Alle 4:40 del mattino Hamida Djandoubi, un immigrato tunisino residente a Marsiglia, salì i fatidici scalini. Non sapeva che sarebbe stato l’ultima esecuzione capitale in Francia. Il boia si chiamava Marcel Chevalier.
Concludeva così la sua atroce carriera, dopo 670 anni, questo strumento di morte. Secondo le Cronache di Holinshed (1577), infatti, un progenitore della ghigliottina fu utilizzato la prima volta in Irlanda, il 1° aprile 1307, per giustiziare Murcod Ballagh.
Altri strumenti simili, utilizzati in Inghilterra e Scozia, furono il gibbet (patibolo) di Halifax e la maiden (la fanciulla). Il 10 ottobre 1789 e, di nuovo, il 1° dicembre dello stasso anno, il dottor Joseph Ignace Guillotin propose all’Assemblea nazionale costituente lo strumento, nell’ambito della riforma del codice penale, con l’intento di introdurre nella pena di morte umanità ed eguaglianza (prima erano utilizzati supplizi diversi a seconda del tipo di delitto e del rango del condannato). Guillotin non amava essere associato alla macchina che finì per prendere il suo nome: il progetto tecnico fu proposto il 7 marzo 1792 dal medico Anton Louis e realizzato da un costruttore di clavicembali prussiano, Tobias Schmidt, per 812 lire. Il debutto avvenne il 25 aprile 1792.
L’esecuzione di Hamida Djandoubi ebbe l’effetto di catalizzare l’opposizione, da tempo strisciante, contro la ghigliottina: il poveraccio (condannato per aver torturato e ammazzato crudelmente la fidanzata di 20 anni perché rifiutava di prostituirsi) – secondo la testimonianza di un medico presente all’esecuzione, rimase cosciente per 30 lunghi secondi dopo l’esecuzione. La pena di morte fu definitivamente abolita, su proposta di Mitterand, nel 1981.