faccia troppo male. Il profilo dei personaggi è perfetto. Vorresti conoscerli, vorresti averli conosciuti, ti sembra di riconoscerli in qualche amico, almeno in parte. Un grande scrittore, quindi, anche se non un grande romanziere.
Ma, a differenza del Jeff Noon di Falling Out of Cars, Gibson non si accontenta di costruire un’atmosfera, ma pretende di metterla al servizio di una trama che si scioglie – ammesso che si sciolga – in modo un po’ banale. Per questo, ne sono quasi sicuro, tra un po’ ricorderò vividamente i personaggi, ma non lo scioglimento, come già mi è successo per il pur bellissimo Pattern Recognition.

Chiudo rivelandovi due segreti:

  1. Secondo me, il romanzo più bello di Gibson è Virtual Light. E a questo punto leggetevi anche Snow Crash di Neal Stephenson, che è suo parente stretto.
  2. Ancorché reale, io sono il personaggio di un romanzo di Gibson.
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La squadra 8 (8)

Una puntata non particolarmente riuscita. Troppo materiale, forse, per una puntata sola. Non sviluppato e sfruttato a fondo, troppo sacrificato all’approfondimento psicologico dei personaggi e delle loro dinamiche interpersonali (ma questo sta succedendo da un po’ di tempo).

Nel merito: il potenziale pentito è stato bruciato narrativamente (e fisicamente) troppo in fretta. Perché il commissariato l’ha gestito così male? Perché metterlo in allarme al primo appuntamento? In fin dei conti era lui ad avere bisogno di loro, era nel suo esclusivo interesse presentarsi all’appuntamento “pulito” e senza trucchi: perché mettere in campo tutta quella gente, con il risultato di farlo ammazzare? (Ma la sequenza in cui si aggira braccato per i vicoli è molto bella).

Se La squadra fosse narrativamente più complessa di quello che è si dovrebbe sospettare che il nuovo commissario non sia soltanto un’incapace, ma una traditrice.

La talpa è lei? Certo anche il secondo episodio lo farebbe sospettare. Ma come: hai per le mani un grosso traffico d’armi, stai per mettere le grinfie su un trafficante internazionale ricercato da anni in tutto il mondo, hai scoperto una saldatura tra camorra e malavita organizzata nigeriana, forse c’è la possibilità non troppo remota che Matrone sia lì, e che fai? Sacrifichi tutto – o comunque aumenti di molto il rischio di farti scappare tutti – e fai un tranello per beccare la talpa. E metti al corrente entrambi i sospettati, in modo da avere conferma che una talpa c’è, ma da non sapere chi è! Mobiliti i NOCS, ma lasci il tempo a tutti di scappare! E i sospetti li avevi fatti seguire? pare di no! E la nave la piantonavi dal giorno prima? No, e chi ci poteva pensare!

Due curiosità stimolate dal trailer della prossima puntata.

Cafasso spara! a chi?

Pettenella bacia! la Veneziani?